IMU e prima casa: il lavoro non giustifica la residenza ‘esterna’ di un coniuge

Sacrosanto l’avviso di accertamento compiuto da una società di riscossione che opera per conto del Comune. Impossibile riconoscere l’esenzione prevista per l’abitazione principale. Decisiva la constatazione che l’uomo è residente in un Comune limitrofo.

Moglie residente nell’immobile appena acquistato e adibito a casa principale della famiglia. Marito residente però in un diverso appartamento in un paese limitrofo. La giustificazione proposta, cioè esigenze legate al lavoro dell’uomo, non regge, e consente al Comune di recuperare l’IMU non versata dalla donna Cassazione, ordinanza numero 20130/20, sez. VI Civile - T, depositata il 24 settembre . Terreno di scontro è l’IMU elativa a un immobile e non percepita dal Comune. Sotto esame, in particolare, l’anno di imposta 2013. Inevitabile l’avviso di accertamento nei confronti della donna proprietaria dell’immobile e lì residente in modo ufficiale. A ritenere legittima la pretesa avanzata dall’ente locale provvedono i giudici tributari provinciali. Di parere opposto, invece, sono i giudici tributari regionali, i quali ritengono «sussistente il presupposto per l’aliquota agevolata IMU da abitazione principale» poiché «la contribuente aveva la residenza anagrafica all’interno dell’immobile e la residenza anagrafica del coniuge in altro Comune è giustificata da esigenze lavorative». A portare la questione in Cassazione è la società che si occupa delle riscossioni per conto del Comune. I legali ritengono erronea la decisione presa dalla Commissione tributaria regionale, essendo stata «riconosciuta l’esenzione malgrado l’immobile non fosse stato adibito a dimora abituale dell’intero nucleo familiare». E a questo proposito viene osservato che «la residenza del marito in altro Comune, peraltro limitrofo, non avrebbe consentito neppure presuntivamente di configurare il requisito della dimora abituale dei due coniugi nell’immobile» oggetto del contenzioso. Dalla Cassazione riconoscono la legittimità della posizione assunta dalla società di riscossione. Per i Giudici «il tenore letterale della norma è chiaro», stabilendo che «l’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle sue pertinenze» e precisando che «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, in cui il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente». Ciò comporta la necessità che «in riferimento all’unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente», osservano i Giudici. In questo caso si è potuto accertare che «solo la moglie ha la propria residenza anagrafica nel Comune» ove è ubicato l’immobile mentre «il coniuge, non legalmente separato, ha residenza e dimora abituale in altro Comune». Sacrosanta, quindi, la pretesa avanzata dall’ente locale. E legittima la successiva azione compiuta dalla società di riscossione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 8 – 24 settembre 2020, numero 20130 Presidente Mocci – Relatore Caprioli Fatto Ritenuto che Con sentenza numero 1142/ 6/2018, depositata il 27.11.2018 non notificata, la CTR dell'Abruzzo, sez. distaccata di Pescara, accoglieva l'appello di Ce. Be. relativamente ad una controversia avente ad oggetto avvisi di accertamento per Imu per l'anno di imposta 2013 ritenendo sussistente il presupposto per fruire dell'aliquota agevolata Imu da abitazione principale giacché la contribuente aveva la residenza anagrafica all'interno dell'immobile e la residenza anagrafica del coniuge in altro comune sarebbe stata giustificata da esigenze lavorative. Avverso la sentenza della CTR la RIS.Co-società di riscossioni comunali s.r.l. ha proposto ricorso per Cassazione svolgendo un unico motivo. Ce. Be. si è costituita con controricorso illustrato da memoria. Con l'unico articolato motivo la ricorrente deduce la violazione del D.L. numero 201 del 2011, articolo 13, comma 2, in relazione all'articolo 360 c.p.c. numero 3, per essere stata riconosciuta l'esenzione malgrado l'immobile non fosse stato adibito a dimora abituale dell'intero nucleo familiare. Osserva infatti che la residenza del coniuge in altro Comune peraltro limitrofo non avrebbe consentito neppure presuntivamente di configurare il requisito della dimora abituale dei coniugi nell'immobile sito in Francavilla. Diritto Considerato che Il motivo è fondato. Preliminarmente va rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente ravvisandosi nella doglianza dedotta una critica afferente l'esatta portata della norma censurata. Ciò posto in merito alla censura svolta si osserva che il tenore letterale della norma in esame è chiaro, diversificandosi in modo evidente dalla previsione in materia di ICI in tema di agevolazione relativa al possesso di abitazione principale, oggetto di diversi interventi normativi. Il D.L. numero 201 del 2011, articolo 13, comma 2, per quanto qui rileva, statuisce che L'imposta municipale propria non si applica al possesso dell'abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 . Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente . Ciò comporta, la necessità che in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente. Ciò, d'altronde, è conforme all'orientamento costante espresso da questa Corte, in ordine alla natura di stretta interpretazione delle norme agevolative tra le molte, in tema di ICI, più di recente, cfr. Cass. sez. 5, 11 ottobre 2017, numero 23833 Cass. sez. 6-5, ord. 3 febbraio 2017, numero 3011 , condiviso anche dalla Corte costituzionale cfr. Corte Cost. 20 novembre 2017, numero 242 . D'altronde, come indiretta conferma di quanto sopra osservato, rileva anche la modifica introdotta, nel contesto del citato D.L. numero 201 del 2011, articolo 13, con l'aggiunta, ad opera della L. numero 208 del 2015, articolo 1, comma 10, della previsione, al comma 3, del comma 3a , secondo cui, solo con decorrenza dal 1 gennaio 2016, la base imponibile dell'imposta municipale propria è ridotta del 50% per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori stabilmente nello stesso comune in cui è situato l'immobile concesso in comodato Cass. 20368/2018 Cass. 5314/2019 Cass 2020 nr. 4166 . Nel caso di specie è accertato che solo la ricorrente aveva la propria residenza anagrafica nel Comune di Francavilla mentre il proprio coniuge, non legalmente separato, ha residenza e dimora abituale in altro Comune. La sentenza va pertanto cassata con il rigetto dell'originario ricorso della contribuente non essendo necessari ulteriori accertamenti istruttori. Le spese della fase di merito vanno compensate in considerazione dell'alternarsi dell'esito delle vicende. Le spese della legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata con il rigetto dell'originario ricorso della contribuente compensa le spese del merito condanna la controricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessive Euro 1500,00 oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali.