La maestra violenta risponde di maltrattamenti e non di abuso di mezzi di correzione

Laddove la condotta dell’insegnante travalichi i limiti dell’uso di mezzi di correzione, potendosi intendere tali solo quelli intrinsecamente deputati a tale scopo e all’educazione della persona affidata alla propria cura attraverso uno sviluppo armonico della personalità, nei valori della tolleranza e della pacifica convivenza, si configura la fattispecie del maltrattamento di fanciulli.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 47299/17 depositata il 13 ottobre. Il caso. Il Tribunale del riesame di Salerno accoglieva la richiesta di applicazione della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio dell’ufficio di insegnante dell’indagata, alla quale veniva contestato il reato di cui all’art. 572 c.p. Maltrattamento contro familiari o conviventi . In particolare, la maestra era stata accusata di maltrattamenti ai danni degli alunni a lei affidati, di età compresa tra i 3 e i 4 anni, vittime di ripetute imprecazioni, rimproveri, minacce e vere violenze fiscihe e psichiche. L’indagata ricorre dinanzi alla Corte di Cassazione dolendosi per l’asserita inidoneità delle condotte contestate ad integrare la fattispecie contestata, oltre alla mancanza di motivazione in relazione all’applicazione della misura. Inquadramento della condotta. La Corte, rigettando il ricorso, coglie l’occasione per precisare che, in tema di rapporti tra il reato di abuso dei mezzi di correzione art. 571 c.p. e quello di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, deve escludersi che l’intento educativo e correttivo dell’agente costituisca un elemento dirimente per far rientrare il sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori nella meno grave ipotesi delittuosa dell’abuso dei mezzi di correzione. Tale ultima fattispecie si concretizza non solo nell’uso di sanzioni corporali da parte di un insegnante peraltro espressamente vietati da r.d. n. 1297/1928 , ma anche in ogni condotta di coartazione fisica o morale che renda dolorose e mortificanti le relazioni tra l’insegnate e la classe o i singoli discendenti attuata consapevolmente, foss’anche per finalità educative astrattamente accettabili . L’uso abituale della violenza per scopi educativi non può dunque essere considerato come strumento di correzione e dunque di educazione, con la conseguenza che il ricorso a mezzi di educazione violenti concretizza il reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c,.p. e non può trovare spazio nella previsione dell’art. 571 c.p., nemmeno se sostenuto da animus corrigendi in quanto l’intenzione soggettiva non è idonea a far rientrare nella fattispecie meno grave una condotta oggettiva di abituali maltrattamenti, consistenti in rimproveri anche per futili motivi, offese e minacce, violenza fisiche . Il Tribunale del riesame risulta aver correttamente applicato i principi richiamati dal Collegio che dunque rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 3 luglio – 13 ottobre 2017, n. 47299 Presidente Ippolito – Relatore Mogini Ritenuto in fatto 1. L.D. ricorre avverso l’ordinanza in epigrafe, con la quale il Tribunale del Riesame di Salerno ha, sull’appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Salerno che aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio dell’ufficio di insegnante per il reato di cui all’art. 572 cod. pen., contestato alla L. per aver maltrattato gli alunni della classe prima B della scuola dell’infanzia omissis , di età compresa tra i tre e i quattro anni sezione cuccioli , a lei affidati in qualità di maestra, applicato alla ricorrente detta misura per la durata di dodici mesi in relazione all’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lett. c cod. proc. pen 2. La ricorrente censura l’ordinanza impugnata deducendo i seguenti motivi di ricorso. 2.1. Violazione degli artt. 572 cod. pen., 274, comma 1, lett. c e 289, comma 1, cod. proc. pen. in relazione alla palese inidoneità delle condotte contestate, prive del necessario requisito di abitualità, a determinare un’apprezzabile compromissione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice. Anche le poche condotte della ricorrente non del tutto ortodosse sarebbero comunque connotate dall’assenza di gravità e prive di ogni valenza vessatoria e maltrattante. 2.2. Violazione dell’art. 308, comma 2, cod. proc. pen. e mancanza di motivazione in relazione all’applicazione della sopraddetta misura interdittiva per la durata di dodici mesi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 1.1. È in particolare infondato il primo motivo di ricorso. Va al riguardo premesso che in tema di rapporti tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, deve escludersi che l’intento educativo e correttivo dell’agente costituisca un elemento dirimente per far rientrare il sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori nella meno grave previsione di cui all’art. 571 cod. pen Ne consegue che l’esercizio del potere di correzione al di fuori dei casi consentiti, o con mezzi di per sé illeciti o contrari allo scopo, deve ritenersi escluso dalla predetta ipotesi di abuso e va inquadrato nell’ambito di diverse fattispecie incriminatrici. Sez. 6, n. 45467 del 23/11/2010, Rv. 249216, in fattispecie nella quale è stata censurata la pronuncia di merito, ravvisando il delitto di maltrattamenti nei confronti dei bambini affidati ad un asilo . L’abuso dei mezzi di correzione da parte di un insegnante è del resto sicuramente integrato non solo dall’uso di sanzioni corporali, vietato espressamente dal R.D. 26 aprile 1928 n. 1297, ma anche da qualunque condotta di coartazione fisica o morale che renda dolorose e mortificanti le relazioni tra l’insegnante e la classe o i singoli discenti attuata consapevolmente, foss’anche per finalità educative astrattamente accettabili Sez. 6, n. 8314 del 25/06/1996, Rv. 206131 . Il termine correzione va infatti assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo e non può ritenersi tale l’uso abituale della violenza a scopi educativi, sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità delle persone, anche del minore, ormai soggetto titolare di specifici diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione, sia perché non può perseguirsi quale meta educativa lo sviluppo armonico della personalità usando un mezzo violento che tale fine contraddice, conseguendo da ciò che l’eccesso di mezzi di correzione violenti concretizza il reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen. e non rientra nella fattispecie di cui all’art. 571 cod. pen. neppure ove sostenuto da animus corrigendi Sez. 6, 10.5.2012, Ciasca Sez. 6, 2.5.2013, Banfi , poiché l’intenzione soggettiva non è idonea a far rientrare nella fattispecie meno grave una condotta oggettiva di abituali maltrattamenti, consistenti, in rimproveri anche per futili motivi, offese e minacce, violenze fisiche Sez. 6, 14.6.2013, Giusa . Va altresì ricordato che nel momento in cui è chiamato a verificare la persistenza del requisito della gravità degli indizi di colpevolezza, il Tribunale non può procedere ad una valutazione parcellizzata dei vari dati probatori, ma secondo il consolidato insegnamento di questa Corte - deve verificare se l’insieme degli elementi sottoposti al proprio vaglio, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune, sia tale da assumere la valenza richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. ex multis, Cass. Sez. 2, n. 9269 del 05/12/2012, Della Costa, Rv. 254871 . Di tali principi ha fatto buon governo, nel caso di specie, il Tribunale del riesame di Salerno, che ha ampiamente giustificato, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, la qualificazione penale data delle condotte della ricorrente accertate attraverso captazioni ambientali e, in particolare, a quelle descritte alle pp. 4-6, 7-10 del provvedimento impugnato, consistenti in ripetute imprecazioni, rimproveri, minacce e vere e proprie violenze fisiche e psichiche esercitate nei confronti di bambini in età prescolare, al di fuori di qualunque necessità educativa in una classe di appena dieci bambini naturalmente proclivi al gioco e che non manifestano nessuna particolare indisciplina. Adeguatamente giustificata risulta all’evidenza l’idoneità delle suddette condotte a provocare nelle giovani vittime uno stato di prostrazione e avvilimento p. 9-10 . Del tutto congruo risulta altresì, dal punto di vista fattuale, logico e giuridico, il percorso argomentativo ad esito del quale il Tribunale del riesame è pervenuto ad affermare la gravità indiziaria del reato di maltrattamenti negata dal G.i.p. e a negare l’eventuale sussistenza della diversa fattispecie di cui all’art. 571, comma 1, cod. pen., a fronte di comportamenti della ricorrente non isolati, ma ripetuti nel tempo nei confronti di una pluralità di minori affidati alla sua cura, suscettibili di costituire risposte sproporzionate rispetto alle cause ed alle finalità perseguite, a causa dell’uso di metodi di natura fisica, psicologica e morale esorbitanti dai limiti del mero rinforzo della proibizione o del messaggio educativo, in ragione dell’arbitrarietà dei presupposti, dell’eccesso nella misura della risposta correttiva - anche tenuto conto della tenera età delle persone offese -, nonché del non infrequente ricorso a condotte oggettivamente violente, quali gli strattonamenti, o il fatto di colpire i bimbi con le nocchie delle mani o di sbattere testa e braccia dei bimbi sul tavolo. Condotte queste che travalicano i limiti dell’uso dei mezzi di correzione, potendosi ritenere tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tendano cioè alla educazione della persona affidata alla propria cura e, quindi, allo sviluppo armonico della personalità, sensibile ai valori della tolleranza e della pacifica convivenza, senza trasmodare nel ricorso sistematico a mezzi violenti che tali fini formativi contraddicono. Il Collegio non può che ribadire che l’uso della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi , non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti Cass. Sez. 6, n. 36564 del 10/05/2012, C., Rv. 253463 Cass. Sez. 6, n. 4904 del 18/03/1996, C., Rv. 205033 . Ed invero, affinché possa essere configurato il reato di abuso dei mezzi di correzione in luogo del reato di maltrattamenti, la risposta educativa dell’istituzione scolastica deve essere sempre proporzionata alla gravità del comportamento deviante dell’alunno e, in ogni caso, non può mai consistere in trattamenti lesivi dell’incolumità fisica o afflittivi della personalità del minore Cass. Sez. 6 del 14/06/2012, n. 34492, V.G., Rv. 253654 . Né l’intenzione dell’agente di agire esclusivamente per finalità educative e correttive costituisce un elemento dirimente per far rientrare il sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori nella meno grave previsione di cui all’art. 571 cod. pen. anziché in quella dell’art. 572 cod. pen. Cass. Sez. 6, n. 45467 del 23/11/2010, P.G. in proc. C. e altri, Rv. 249216 . Ed invero, l’intenzione soggettiva non è idonea a far entrare nell’ambito della fattispecie meno grave dell’art. 571 cod. pen. ciò che oggettivamente ne è escluso, in quanto il nesso tra mezzo e fine di correzione va valutato sul piano oggettivo, con riferimento al contesto culturale ed al complesso normativo fornito dall’ordinamento giuridico e non già dalla intenzione dell’agente Cass. Sez. 6, n. 4904 del 18/03/1996, C., Rv. 205034 . 1.2. Infondato è altresì il secondo motivo di ricorso. L’ordinanza impugnata giustifica infatti adeguatamente la determinazione della durata della misura interdittiva applicata alla ricorrente nel periodo massimo di dodici mesi previsto dall’art. 308, comma 2, cod. proc. pen. laddove indica che la misura è destinata a fronteggiare il sussistente rischio di reiterazione in ambito scolastico di gravi condotte maltrattanti in danno di alunni in età prescolare e precisa che tale periodo consentirà inoltre di portare a compimento nei confronti della ricorrente il procedimento disciplinare, per sua natura complesso e delicato, relativo ai fatti in esame. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.