Vittoria per la lavoratrice, che ottiene la riammissione in servizio e oltre 11mila euro. Puramente formale il contratto a progetto. Decisivi i dettagli concreti della prestazione offerta dalla dipendente.
Puramente formale il contratto a progetto con cui la società ha assunto una donna come operatrice da call-center. Nella realtà la lavoratrice opera nei locali della società in fasce orarie prestabilite, utilizzandone gli strumenti – computer e telefono – e cercando di raggiungere gli obiettivi minimi prefissati dall’azienda. A fronte di questo quadro, i Giudici ritengono legittima la richiesta della donna di vedersi riconosciuto un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato Cassazione, ordinanza numero 28190/17, sez. VI Civile - L, depositata oggi . Livello ufficiale. La battaglia legale tra azienda e lavoratrice vive un passaggio decisivo in Appello. Lì i Giudici smentiscono la decisione pronunciata in Tribunale ed escludono che il rapporto di lavoro in concreto realizzatosi sia corrispondente al «contratto a progetto» esistente a livello ufficiale. Di conseguenza, viene dichiarata in secondo grado la sussistenza di «un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato» e la lavoratrice, impiegata come operatrice da call-center, viene riammessa in servizio e ottiene oltre 11mila euro a titolo di «differenze retributive». Prestazione. Pronta la reazione dell’azienda, che tramite i propri legali presenta ricorso in Cassazione, richiamando la decisione presa in Tribunale, laddove si era ritenuto «congruo il rapporto di lavoro» alla luce del relativo «progetto». I legali poi insistono anche sul fatto che «in caso di rapporto parasubordinato», come in questa vicenda, è logico che «il lavoratore parasubordinato si adatti alle esigenze organizzative del datore di lavoro, svolgendo a tal fine la propria attività in locali aziendali, con strumenti forniti dall’impresa e nelle ore in cui essa è in funzione». Queste obiezioni vengono però respinte dai Giudici della Cassazione, che confermano la visione tracciata in Appello. Assolutamente decisivi sono ritenuti i dettagli concreti del rapporto di lavoro tra società e dipendente, cioè il fatto che «la prestazione si svolgeva nei locali dell’azienda, in fasce orarie prestabilite, con l’utilizzo di strumenti messi a disposizione dalla società» e soprattutto «con l’indicazione di obiettivi minimi da raggiungere» e coi relativi «criteri di valutazione della prestazione». Nessun dubbio, quindi, per i magistrati del ‘Palazzaccio’ che ci si trovi di fronte a un «rapporto di lavoro subordinato».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 18 ottobre – 27 novembre 2017, numero 28190 Presidente Doronzo – Relatore Fernandes Rilevato che, con sentenza del 9 luglio 2015, la Corte di Appello di Catanzaro, riformando la decisione del primo giudice, dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra Da. La. e la Abramo Customer Care s.p.a. a decorrere dal 7 luglio 2004 con inquadramento nel IV livello del CCNL personale dipendente da imprese esercenti servizi di telecomunicazioni, con condanna di detta società alla riammissione in servizio della lavoratrice ed al pagamento in suo favore della somma di Euro 11.167,79 per differenze retributive, oltre accessori che avverso questa decisione propone ricorso per cassazione la Abramo Customer Care s.p.a. affidato a due motivi cui resiste con controricorso la La. che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell'articolo 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata Considerato che con il primo motivo di ricorso si deduce nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione violazione degli articolo 111 Cost. e 132, numero 4, cod. proc. civ. in relazione all'articolo 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ. in quanto la Corte territoriale nulla aveva detto in merito al progetto posto a base del rapporto intercorrente tra le parti e che il Tribunale aveva ritenuto congruo si precisa che detto motivo è formulato in via cautelativa e condizionato nel caso in cui si dovesse ritenere che la Corte di appello non aveva inteso - sia pure implicitamente - condividere la statuizione sul punto del Tribunale con il secondo mezzo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli articolo 2222 e ss. cod. civ., 409, numero 4, cod. proc. civ., 61 e 69 D.Lgs. 10 settembre 2003, numero 276, nonché nullità della sentenza per violazione degli articolo 111 Cost. e 132 , numero 4, cod. proc. civ. in relazione all'articolo 360, primo comma, nnumero 3 e 4, cod. proc. civ. per avere la Corte di appello utilizzato principi affermati da questa Corte con riferimento ad ipotesi in cui occorreva individuare gli indici propri della subordinazione in rapporti di lavoro autonomo e non, come nel caso in esame, parasubordinato in cui particolare rilievo assume il profilo del coordinamento il quale ben tollera che il lavoratore parasubordinato si adatti alle esigenze organizzative della datore di lavoro svolgendo a tal fine la propria attività in locali aziendali, con strumenti forniti dall'impresa e nelle ore in cui questa è in funzione si evidenzia, altresì, la sussistenza del vizio di motivazione apparente non essendo individuabile il percorso logico posto a fondamento della decisione dalla Corte di merito laddove afferma la ricorrenza degli indici propri dell'assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro peraltro, senza tenere conto delle deposizioni dei testi D'Ag. e Sa. richiamate nella decisione del Tribunale di rigetto della domanda della La. che il primo motivo è inammissibile non essendo conferente con la motivazione dell'impugnata sentenza che ha fondato la decisione solo sul concreto atteggiarsi della prestazione lavorativa prestata dalla La. quale rapporto di lavoro subordinato nonostante il nomen iuris adottato dalle parti avendo rilevato che la stessa si svolgeva nei locali dell'azienda, con l'utilizzo di strumenti da quest'ultima messi a disposizione computer, telefono, ecc. , in fasce orarie prestabilite con l'indicazione di obiettivi minimi da raggiungere e dei criteri di valutazione della prestazione, elementi sussidiari questi che, valutati nel loro complesso, rivelavano la ricorrenza della subordinazione che il secondo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile - è infondato laddove lamenta l'errata applicazione dei principi affermati da questa Corte con riferimento a casi in cui occorreva individuare gli indici propri della subordinazione in rapporti di lavoro autonomo e non, come nel caso in esame, parasubordinato in quanto, anche con riferimento ad ipotesi di contratto di collaborazione o a progetto per attività di operatore di call center , i requisiti fondamentali del rapporto di lavoro subordinato sono stati individuati in quelli indicati nella impugnata sentenza Cass. 18018 del 21 luglio 2017 Cass. 21539 del 18 settembre 2013, Cass. numero 4476 del 21 marzo 2012 - è, altresì, infondato, nella parte in cui denuncia il vizio di motivazione apparente in quanto nella impugnata sentenza è chiaramente individuabile l'iter logico posto a fondamento della decisione anche se sinteticamente esposto - è inammissibile nella parte in cui lamenta la omessa valutazione delle deposizioni dei testi escussi senza riportarne il contenuto con conseguente impossibilità da parte di questa Corte di valutarne la decisività che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato che le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'articolo 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio, introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228 legge di stabilità 2013 trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame Cass. numero 22035 del 17/10/2014 Cass. numero 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%. Ai sensi dell'articolo 13, co. 1 quater, del D.P.R. numero 115 del 2002 dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.