La sola frase del locatore che sollecita l’inquilina a lasciare l’appartamento non integra il reato di violenza privata

I Supremi Giudici approfittano della controversia oggetto di ricorso per ribadire la sottile differenza tra la violazione di regole etiche e comportamentali, «in un contesto di conflittualità tra proprietario e conduttore», e gli elementi oggettivi necessari per ritenere integrato il reato di violenza privata di cui all’articolo 610 c.p

In seguito alla sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 610 c.p. Violenza privata , confermata in entrambi i giudizi di merito, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione lamentando l’insussistenza del reato contestato. La Suprema Corte, con sentenza numero 30091/18, depositata il 4 luglio ha accolto il ricorso ritenendo che la condotta dell’imputato fosse carente di offensività tale da integrare il delitto di violenza privata. La linea sottile tra violenza privata e violazione di regole comportamentali. In particolare l’odierno ricorrente veniva condannato per aver pronunciato la frase «o ti sta bene il sottocontatore o te ne vai» nei confronti di una inquilina dell’appartamento di proprietà dato in locazione. Secondo il ricorrente dalla deposizione delle persona offesa non emerge nessuna prova della minaccia di un male ingiusto e della conseguente coartazione. Ricorda la Suprema Corte che per la sussistenza del delitto di violenza privata non è necessaria una minaccia verbale o esplicita «essendo sufficiente un qualsiasi comportamento od atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa». Ciò premesso, secondo la Cassazione, la frase a fondamento dell’imputazione non appare integrare gli estremi della minaccia, neppure implicita, né una coartazione della capacità di autodeterminazione della persona offesa. L’affermazione dell’imputato infatti, volta a sollecitare l’inquilina ha lasciare l’appartamento, non ha tuttavia forma di minaccia o violenza «essendo del tutto vaga nella sua valenza intimidatoria, ed apparendo, quindi, inidonea ad incidere sulla capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, manifestandosi, piuttosto, come una violazione di regole comportamentali ed etiche in un contesto di conflittualità tra proprietario e conduttore». Per queste ragioni i Giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il motivo di ricorso e, conseguentemente, hanno annullato la sentenza senza rinvio perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 marzo – 4 luglio 2018, numero 30091 Presidente Lapalorcia – Relatore Catena Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli in composizione monocratica sezione distaccata di Marano in data 29/04/2010, con cui P.A. era stato condannato a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile, in relazione al delitto di cui all’articolo 610 cod. penumero , così qualificata l’originaria imputazione di cui all’articolo 612, comma secondo, cod. penumero , per avere minacciato C.I. di un male ingiusto e grave, proferendo al suo indirizzo l’espressione O ti sta bene il sottocontatore o te ne vai. Vedremo chi l’avrà vinta in omissis . 2. Con ricorso depositato in data 21/02/2015 P.A. ricorre personalmente, per 2.1. violazione di legge e vizio di motivazione, ex articolo 606, lett. b ed e , cod. proc. penumero , anche sotto il profilo del travisamento della prova, in quanto, alla luce della deposizione della persona offesa C.I. - che viene riportata per stralcio nel corpo del ricorso - non emergerebbe affatto la prova della minaccia di un male ingiusto e della conseguente coartazione della predetta, in quanto l’imputato si era limitato a dire che l’inquilina sarebbe dovuta andare via, non essendo, peraltro, emersa la prova della fondatezza del timore della C. , né di quale fosse la durata stabilita per il contratto di locazione pattuito tra le parti, atteso che l’imputato si era limitato a far valere il suo diritto alla risoluzione del contratto stesso, il che non implica affatto la prospettazione di un male ingiusto, bensì la mera anticipazione dell’esercizio di un diritto ciò, d’altra parte, sarebbe dimostrato dalle stesse dichiarazioni della persona offesa, la quale aveva affermato che erano trascorsi due mesi senza che nulla fosse accaduto 2.2. violazione di legge e vizio di motivazione, ex articolo 606, lett. b ed e , cod. proc. penumero , anche sotto il profilo del travisamento della prova, in quanto la condotta avrebbe dovuto essere, al più, inquadrata nella fattispecie di cui all’articolo 392 cod. penumero , come si evince dalla documentazione fotografica acquisita al verbale dell’udienza del 09/02/2010, oltre che dall’esame della persona offesa, reso alla medesima udienza, emergendo evidente come il P. , nella sua qualità di proprietario, avesse anticipato la sua volontà di risolvere il contratto di locazione e, prima ancora, di dirimere la questione dei consumi Enel attraverso l’apposizione di due sottocontatori, come consentitogli dal suo diritto di proprietario 2.3. vizio di motivazione, ex articolo 606, lett. e , cod. proc. penumero , avendo la difesa richiesto, in entrambi i gradi di giudizio, la sospensione condizionale della pena, su cui la Corte di merito ha del tutto omesso la motivazione 2.4. si eccepisce, infine, la prescrizione del reato. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto. La sentenza di primo grado ha affermato la sussistenza del reato in base all’attendibilità del racconto della persona offesa, confermata dalla deposizione del marito della stessa, presente alla frase pronunciata dall’imputato il primo giudice ha ritenuto che la persona offesa, a causa del comportamento autoritario dell’imputato - che pretendeva di far ricadere su di lei il consumo di energia elettrica dell’appartamento vicino - era stata costretta a lasciare l’immobile, che conduceva in locazione da circa due anni, ed a trovarne un’altro prima della scadenza naturale del contratto. La sentenza impugnata, a sua volta, ha ricordato che la persona offesa aveva offerto una ricostruzione lineare ed accurata della vicenda, riferendo di aver locato l’appartamento del P. , intestandosi le utenze delle forniture il P. , in seguito, avendo locato a terzi un altro appartamento privo del contatore dell’energia elettrica, le aveva detto che avrebbe provveduto a collegare l’impianto elettrico dell’unità immobiliare appena locata al suo contatore e che ella, dopo una iniziale adesione, aveva chiesto all’imputato il distacco dell’allacciamento, essendosi resa conto che le venivano addebitati anche i consumi dei nuovi inquilini tuttavia, benché il P. avesse collocato due lettori per consentire una lettura separata dei consumi, la C. aveva chiesto comunque il distacco del contatore, in quanto continuava a registrare un aumento dei consumi in detta occasione il P. aveva proferito la frase riportata in imputazione, per cui la C. , temendo che in capo a due mesi corrispondenti al periodo di pagamento anticipato del canone di locazione l’imputato cambiasse la serratura, decideva di lasciare l’appartamento. Come noto, ai fini della sussistenza del delitto di cui all’articolo 610 cod. penumero , non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento od atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa Sez. 5, sentenza numero 29261 del 24/02/2017, P.C. in proc. S., Rv. 270869 . L’elemento oggettivo del delitto, quindi, è costituito da una violenza o da una minaccia, che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata Sez. 5, sentenza numero 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. Altoè ed altri, Rv. 268405 . La frase posta a fondamento dell’imputazione - O ti sta bene il sottocontatore o te ne vai. Vedremo chi l’avrà vinta - non appare integrare gli estremi di una minaccia, neanche implicita, né risulta che la capacità di autodeterminazione della persona offesa fosse stata coartata, atteso che la C. , pacificamente, aveva accettato che i nuovi inquilini utilizzassero il medesimo contatore a lei intestato, ed altrettanto pacificamente, dopo le sue lamentele, il P. aveva fatto installare due distinti lettori, al fine di consentire una lettura separata dei consumi in riferimento ai singoli appartamenti. La frase posta a fondamento del capo di imputazione, quindi, si colloca in un momento cronologicamente successivo alla descritta vicenda, allorquando la C. , rilevando comunque delle anomalie dei consumi, aveva richiesto al P. di procedere al distacco, e ne era nato un alterco. In detto contesto l’affermazione del P. , diretta a sollecitare che la C. andasse via, tuttavia, non trova alcuno sviluppo dialettico, neanche implicito, in forme di minaccia, ancorché larvate, né, tanto meno, di violenza, essendo veramente del tutto vaga nella sua valenza intimidatoria, ed apparendo, quindi, inidonea ad incidere sulla capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, manifestandosi, piuttosto, come una violazione di regole comportamentali ed etiche in un contesto di conflittualità tra proprietario e conduttore Sez. 5, sentenza numero 1786 del 20/09/2016, Panico, Rv. 268751 . Ciò, peraltro, era stato anche riconosciuto dal primo giudice che, in motivazione, aveva qualificato la condotta dell’imputato come autoritaria. Ne discende che, in virtù del principio di offensività, detta condotta non appare in grado di limitare o influenzare negativamente il processo di formazione della volontà della persona offesa, con conseguente insussistenza del reato di cui all’articolo 610 cod. penumero La sentenza impugnata va, quindi, annullata senza rinvio, ai sensi dell’articolo 620 cod. proc. penumero , perché il fatto non sussiste. La natura delle questioni trattate consente la redazione della motivazione in forma semplificata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Motivazione semplificata.