L’istituto della “confisca allargata” per la sua natura speciale, non richiede alcun rapporto fra il patrimonio ed il fatto di reato, pretendendo invece l’esistenza di una sproporzione tra i beni o il denaro nella disponibilità dell’imputato rispetto al suo reddito o all’attività economica svolta nonché la mancata giustificazione della lecita provenienza del denaro o dei beni.
Così ha statuito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 16775/21 depositata il 3 maggio. Il GIP del Tribunale di Civitavecchia applicava all’imputato la pena concordata dalle parti per il reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente. La Sesta Sezione di questa Corte annullava la pronuncia del GIP limitatamente alla confisca di denaro, in presenza di una motivazione apparente. Con sentenza il GIP del Tribunale di Civitavecchia, diversa persona fisica, in sede di rinvio, ordinava la confisca del denaro in sequestro, non avendo l’imputato giustificato la provenienza dell’importo, giudicando la somma spropositata rispetto l’attività lavorativa dichiarata. Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso in Cassazione. La Suprema Corte accoglie il ricorso evidenziando come l’istituto della “confisca allargata” per la sua natura speciale, non richiede alcun rapporto fra il patrimonio ed il fatto di reato, pretendendo invece l’esistenza di una sproporzione tra i beni o il denaro nella disponibilità dell’imputato rispetto al suo reddito o all’attività economica svolta nonché la mancata giustificazione della lecita provenienza del denaro o dei beni. La presunzione iuris tantum d’illecita accumulazione patrimoniale può essere superata dall’interessato sulla base di specifiche allegazioni dalle quali risulti la legittima provenienza del bene sequestrato, in quanto acquistato con proventi derivanti dalla propria capacità reddituale lecita. La Corte di Cassazione sottolinea a tal proposito come nel caso di specie non sia stata raggiunta la prova della sproporzione tra il denaro trovato in possesso dell’imputato e la sua attività lavorativa lo stesso infatti, in sede di interrogatorio aveva prodotto documenti che attestavano il proprio lavoro. Alla luce di tali considerazioni la Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 aprile – 3 maggio 2021, numero 16775 Presidente Gallo – Relatore D’Agostini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15/5/2019 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Civitavecchia, ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., applicava a I.R. la pena concordata dalle parti per il reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo marijuana D.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, articolo 73, comma 4 . La Sesta Sezione di questa Corte, con sentenza del 18/6/2020, annullava la pronuncia del G.i.p. limitatamente alla confisca della somma di denaro pari a 560 Euro , in presenza di una motivazione apparente. Con sentenza del 26/11/2020 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Civitavecchia diversa persona fisica , in sede di rinvio, ordinava la confisca del denaro in sequestro ai sensi del D.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, articolo 240 bis e 85 bis, non avendo l’imputato giustificato la provenienza del denaro, il cui importo sarebbe stato sproporzionato rispetto all’attività lavorativa che egli ha dichiarato di svolgere, avuto anche riguardo alle sue condizioni economiche proprietà solo di un’autovettura . Peraltro, il denaro non poteva comunque essere restituito all’imputato in quanto provento di pregresse cessioni e quindi corrispettivo conseguente ad un negozio illecito per contrarietà a norme imperative. 2. Ha proposto ricorso I.R. chiedendo l’annullamento della sentenza per violazione di legge e motivazione carente ed illogica. Il giudice non ha considerato che l’imputato è un giovane incensurato, con un regolare nucleo abitativo e familiare ed una stabile attività lavorativa, come da documentazione prodotta già all’udienza di convalida dell’arresto, che dimostrava la sua capacità economica. Nella sentenza, inoltre, non è stata valutata la pertinenza del denaro rispetto al reato contestato, in violazione del D.L. 8 giugno 1992, numero 306, articolo 12 sexies, convertito nella L. 7 agosto 1992, numero 356 ora articolo 240 bis c.p. . Il denaro, infine, non può essere ritenuto profitto dell’attività illecita qualora - come nel caso di specie - all’imputato sia contestato esclusivamente il reato di detenzione di sostanze stupefacenti. 3. Nelle proprie conclusioni il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso venga accolto, con annullamento della sentenza senza rinvio, quanto alla confisca del denaro. considerato in diritto 1. Il motivo di ricorso è fondato. 2. Il D.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, articolo 85 bis, dispone che, in caso di sentenza di condanna o applicazione della pena per uno dei reati previsti dall’articolo 73 dello stesso decreto, esclusa la fattispecie di cui al comma 5 fatto di lieve entità , si applica l’articolo 240 bis c.p., norma che, a seguito della introduzione del principio della riserva di codice articolo 3-bis c.p. da parte del D.Lgs. 1 marzo 2018, numero 21, ha sostituito il D.L. 8 giugno 1992, numero 306, articolo 12 sexies, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, numero 356. Poiché, in assenza di alcuna modifica sotto il profilo contenutistico, fra le due norme vi è pacificamente continuità normativa Sez. 1, numero 15542 del 12/11/2019, dep. 2020, Ianni, Rv. 278900 , i principi elaborati dalla giurisprudenza in relazione alla previgente disposizione sono tuttora pertinenti. Pertanto, va ribadito che l’istituto della confisca allargata o per sproporzione , per la sua natura speciale, non richiede alcun rapporto fra il patrimonio ed il fatto di reato, pretendendo invece l’esistenza di una sproporzione tra i beni o il denaro nella disponibilità dell’imputato rispetto al suo reddito o alla attività economica svolta nonché la mancata giustificazione della lecita provenienza del denaro o dei beni. In particolare, dall’accertata sproporzione, che spetta alla pubblica accusa provare, scatta una presunzione iuris tantum d’illecita accumulazione patrimoniale, che può essere superata dall’interessato sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene sequestrato, in quanto acquistato con proventi proporzionati alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato cfr., ad es., Sez. 2, numero 43387 del 08/10/2019, Novizio, Rv. 277997 Sez. 4, numero 51331 del 13/09/2018, S., Rv. 274052 Sez. 2, numero 29554 del 17/06/2015, Fedele, Rv. 264147 Sez. 6, numero 45700 del 20/11/2012, Di Marzio, Rv. 258316 . Nel caso di specie, il ricorrente ha contestato che sia stata raggiunta la prova della sproporzione fra il denaro trovato in suo possesso e la sua attività lavorativa, documentata con produzioni effettuate all’udienza di convalida dell’arresto. Il giudice, sul punto, ha richiamato la dichiarazione di I. , fatta in sede di interrogatorio reso alla stessa udienza, in ordine alla propria occupazione aiuto in spiaggia , coerente rispetto ai documenti prodotti, dai quali risulta che I. era socio lavoratore di una cooperativa e svolgeva le mansioni di manutentore di stabilimenti balneari l’imputato, inoltre, conviveva con la compagna e con la figlia piccola, che all’epoca aveva nove mesi. Considerate l’attività lavorativa svolta e l’entità della somma sequestrata 560 Euro , ritiene il Collegio che non sia stato dimostrato il presupposto della sproporzione. Risulta condivisibile anche l’ulteriore rilievo del Procuratore generale il giudice ha osservato che tale denaro costituisce certamente provento di pregresse cessioni , richiamando un principio non pertinente nel caso di specie. Il denaro, infatti, non può essere sottoposto a confisca facoltativa, ai sensi dell’articolo 240 c.p., comma 1, non potendo essere considerato profitto del reato a I. , infatti, è stato contestato esclusivamente il delitto di detenzione di sostanze stupefacenti, non anche quello di cessione in questo senso v. Sez. 4, numero 40912 del 19/09/2016, Ka, Rv. 267900 Sez. 2, numero 41778 del 30/09/2015, Scivoli Di Domenico, Rv. 265247 Sez. 3, numero 2444 del 23/10/2014, Anibaldi, Rv. 262399 Sez. 3, numero 7074 del 23/1/2013, Lagrini, Rv. 253768 . 4. Ne consegue, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata la somma in sequestro va restituita al ricorrente. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, disponendo la restituzione del denaro in sequestro al ricorrente.