Tra onere della prova e amministratore di fatto la Cassazione detta regole ferree

In tema di prova del delitto di bancarotta fraudolenta il mancato rinvenimento all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni o utilità nella disponibilità della società fallita costituisce circostanza idonea a fondare la ragionevole presunzione della loro distrazione, in mancanza di giustificazione da parte dell’imputato in ordine alla loro destinazione al soddisfacimento di esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini, senza che ciò possa implicare indebita inversione dell’onere probatorio, per cui la prova della distrazione o dell’occultamento di beni della società fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore della destinazione dei beni suddetti.

Questi i principi statuiti dalla Cassazione penale che, con la sentenza numero 6199/16 depositata il 15 febbraio, ha chiarito anche i canoni per individuare la figura dell’amministratore di fatto. Un contesto allarmante. La pronuncia in esame prende in esame l’attività di un gruppo di società, che avevano come unico scopo quello di acquisire il controllo di società in stato di decozione con lo scopo dichiarato di rilanciarle, ma in realtà operando lo scorporo verso ed a favore di altre società dell’attivo, per poi lasciare il solo peso della passività alla inevitabile procedura fallimentare. Fenomeno tanto allarmante quanto diffuso negli ultimi anni. In siffatto contesto non stupisce pertanto che la Cassazione si sia pronunciata in termini rigorosi, ripercorrendo, peraltro, principi ormai assolutamente consolidati dalla giurisprudenza. Distrazione ed onore della prova. Il primo principio che viene ribadito dalla Cassazione, in tema di onore della prova, in punto di bancarotta fraudolenta per distrazione è che il mancato rinvenimento dopo la sentenza di fallimento, di beni o utilità nella della società fallita costituisce circostanza idonea a fondare la ragionevole presunzione della loro distrazione, in mancanza di giustificazione da parte dell’imputato in ordine alla loro destinazione al soddisfacimento di esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini Detto principio, espressione di consolidata giurisprudenza, chiarisce la Cassazione, non determina alcun inversione dell’onore della prova in capo all’accusa e dunque non contrasta con il canone costituzionale della presunzione di non consapevolezza. Il principio, che appare compatibile con l’importanza del bene giuridico tutelato, pone, tuttavia, perplessità alla luce della possibilità per l’accusa di risalire senza limite all’indietro nel tempo per contestare condotte distruttive, in quanto come noto il reato di bancarotta si consuma solo con la sentenza dichiarativa di fallimento e, dunque, solo da detto momento decorre il termine di prescrizione. Ciò consente la contestazione di condotte distrattive commesse molti anni prima della dichiarazione di fallimento, il ché rende assai problematico per l’imputato affrontare ed assolvere l’onere della prova liberatoria imposto da questo orientamento giurisprudenziale. La figura dell’amministratore di fatto. La pronuncia in commento si segnala anche in quanto si sforza di tratteggiare quali siano le situazione idonee a delineare la figura e conseguente responsabilità dell’amministratore di fatto. Ricorda, infatti, la Cassazione che la nozione di amministratore di fatto, derivante dalla lettera dell’articolo 2639 c.c., richiede l’esercizio in modo continuativo e significativo dei tipici poteri dell’amministratore. Continuatività e significatività, precisano gli Ermellini, non comportano il necessario esercizio di tutti i potei gestori, essendo sufficiente una attività gestoria svolta in modo non episodico ed occasionale e di carattere apprezzabile. La figura dell’amministratore di fatto potrà dunque ravvisarsi allorché il soggetto all’interno della società svolga funzioni gerarchiche e direttive in qualunque momento dell’iter della produzione e commercializzazione di beni o servizi, nei rapporti di lavoro con i dipendenti, ovvero nei rapporti con finanziatori, fornitori e clienti. La attività gestoria, prosegue la Cassazione, può esplicarsi in qualsiasi branca aziendale sia essa produttiva, amministrativa, contrattuale, o disciplinare. L’accertamento di tali situazioni, concludono gli Ermellini, è un accertamento di fatto che, laddove sostenuto da motivazione congrua e logica, è insindacabile in sede di legittimità. Sulla base di tali premesse il ricorso, fondato essenzialmente sul riconoscimento operato dai giudici di merito dello status di amministratore di fatto, viene rigettato. Regole stringenti e consolidate. I principi affermati nella sentenza in commento sono frutto di una elaborazione giurisprudenziale ormai consolidata e alquanto risalente che ha peraltro trovato riconoscimento, in punto di individuazione dei soggetti responsabili o meglio corresponsabili, anche nella introduzione legislativa della figura dell’amministratore di fatto nell’art 2639 c.c., dettato per i reati previsti dal libro V, Titolo XI del codice civile, ma pacificamente estensibile anche alle fattispecie di diritto penale fallimentare. Altrettanto pacifico il principio in punto di onore della prova della distrazione, affermandosi che il fallito ha l’obbligo di dimostrare la destinazione dei beni dei quali sia certa la preesistenza nel suo patrimonio e che non siano stati rinvenuti all’atto della redazione dell’inventario dopo la dichiarazione di fallimento. Nonostante la giurisprudenza affermi che la suddetta presunzione opera come prova indiziaria ai sensi dell’articolo 192 c.p.p. e che dunque può essere posta nel nulla laddove l’imputato alleghi fatti e circostanze di segno contrario, è opportuno ricordare come la più tradizionale ed autorevole dottrina contrasti tale impostazione ed evidenziando come, nonostante le esplicite negazioni della giurisprudenza – presenti anche nella massima in commento – ci si trovi di fronte ad una vera e propria inversione, non consentita, dell’onere della prova. In effetti pare difficile negare fondamento alle osservazioni giurisprudenziali laddove si pensi all’ipotesi, invero non infrequente, dell’imprenditore che non sia in grado per mero disordine amministrativo, ovvero per negligenza di collaboratori di dimostrare la effettiva destinazione dei beni in conformità agli scopi sociali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 novembre 2015 – 15 febbraio 2016, numero 6199 Presidente Bruno – Relatore Fidanzia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa del 21 novembre 2014 la Corte d'Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza della sentenza di primo grado, riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche riconosciute equivalenti alla contestata recidiva, rideterminava a carico dello stesso la pena in anni 3 mesi 6 di reclusione. L'imputato è stato riconosciuto colpevole, in concorso con N.M. la cui posizione è stata stralciata, di due delitti di bancarotta distrattiva, di cui alle lett. c e d del capo d'imputazione, ai danni delle società Primamoda s.a.s. di P.A. & amp C. e della PMC Italia s.r.l., dichiarate entrambe fallite il 16.4.2009, nella qualità rispettivamente di amministratore di fatto della Sant'Ovidio s.r.l. e di diritto della SBC Consulting s.r.l. per la prima bancarotta e di socio del gruppo NPL per la seconda . In particolare, quanto al capo c , è contestata al T. l'acquisizione a beneficio della Sant'Ovidio s.r.l. di rimanenze di magazzino per un valore di Euro 1.154.000,00 di proprietà della Primamoda s.a.s. nonché l'acquisizione con separato negoziale a beneficio della SBC Consulting di crediti esigibili sempre nella titolarità della Primamoda s.a.s. per un importo di Euro 501.899,81, quanto al capo d è contestata l'effettuazione di rimesse distrattive per un importo di Euro 137.000,00 nei confronti di alcune società facenti parte del gruppo NPL di Brescia. 2.1 Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, deducendo quale unico motivo l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale mancanza, contraddittorietà della motivazione. Si duole l'imputato che la Corte territoriale avrebbe desunto il suo ruolo di vertice all'interno delle società indicate nei capi di imputazione sulla base di deposizioni travisate con riferimento alla teste M. , o ritenute ingiustificatamente attendibili con riferimento al Ma. , amministratore di diritto della PMC Italia s.r.l., che avrebbe dovuto essere sentito ai sensi dell'articolo 197 bis c.p.p. . Il ricorrente si duole altresì che la corte territoriale non avrebbe fornito una motivazione congrua in ordine alla effettiva consapevolezza da parte del T. delle condotte distrattive del N. avendo lo stesso curatore del fallimento Primamoda s.a.s., sig. G. , evidenziato che il T. non rivestiva alcun ruolo formale nelle società a favore delle quali sono state effettuate le condotte distrattive e che il dominus del gruppo era il N. . 2.2. Con motivi aggiunti depositati in data 4.11.2015 il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, con riferimento al capo d , ha ingiustificatamente valorizzato la deposizione del curatore G. il quale non aveva precisato in base ai quali documenti il T. potesse essere ritenuto il responsabile finanziario del Gruppo NPL. La Corte, a fronte degli articolati e specifici motivi di impugnazione, non ha spiegato sulla base di quali evidenze probatorie il ricorrente, che non è parte né delle società emittenti i pagamenti né di quelle destinatane abbia concorso alle rimesse distruttive. La corte avrebbe commesso un salto logico nel percorso motivazionale ritenendo che essendo il T. socio di fatto del N. , con conseguente condanna per la condotta distrattiva di cui al capo c sarebbe automaticamente responsabile anche per la condotta distrattiva di cui al capo d ., essendo diversi i soggetti coinvolti, distinto l'oggetto delle condotte distruttive. Considerato in diritto Il ricorso non è fondato e va pertanto rigettato. Il ricorrente contesta di aver mai assunto un ruolo di vertice all'interno delle società beneficiane delle condotte distrattive di cui ai capi di imputazione ed in ogni caso del gruppo NPL e ciò sul rilievo che la Corte di merito avrebbe erroneamente ricostruito la vicenda per cui è processo, travisando le prove vedi deposizione teste R. o comunque attribuendo una valenza probatoria eccessiva a testi inattendibili Ma. o non significativi G. . Il ricorrente vedi motivo aggiunto ritiene che la Corte territoriale, nel suo percorso motivazionale, abbia compiuto un salto logico nel ritenere che lo stesso in quanto reputato socio di fatto del sig. N.A. debba essere ritenuto automaticamente responsabile oltre che delle condotte distrattive di cui al capo c anche di quelle di cui al capo d . Non vi è dubbio che il motivo del ricorrente si risolva nella sollecitazione ad una valutazione del materiale probatorio diversa da quella operata dal giudice d'appello che è preclusa in sede di legittimità. In proposito, va osservato che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, costituendo un giudizio di fatto, è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema Sez 2, numero 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362 . Nel caso di specie, la Corte territoriale è pervenuta ad un giudizio di penale responsabilità del ricorrente con una motivazione completa, coerente ed immune da vizi logici che può essere integrata anche dalla sentenza di primo grado. A tale riguardo, vanno ricordati i principi espressi da questa Corte in ordine alla vicendevole integrazione delle sentenze conformi di primo e secondo grado ed doppia conforme confluenti in un unico risultato organico ed inscindibile in tutti i casi in cui le due sentenze di primo e secondo grado contengano un'analisi ed una valutazione concorde degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo discende da ciò che, ai fini della valutazione della congruità del provvedimento impugnato, occorre avere riguardo anche alla sentenza di primo grado Sez. 1, numero 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906 Sez. 2, numero 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv. 236181 . Orbene, i giudici di merito hanno ben ricostruito quella che era l'attività del gruppo NPL composto da società costituenti scatole vuote in quanto non svolgenti di fatto alcuna attività, senza dipendenti né bilancio ed aventi capitale sociale minimo e la propria sede al medesimo indirizzo ovvero di ricerca di aziende in decozione al fine dichiarato di risanarle attuando uno smembramento che consisteva nel separare le passività dalle attività, lasciando che il solo il peso delle passività sfociasse nel fallimento ed incorporando i crediti esigibili ed eventuali cespiti attivi magazzino nella società cassaforte del gruppo, la SBC Consulting s.r.l., di cui l'imputato era l'amministratore di diritto dal 29.11.2008. Nell'ambito di tale attività di acquisizione di aziende insolventi, rilevano i giudici di merito, che era stata individuata quale società decotta la Primamoda s.a.s. di P.A. che aveva un passivo di oltre 17 milioni di Euro ma un magazzino di circa Euro 1.154.000 e crediti per Euro 501.899,81 con riferimento alla quale, nonostante il N. ed il T. avessero rassicurato i dipendenti in ordine alla ripresa dell'attività produttiva ed alla corresponsione degli stipendi arretrati, l'unica attività che fu svolta all'interno dello stabilimento della ex Primamoda fu l'allestimento di un ufficio finalizzato alla riscossione dei crediti sopra indicati ceduti alla SBC Consulting per un corrispettivo Euro 160.000 non congruo e comunque mai corrisposto dalla cessionaria pari a meno di un terzo del valore dei crediti ceduti, nonostante questi fossero facilmente esigibili in quanto vantati nei confronti di clienti storici della Primamoda s.a.s. di provata solvibilità e puntualità. Alla censura del ricorrente secondo cui l'acquisto di tali crediti da parte della SBC fu opera del N. , tanto è vero che non fu rinvenuta una sua delega rilasciata allo stesso N. per tale operazione, esaustivamente la Corte di merito ha replicato che la condotta successiva del T. fu del tutto adesiva al contenuto del negozio stipulato dal N. , tanto è vero che fu lo stesso T. ad organizzare l'allestimento di un call-center incaricato di chiamare i clienti che dovevano pagare le forniture oggetto dei crediti ceduti e promosse l'azione giudiziaria volta al recupero degli stessi. Nella ricostruzione dei giudici di merito, tale attività spogliativa fu compiuta anche con riferimento al magazzino che fu formalmente ceduto alla Sant'Ovidio ma che entrò nella diretta disponibilità di altra società del Gruppo NPL, la PMC Italia, di cui era amministratore di fatto il T. , che di fatto si insediò nello stabilimento di OMISSIS già della Primamoda s.a.s Tale spoglio fu accertato dal dottor G. , curatore del successivo fallimento sia della Primamoda s.a.s. che della PMC Italia, che non rinvenne nulla di tale magazzino. A tal proposito, non vi è ragione per cui non debba essere applicato anche alla fattispecie in esame il consolidato principio di elaborazione giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, secondo cui in tema di prova del delitto di bancarotta fraudolenta, il mancato rinvenimento, all'atto della dichiarazione di fallimento, di beni o utilità nella disponibilità della società fallita costituisce circostanza idonea a fondare la ragionevole presunzione della loro distrazione, in mancanza di giustificazione, da parte dell'imputato, in ordine alla loro destinazione al soddisfacimento di esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini, senza che ciò possa implicare indebita inversione dell'onere probatorio, per cui la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell'amministratore, della destinazione dei beni suddetti cfr., da ultime, Cass., sez. 5A, 17/04/2013, numero 22894, rv. 255385 Cass., sez. 5^, 08/03/2013, numero 23749 . La Corte di merito, seguendo il percorso logico-argomentativo del giudice di primo grado, con osservazioni coerenti ed immuni da vizi logici, ha confutato la tesi del ricorrente secondo cui lo stesso non sarebbe stato consapevole dell'attività di spoglio perpetrata dal gruppo NPL e che l'unico vero artefice della politica economico finanziaria del gruppo societario sarebbe stato il N. . Posto che il giudice di primo grado aveva illustrato come il T. si presentò all'interno del gruppo NPL sia agli ex dipendenti di Primamoda s.a.s. come socio di N. , richiamando all'uopo le dichiarazioni dei testi Pe. , dipendente della SBC Consulting, R. , segretaria del N. , M. , dipendente del gruppo NPL, Ma. amministratore di diritto della PMC Italia, la Corte territoriale si è fatta carico di rispondere alle specifiche doglianze contenute nei motivi d'appello nelle quali si censurava che il giudice di primo grado avrebbe travisato o trascurato le deposizioni testimoniali di numerosi testi, dalla cui audizione sarebbe, invece, emerso che il ricorrente non aveva rivestito affatto un ruolo apicale nel gruppo NPL. Il giudice di secondo grado si è quindi dilungato nell'esame delle deposizioni dei testi Po. , Ma. , Ri. , Pe. , M. , P. , F.C. , p. , riportandone in modo dettagliato le parti più significative ed evidenziando le eventuali contraddizioni, traendo la conclusione che dalla lettura complessiva di tali dichiarazioni il ruolo del T. non ne usciva affatto ridimensionato. Risultava, infatti, che il N. presentava il ricorrente a tutti come suo socio nonché responsabile del settore finanziario del gruppo che il ricorrente, unitamente al N. , aveva trattato i rapporti con i dipendenti della Primamoda s.a.s., tanto è vero che si era anche occupato della creazione del cali center che lo stesso T. si era presentato al teste p. quale amministratore della PMC Italia, società di cui era inequivocabilmente il responsabile finanziario, tanto è vero che il formale amministratore, sig. Ma. non aveva la delega in banca e si doveva rapportare con lui per il pagamento degli stipendi dei dipendenti. La Corte di merito ha valorizzato altresì le e-mail che si sono scambiate T. e N. , già esaminate dal giudice di primo grado vedi pag. 8 della sentenza , nelle quali l'odierno imputato veniva definito dall'altro socio operativo , il cui parere veniva definito prezioso , e da cui emergeva, altresì, che N. si consultava sovente col ricorrente sui temi inerenti all'attività delle società ed ai compiti da assegnare al personale e che T. ordinava in autonomia la movimentazione delle somme di denaro per le varie società del gruppo, completando all'occorrenza le operazioni bancarie tramite i codici e le password del sistema home banking di cui aveva la diretta disponibilità. Nessun dubbio che le articolate argomentazioni dei giudici di merito abbiano fatto emergere la responsabilità del ricorrente per tutti i reati ascrittigli, essendo stato da essi accertato come lo stesso svolgesse non solo formalmente ma anche operativamente le funzioni di amministratore della SBC Consulting, società cessionaria dei crediti distratti alla Primamoda srl, che lo stesso rivestisse altresì il ruolo di amministratore di fatto della PMC Italia tale operatività è stata sopra evidenziata società che si è appropriata del magazzino della Primamoda s.a.s. e da cui sono partite le sette rimesse distrattive per l'importo complessivo di Euro 137.000,00 di cui al capo d . A tal proposito, la sentenza di primo grado pag. 6 ha analiticamente descritto tali rimesse effettuate senza una qualsiasi giustificazione di carattere economico-contabile a favore delle società del gruppo NPL da parte del PMC Italia, il cui responsabile di fatto della gestione finanziaria era appunto il ricorrente. Al riguardo va rilevato che, come affermato da tempo nella giurisprudenza di legittimità, in tema di reati fallimentari, il soggetto che, ai sensi della disciplina dettata dall'articolo 2639, c.c., assume la qualifica di amministratore di fatto della società fallita è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore di diritto , per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili come i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale , tra i quali vanno ricomprese le condotte dell'amministratore di diritto , anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali condotte, in applicazione della regola di cui all'articolo 40 c.p., comma 2, cfr. Cass., sez. 5^, 20/05/2011, numero 39593, rv 250844 Cass., sez. 5A, 2/3/2011, numero 15065, Guadagnoli e altro, rv. 250094 . Consolidato appare all'interno della giurisprudenza di legittimità anche l'orientamento secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'articolo 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, anche se significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale. La posizione dell'amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l'attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell'accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall'organico inserimento del soggetto, quale intraneus che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell’”iter di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare. Peraltro l'accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica cfr. Cass., sez. 5^, 14.4.2003, numero 22413, Sidoli, rv. 224948 Cass., sez. 1^, 12.5.2006, numero 18464, Ponciroli, rv. 234254 . cfr. Cass., sez. 5^, 13.4.2006, numero 19145, Binda e altro, rv. 234428 . Il discorso giustificativo sviluppato dai giudici di merito nell'accertamento della qualità di amministratore di fatto da parte del ricorrente della PMC Italia s.r.l. risponde pienamente alle esigenze di completezza e di consequenzialità logica sulle quali si esercita il controllo di legittimità nel giudizio di cassazione. Il ricorso deve quindi essere rigettato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.