Stalking: dall’arresto in flagranza, al divieto di avvicinamento, alla sentenza di condanna

Qualora le condotte persecutorie siano connotate dalla reiterazione protrattasi per un apprezzabile lasso di tempo, fino all’arresto in flagranza dell’imputato e all’applicazione del divieto di avvicinamento alla vittima, e abbiano determinato nella persona offesa timore e stato di ansia persino sul posto di lavoro, risulta integrato il delitto di stalking articolo 612 bis c.p. .

Il caso concreto che ha portato alla sentenza in rassegna evidenzia l’importanza della disciplina, sostanziale e processuale, introdotta solo negli ultimi anni dal legislatore italiano per reprimere il fenomeno dello stalking. L’arresto obbligatorio in flagranza. Un giovane viene tratto in arresto all’interno del centro commerciale dove lavora la sua ex fidanzata in quanto accusato dalla querelante che, dopo aver interrotto la relazione sentimentale, a causa della gelosia oltre misura del ragazzo, questi, non accettando tale situazione, la tormentava con continue telefonate, messaggi sui social network e importunandola a lavoro. Nell’episodio che aveva portato all’arresto dell’indagato, la persona offesa denunciava che il suo ex, chiedendole l’ennesimo chiarimento, le aveva impedito con violenza di raggiungere il suo posto di lavoro, trattenendola con forza dal braccio e minacciandola ad alta voce di gravi ripercussioni se non avesse ottemperato alle sue richieste. Nel convalidare l’arresto dello stalker, il Tribunale di Catania ritiene che si tratti dell’«ultimo episodio di una serie di condotte idonee ad integrare l’abitualità del contestato reato». Invero, siamo in presenza dell’applicazione di una delle più rilevanti e discutibili novità contenute nel recente d.l. numero 93/2013, sul c.d. femminicidio, poi convertito nella legge numero 119/2013, per contrastare la violenza di genere, ossia la previsione dell’arresto “obbligatorio” in flagranza di reato articolo 380 c.p.p., comma 2, lett. l-ter, c.p.p. per il delitto di atti persecutori come anche per i maltrattamenti in famiglia . Sebbene l’intento sia quello di apprestare una difesa più incisiva delle vittime di questi reati, intervenendo in via precautelare con maggiore estensione e senza alcuna discrezionalità valutativa ex articolo 381 c.p.p. circa la gravità del fatto e la personalità del soggetto, trattandosi, in ambedue i casi, di reati necessariamente abituali, la condizione di flagranza o anche di quasi flagranza è di accertamento assai problematico e tecnicamente di difficile configurabilità. Un recente orientamento, tuttavia, sostiene, con riferimento al delitto di maltrattamenti ma le cui conclusioni possono estendersi anche al reato di stalking che poiché gli atti in cui si concreta il reato di all’articolo 572 c.p. non devono necessariamente tutti sostanziare singole autonome ipotesi di reato, è ben possibile procedere all'arresto in flagranza dell'autore del reato quando gli operanti della polizia giudiziaria abbiano diretta percezione di un segmento commissivo della condotta che, pur non integrante ex se reato, risulti non indifferente nell'ottica volta a dimostrare sul piano indiziario l'ipotesi di reato Cass., Sez. VI, numero 34551/2014 . Fermo restando che la ragionevole prospettiva di un più esteso uso degli arresti in relazione ai reati in esame, in dipendenza dell’obbligatorietà degli stessi, non deve far perdere di vista la necessità di un rigoroso controllo circa la sussistenza o meno del requisito della flagranza di reato senza contare che, nella maggior parte dei casi, il delitto di atti persecutori è punito a querela della persona offesa e ciò implica ulteriori problemi per l’arresto obbligatorio in flagranza, che potrà essere eseguito solo alle condizioni di cui al comma 3 dell’articolo 380 c.p.p. proposizione della querela . Misura cautelare del divieto di avvicinamento. Oltre a convalidare l’arresto, il tribunale etneo, per evitare la reiterazione del reato, applica all’indagato di atti persecutori la misura del divieto di avvicinamento ex articolo 282-ter c.p.p. alla persona offesa, disponendo di mantenere una distanza di almeno 400 metri di distanza ovunque si trovi, con divieto assoluto di avvicinarsi al centro commerciale ove la vittima lavora. Per la verità, come recentemente affermato dalla Cassazione, qualora il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa si aggiunga al divieto di avvicinamento ‘personale’ si ha un contrasto con il divieto di cumulo di misure cautelari Cass., Sez. VI, numero 14766/2014 . Con la previsione dell’articolo 282-ter c.p.p., infatti, il legislatore ha previsto una triplice modalità della fattispecie cautelare del divieto di avvicinamento che il giudice potrà considerare al fine di adeguare la tutela alle esigenze ravvisate nel caso concreto quella del divieto di avvicinamento ai luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, quella di mantenere una determinata distanza da tali luoghi e, infine, quella di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa. Mentre le prime due tipologie hanno come riferimento “determinati luoghi” fissando rispetto ad essi l'ambito nel quale l'inibizione è efficace, la terza, invece, si incentra sulla “determinata distanza” da tenere rispetto alla persona offesa. All’uopo, si richiama l’autorevolissimo arresto delle Sezioni Unite, numero 29907/2006, La Stella, per il quale l’applicazione cumulativa di misure cautelari può essere disposta soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge articolo 276, comma 1, e 307, comma 1-bis, c.p.p. non essendo altrimenti ammissibili né l’imposizione “aggiuntiva” di ulteriori prescrizioni non previste dalle singole disposizioni regolanti le singole misure, né l’applicazione “congiunta” di due distinte misure, omogenee o eterogenee, che pure siano tra loro astrattamente compatibili. Siffatta applicazione potrebbe infatti determinare la creazione, in un mixtum compositum, di una nuova misura non corrispondente al paradigma normativo tipico. All’esercizio della discrezionalità del giudice è dunque inibito creare ex novo, attraverso l’osmosi e il cumulo di più prescrizioni o misure, ulteriori “tipi”, estranei alla pur vasta gamma degli specifici modelli coercitivi normativamente predisposti. In conclusione, il giudice ha la possibilità di modellare l'intervento cautelare previsto dall'articolo 282-ter c.p.p. alle esigenze della fattispecie concreta attraverso le tre diverse flessioni previste, ma non può cumulare, come ha fatto nel caso di specie, il divieto di avvicinamento alla persona offesa con l’ulteriore prescrizione di non avvicinarsi al centro commerciale, luogo abitualmente frequentato dalla stessa. La sentenza di condanna. All’esito del giudizio abbreviato, nell’affermare la penale responsabilità dell’imputato per il delitto ex articolo 612-bis c.p., il giudice ritiene presenti tutti gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice le condotte moleste e minacciose la reiterazione in quanto la persecuzione posta in essere dall’imputato si è protratta per un apprezzabile lasso di tempo anche se Cass., Sez. V, numero 45648/2013, ha specificato, in merito, che «nel delitto di atti persecutori l’elemento costitutivo sul piano materiale non è dato solo dal fattore tempo, ma dall’evento in termini di pregiudizio alla persona da porre in stretta correlazione con il dato della ripetitività» il verificarsi anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dalla norma, essendosi determinato nella persona offesa il perdurante e grave stato di ansia e di paura anche sul posto di lavoro. Il dolo sussiste anche in caso di «conclamato e comprovato vizio parziale di mente». Quanto all’elemento soggettivo del reato di stalking, ricorre senz’altro per il Giudice di primo grado il dolo generico, quindi «la volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente necessari per l'integrazione della fattispecie legale. Non occorre, invece, una rappresentazione anticipata del risultato finale, ma, piuttosto, la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell'apporto che ciascuno di essi arreca all'interesse protetto, insita nella perdurante aggressione da parte del ricorrente della sfera privata della persona offesa» Cass., Sez. V., numero 20993/2013 . Il dolo sussiste «pur sussistendo un conclamato e comprovato vizio parziale di mente», anche se nella commisurazione della pena il giudice non ha apportato la diminuzione di pena prevista dall’articolo 89 c.p

Tribunale di Catania, sez. II Penale, composizione monocratica, sentenza 6 marzo - 22 aprile 2014, numero 1044 Giudice Camilleri Ritenuto in fatto 1. G.F. è imputato del reato di cui all’articolo 612-bis, comma I e II c.p. perché poneva in essere i seguenti atti vessatori nei confronti di B.E. successivamente all’interruzione del rapporto sentimentale che si era instaurato con la medesima perseguitandola con continue pressioni affinchè riprendesse il rapporto attraverso telefonate ed uso di social network e mezzi informatici, ingiuriandola e minacciandola, presentandosi anche presso il luogo di lavoro e costringendola ad allontanarsi con lui per poter avere dei colloqui vertenti sempre sulla interruzione del rapporto affettivo e da ultimo facendosi trovare ancora una volta presso il luogo di lavoro, afferrandola per le braccia, minacciandola ed ingiuriandola pubblicamente cercando di impedirle di raggiungere il negozio ove prestava servizio con mansioni di commessa tanto da ingenerare allarme, fare giungere una guardia privata ed infine i Carabinieri che lo traevano in arresto, così cagionando nella B.E. un perdurante e grave stato di ansia e di paura e comunque di ingenerare un fondato timore per la proprio incolumità costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita ed interferendo anche sulla attività lavorativa in Catania, dal mese di agosto all’11 ottobre 2013. Motivazione G.F. veniva tratto in arresto in data per il reato di cui all’articolo 612 bis descritto in epigrafe. All’udienza del 12.10.2013 il decidente convalidava l’arresto ed applicava all’imputato la misura di cui all’articolo 282 ter c.p.p. All’udienza del 12.11.2013 l’imputato chiedeva procedersi nelle forme del rito abbreviato e all’odierna udienza le parti concludevano come da separato verbale. I fatti come descritti in querela da B.E.A. e le dichiarazioni sostanzialmente confessorie rese dall’imputato in sede di interrogatorio di garanzia, confermano pienamente la tesi accusatoria. L’imputato, infatti, dopo aver intrapreso una relazione sentimentale con la querelante nel mese di marzo 2013 durata alcuni mesi, si mostrava assillante e geloso oltre misura, sicché la giovane donna subiva un vero e proprio attacco alla sua vita personale e professionale, poiché il G. le impediva perfino di partecipare alla festa di compleanno del suo ex datore di lavoro. Compreso che la relazione non poteva proseguire, la B. decideva di lasciare l’imputato che anziché accettare la decisione della predetta, si mostrava aggressivo, minacciandola e insultandola. L'imputato la tormentava con messaggi su social network Facebook, telefonandole e importunandola anche sul posto di lavoro presso un negozio centro commerciale ove si recava il 10.10.2013 e in data 11.10.2014, allorché l’assillava, le afferrava le braccia, cercava spiegazioni per poi insultarla, tanto da attirare l’attenzione di una guardia giurata, Z.D.A., assunto a s.i.t., il quale ha descritto l’ostinazione con cui l’imputato si rifiutava di allontanarsi continuando a perseguitare la giovane donna. Per tale ragione in seguito alla querela della B. l'imputato veniva tratto in arresto dai Carabinieri della stazione di Catania -Librino giunti sul posto chiamati dalla suddetta guardia giurata. Orbene, quanto al reato di stalking contestato risulta comprovato che la relazione sentimentale tra il G. e B. divenne in breve sempre più insostenibile per la donna, a causa del comportamento asfissiante dell'imputato, che manifestava sempre più la sua patologica gelosia e mancanza di ogni misura, ossessionando così la persona offesa con telefonate e messaggi su Facebook dopo che la medesima aveva deciso di troncare i rapporti. Pertanto, ritiene il decidente che la persecuzione posta in essere dall'imputato ai danni della B. risulti compiutamente comprovata, sia connotata dalla reiterazione protrattasi per un apprezzabile arco temporale e abbia determinato nella persona offesa timore e stato d'ansia persino sul posto di lavoro. Risulta quindi pienamente integrato sotto il profilo materiale il contestato reato di stalking, tenuto conto che é sufficiente per integrare il reato de qua il verificarsi anche di uno solo degli eventi previsti dalla norma di cui all'articolo 612 bis c.p. Sotto il profilo soggettivo ricorre senz'altro il dolo generico, sufficiente per integrare il reato in oggetto, pur sussistendo un conclamato e comprovato vizio parziale di mente. All'imputato in considerazione della giovane età e del corretto comportamento processuale vanno concesse le circostanze attenuanti generiche. Letti i parametri di cui all'articolo 133 c.p., è quindi conforme a giustizia determinare la pena in due mesi e giorni venti di reclusione pena base mesi sei di reclusione, diminuita a mesi quattro ex articolo 62 bis c.p., ulteriormente ridotta di un terzo per il beneficio del rito . L'imputato per effetto della condanna é tenuto altresì al pagamento delle spese processuali. Presumendo ragionevolmente l'emenda per effetto della condanna inflitta, si concede il beneficio della sospensione condizionale della pena. Ai sensi dell'articolo 300 comma III c.p.p. dichiara l'inefficacia della misura cautelare. P.Q.M. Visti gli articolo 442, 533, 535 c.p.p., dichiara G.F. colpevole del reato ascrittogli e concesse le circostanze attenuanti generiche e previa riduzione di un terzo per il beneficio del rito abbreviato lo condanna alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'articolo 163 c.p., ordina che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per il periodo di anni cinque alle condizioni di legge. Visto l'articolo 300 comma III c.p.p., dichiara l'inefficacia della misura cautelare di cui all'articolo 282 ter c.p.p. applicata all'imputato con ordinanza del 12.10.2013. Fissa il termine di giorni quarantacinque per il deposito delle motivazioni.

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