Notizia vera, titolo e ‘pezzi’ allusivi: giornalista condannato

Riflettori puntati sulla gestione di un concorso pubblico organizzato dalla Regione, e si parla addirittura di ‘concorsopoli’. A corredo anche il dato, vero, che vincitrice del concorso è una parente di un ex assessore regionale. Decisive le allusioni che emergono dagli articoli e dal titolo.

Scritti giornalistici e titoli caratterizzati da una allusione neanche troppo nascosta. Il messaggio, che si può leggere ‘tra le righe’, è che un ex assessore regionale abbia mosso i propri ‘contatti’ pèr favorire la nipote in un concorso pubblico organizzato proprio dalla Regione. In effetti, la giovane è risultata vincitrice della selezione, ma l’accostamento tra questo dato di fatto e l’ipotesi – delineata nel titolo, dove si parla di Concorsopoli” – che vi siano stati ‘magheggi’, per modificare l’esito del concorso, è davvero eccessivo. Inevitabile la condanna del giornalista per il reato di diffamazione Cass., sent. n. 13565/2015, Quinta Sezione Penale, depositata oggi . Allusioni. Percorso netto, in negativo, per il giornalista, accusato di diffamazione per due ‘pezzi’ pubblicati da un quotidiano sardo. Per i giudici di merito, difatti, l’addebito è legittimo il giornalista, in sostanza, ha fatto balenare, coi propri scritti, l’ipotesi che un ex assessore regionale abbia favorito, in un concorso pubblico una nipote, solo diplomata, a danno di precari laureati . Consequenziale, quindi, la condanna per il giornalista. Che ora viene sconfitto in via definitiva, a seguito della decisione della Cassazione, laddove viene ritenuta corretta la valutazione compiuta in Appello sulla scorrettezza compiuta coi due ‘pezzi’. Il giornalista ha proposto ricorso, puntando sulla esimente del diritto di critica , sostenendo che i giudici di merito non hanno precisato in quale parte gli articoli fossero non veridici, essendosi limitati a stigmatizzarne il tono allusivo , e aggiungendo che nessun attacco personale era stato rivolto contro l’ex assessore, essendo stati riportati solo i malcontenti degli ‘sconfitti’, una volta chiuso il concorso. Tali considerazioni, però, non sono ritenute di valore, da parte dei giudici del ‘Palazzaccio’. Questi ultimi, difatti, riconoscono sì che il fatto che una parente dell’ex assessore avesse superato il concorso, bandito dalla Regione, era, in realtà, una notizia vera , ma aggiungono che riferire quella notizia sotto il titolo di ‘concorsopoli’ significava ipotizzare manovre illecite del presunto patrocinatore della vincitrice . E significativo, in questo contesto, era anche il tono gratuitamente allusivo del ‘pezzo’ giornalistico. Tutto ciò conduce, come detto, alla conferma della condanna per diffamazione .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 – 30 marzo 2015, n. 13565 Presidente/Relatore Nappi Motivi della decisione Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Cagliari ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di J.N., giornalista del quotidiano la Sardegna, in ordine al delitto di diffamazione nei confronti di M.L.L., ex assessore regionale, accusato in due articoli del quotidiano di avere favorito in un concorso pubblico una nipote solo diplomata, a danno di precari laureati. Ricorre per cassazione J.N. e propone un motivo d'impugnazione. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando che sia stata ingiustificatamente esclusa l'esimente del diritto di critica, anche putativa. Sostiene che i giudici del merito non hanno precisato in quale parte gli articoli fossero non veridici, essendosi imitati a stigmatizzarne il tono allusivo. Nessun attacco personale era stata rivolto contro Luridiana, ma si erano riportati solo i malcontenti degli esclusi. Il ricorso è infondato. Come ben argomentato dai giudici del merito, che la cugina dell'ex assessore avesse superato il concorso bandito dalla regione era in realtà una notizia vera. Ma riferirla sotto il titolo di concorsopoli significava ipotizzare manovre illecite del presunto patrocinatore della vincitrice. E di tali illiceità non veniva fornita alcuna prova, neppure ricercata e quindi in un contesto incompatibile con la putatività dell'esimente, anche il tono gratuitamente allusivo dell'articolo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.