Al fine di dichiarare la responsabilità del medico occorre venga individuato nesso di causalità fra la condotta contestata e l’evento lesivo, capace di resistere al giudizio contro fattuale.
Il caso . L’imputata veniva tratta a giudizio per rispondere, a titolo di colpa professionale generica per violazione delle legis artis , del reato di lesioni colpose gravi, per aver cagionato in qualità di medico pediatra accettante del Pronto Soccorso dell’Ospedale S.Anna di Como, il prolungamento della malattia della persona offesa di giorni quindici oltre che la perdita anatomica del testicolo sinistro della stessa ed il conseguente indebolimento permanente del senso. La condanna, emessa in primo grado e confermata dalla Corte d’Appello di Milano che interveniva solo e limitatamente alla quantificazione della pena, poggiava sulla dichiarata omissione di valutazione della patologia in essere attraverso la palpazione dello scroto e sulla dismissione dal nosocomio del medesimo nonostante la presenza in cartella clinica di una diagnosi connotata dall’esistenza di profili di dubbio circa la natura della patologia stessa. Formulava ricorso avverso la predetta sentenza l’imputata la quale lamentava la violazione di legge in riferimento alla mancata esclusione della parte civile che nelle more del giudizio aveva dato corso ad autonome azione civile volta ad ottenere il risarcimento del danno subito, nonché carenza o vizio di motivazione in riferimento alla mancata individuazione del nesso di causalità ra l’omissione contestata e l’evento verificatosi e per assenza di qualsivoglia giudizio contro fattuale atto e sufficiente a sostenere l’esistenza del nesso eziologico tra condotta ed evento. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso giudicando infondati i motivi di doglianza. Il principio di autosufficienza del ricorso . In relazione al primo motivo di doglianza, che invero appare essere assolutamente fondato sotto un profilo fattuale e in ossequio al chiaro disposto della norma che prevede che la trasposizione in sede civile della pretesa formulata dalla persona offesa avanti al Giudice penale determini ex lege l’esclusione, la Corte, facendo riferimento alla sempre più diffusa teoria dell’autosufficienza del ricorso per Cassazione mutuata dalla norma procedural civilistica, ai sensi della quale, ai fini di poter procedere alla pronuncia sulla lagnanza esposta, il Giudice di legittimità deve essere posto nella condizione di conoscere tutti gli elementi, di fatto e diritto, su cui la richiesta decisione deve o può fondarsi, direttamente dalla semplice lettura dell’atto formato e portato alla sua attenzione. Senza alcun onere di ricercare altrove gli elementi di cui la decisione stessa necessita. Si tratta di una teoria giuridica destinata a trovare sempre maggior applicazione, soprattutto in ragione deflattiva dei procedimenti, ma che, a parere dello scrivente, non trova alcuna giustificazione sul piano normativo. Che la parte abbia l’onere di individuare e specificare le motivazioni di lagnanza dandone ampia, precisa e puntuale motivazione appare non solo condivisibile ma certo, ma che il ricorso debba contenere in se tutti gli elementi necessari e processualmente reperibili nel fascicolo dibattimentale affinché il Giudice possa ‘comodamente’ giudicare, appare francamente una forzatura ermeneutica di una norma non scritta. Nesso di causalità e condotta omissiva impropria . La Corte di Cassazione torna ad occuparsi di vicende relative alla responsabilità medica derivante da condotte missive improprie, ovvero dalla violazione delle legis artis . Il caso posto all’attenzione del Giudice è interessante sotto due distinti profili - il primo inerente alla intempestiva dimissione del paziente, - il secondo alla necessità del cosiddetto giudizio contro fattuale La dimissione del paziente può intervenire solo con diagnosi certa . La Corte di cassazione pare affermare un principio, certamente di grande interesse e portata, ai sensi del quale costituisce violazione della legge medica dimettere un paziente prima che sia stata effettuata una diagnosi certa della patologia che lo ha colpito. Detta affermazione, forse condivisibile anche se in aperto contrasto rispetto ad una prassi, forse imposta da ragioni più economiche che sanitarie, che tende a deospedalizzare nei termini più rapidi possibili il paziente, trae forza e fondamento nella semplice, e pertanto ancor più difficilmente smentibile, considerazione relativa alla difficoltà di predisporre idonee cure od interventi nei confronti di un paziente di cui non è dato identificare con certezza la patologia presente e che, per espressa scelta del medico, viene allontanato dal luogo presso il quale potrebbe ricevere le cure più tempestive ed efficaci. In altre parole, il dubbio diagnostico dovrebbe condurre ad una osservazione approfondita presso la struttura sanitaria a tutela del diritto alla salute, diritto di rango costituzionale, del paziente e non al suo allontanamento dalla stessa con conseguente ed innegabile innalzamento del rischio di intempestivi interventi. La considerazione espressa viene trasformata in regola di prudenza atta a costituire fondamento della regola medica cui attenersi e, conseguentemente da considerare parte fondamentale di quella «buona pratica generica» ormai sinonimo di «colpa professionale generica». La perdita di chances al diritto alla salute . La Corte doveva risolvere una ulteriore problematica sottesa e forse inespressa nel ricorso formulato, ovvero quale fosse in concreto la portata della violazione della generica buona pratica medica individuata. Ovvero come porla a confronto con quel «giudizio contro fattuale», destinato a fornire la prova dell’esistenza del nesso eziologico tra la condotta contestata al sanitario e l’evento verificatosi in danno al paziente, ormai imprescindibile elemento d’ogni giudizio di colpevolezza in tema di responsabilità medica. Il quesito fondamentale può essere così riassunto se l’osservazione si fosse protratta si sarebbe stati certi della impossibilità di verificazione dell’evento? Il dubbio espresso in sede di formulazione della diagnosi costituisce elemento atto e sufficiente ad affermare che non fossero ravvisabili nel caso di specie quegli estremi di certezza, rectius di inesistenza di ragionevoli dubbi, relativi alla patologia in corso capaci di escludere un esito positivo del giudizio contro fattuale? La Corte risolve i quesiti, espressione in realtà di un unico e fondamentale interrogativo, in termini radicali affermando che la violazione della buona pratica generica di necessaria conoscenza della patologia da cui è affetto il paziente prima di assumere decisioni in ordine al medesimo, costituisce di per sé condotta in grado di resistere al cosiddetto giudizio contro fattuale. Pare che una simile risposta possa essere condivisa esclusivamente nell’ottica di una interpretazione della norma costituzionalmente orientata che, stante la natura del diritto alla salute, consideri aggressione al medesimo qualsiasi condotta atta a diminuire le chances del paziente a veder ridotti gli effetti dannosi o lesivi della ignota patologia che lo ha colpito.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 6 ottobre 2011 – 10 luglio 2012, numero 27043 Presidente Brusco – Relatore Casella Ritenuto in fatto Con sentenza in data 30 novembre 2009, la Corte d'appello di Milano parzialmente riformava la sentenza emessa in data 21 luglio 2008 dal Tribunale di Como limitatamente alla conversione della pena detentiva in quella pecuniaria dichiarata contestualmente estinta in applicazione dell'indulto confermando l'affermazione della penale responsabilità di G.R. in ordine al delitto di cui agli articolo 590, commi 1 e 2 in relazione all'articolo 583, comma 1 numero 2 cod. penumero per aver cagionato, in qualità di medico pediatra accettante del Pronto Soccorso dell'Ospedale omissis ,in data omissis , per colpa generica e per l'inosservanza di regole e prescrizioni dell'arte medica, a D.M.V. un prolungamento della malattia di gg.15 oltre alla perdita anatomica del testicolo sinistro da cui derivava l'indebolimento permanente dell'organo della riproduzione, avendo omesso in particolare sia una diretta valutazione, attraverso una semplice palpazione, dello scroto e dei testicoli del paziente dodicenne nonostante la intensità e la localizzazione del dolore sia l'esecuzione di approfondimenti diagnostici mirati quali l'eco – color - doppler testicolare nonché di trattenere il paziente in osservazione clinica ospedaliera, come indicato dalla dr.ssa M B. , medico chirurgo ciò al fine sciogliere il dubbio diagnostico. In esito all'istruttoria, era emerso che il giovane, al rientro a casa dopo una passeggiata in bicicletta, ad ore 19 del omissis , iniziò ad avvertire dolori al fianco ed al testicolo sinistro dolori rapidamente incrementatisi. Alle ore 0,45 del omissis , dietro consiglio del sanitario addetto alla guardia medica, dopo la visita a domicilio, il paziente fu condotto al pronto soccorso ove, all'esame obiettivo del pediatra la dr.ssa G. venne giudicato abbastanza sofferente, pallido, sudato, torace nella norma P.A. 127 / 90, addome trattabile poco dolente in corrispondenza dell'ipocondrio e della fossa iliaca sinistra, Blumberg e Giordano negativi, peristalsi torpida. Per lenire il dolore da spasmo, il medico somministrò Buscopan e, 15 minuti dopo, una supposta di analgesico Lonarid per adulti, essendo il ragazzo ancora sofferente. Alle ore 1,10 V D.M. fu sottoposto alla consulenza del chirurgo di turno dr.ssa B. che riscontrò obiettivamente l'addome piano, ben trattabile con dolorabilità alla palpazione ai quadranti di sinistra, confermando, tra gli elementi salienti, la pervietà delle porte erniarie. L'ecografia addominale eseguita risultò nei limiti, quanto all'esclusione di alterazioni a carico della milza e di dilatazioni colico - pieliche renali. Il chirurgo prospettò pertanto, in forma dubitativa, due ipotesi di diagnosi in riferimento ad una colica renale da disidratazione ovvero a coprostasi. Pur escludendo urgenze di tipo chirurgico in atto, attesa l'avvenuta somministrazione di analgesici, lo stesso medico suggerì, quale approccio più prudente a fini diagnostici, di sottoporre il paziente ad un breve periodo di osservazione clinica, previa somministrazione di farmaci atti a favorire l'evacuazione. Rientrato in pediatria, il D.M. fu dimesso dalla dr.ssa G. ad ore 2.07 con la diagnosi di colica addominale , con la prescrizione di ritornare in ospedale se fosse persistito dolore intenso. Il giorno omissis - ovvero quattro giorni dopo - il paziente fu nuovamente condotto all'Ospedale omissis ove il pediatra dr. C. , all'esame obiettivo, accertò buone condizioni generali, addome trattabile, importante tumefazione scrotale più a sinistra con cute iperemica, formulando la diagnosi di probabile torsione al testicolo sinistro”. All'esito di una consulenza urologica eseguita ad ore 12, la dr.ssa L. nella diagnosi annotò che il paziente era stato visitato il giorno 13 precedente al pronto soccorso per colica addominale con algia testicolare con comparsa da due giorni di tumefazione dolorosa all'emiscroto sinistro . Si riscontrò tumefazione scrotale soprattutto a carico dell'emiscroto sinistro. Mentre il testicolo destro era risultato nella norma, quello sinistro non era valutabile per la tumefazione, stante anche il vivo dolore alla digitopressione. Effettuato ecodoppler scrotale, si decise quindi l’esplorazione chirurgica. Ad ore 14,30 il ragazzo fu operato dalla stessa dr.ssa L. per orchiectomia sinistra. Il successivo esame istologico del testicolo asportato consentì di accertare la presenza di infarto emorragico massivo del didimo e dell'epididimo, morfologicamente normali per l'età dei paziente nonché di edema e di congestione ematica a carico del funicolo spermatico. Attese dette risultanze di fatto, la Corte d'appello ha condiviso - facendole proprie - le argomentazioni con le quali il Tribunale, sulla base delle valutazioni compiute dal perito d'ufficio, attesa la patologia dalla quale il giovane paziente era risultato affetto fin dall'ingresso al pronto soccorso essendosi il dolore irradiato dal testicolo sinistro, aveva affermato la sussistenza della responsabilità colposa della imputata, venendo ad incidere causalmente nella determinazione dell'evento, l'omissione ascrittale per non aver disposto un'immediata prosecuzione dell'osservazione clinica del paziente, come suggerito dal chirurgo in dipendenza dalla mancata formulazione di una diagnosi definitiva e dall'obiettiva necessità di non disattendere la regola cautelare, esigibile nella concreta fattispecie. Ricorre personalmente per cassazione l'imputata articolando censure per violazione di legge e per vizio di motivazione, così sintetizzate. Impugnando in primo luogo l'ordinanza 30 novembre 2009 con cui la Corte d'appello di Milano aveva respinto la richiesta di estromissione della parte civile, per avere i medesimi soggetti provveduto ad instaurare causa civile dinanzi al Tribunale di Como nei confronti della stessa imputata, avente identici petitum e causa petendi dell'azione esercitata in sede penale, deduce la ricorrente l'inosservanza dell'articolo 82 comma 2 codice di rito, attesoché la costituzione di parte civile si intende revocata in caso di successiva proposizione di causa civile in sede propria per i medesimi fatti. Con la seconda censura. in punto responsabilità, lamenta la ricorrente l'illegittima valutazione delle prove cui era pervenuta la Corte d'appello di Milano, che, sulla scorta di una ipotetica diagnosi indicata solamente come probabile dal perito, aveva ritenuto che, già la sera del 12 agosto 2004, si fosse manifestata una torsione, benché parziale, dei funicolo spermatico, quando invece, attesa la condizione non statica di tale patologia che può comparire all'improvviso come retrocedere spontaneamente ovvero manifestarsi successivamente,anche a distanza di tempo solamente nel caso in cui detta torsione sia in atto, risulta certamente visibile e quindi diagnosticabile. Il successivo ricovero del paziente il 18 agosto 2004 aveva effettivamente confermato la coprostasi donde la probabilità, alla stregua di una valutazione ex ante, che i dolori accusati all'addome nella notte tra il omissis fossero riconducibili ad una colica addominale, come diagnosticato dalla dr.ssa B. in forma dubitativa e dalla ricorrente. Sicché, avrebbe dovuto escludersi la certa ricorrenza non solo del nesso eziologico tra l'omissione ascrittale e l'evento, ma anche quella della colpa. Conclude la ricorrente per l'annullamento della impugnata sentenza. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va respinto con il conseguente onere del pagamento delle spese processuali a carico dell'imputata, ex articolo 616 codice di rito oltreché della rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili, liquidate in dispositivo. Il primo motivo di ricorso è infondato. La ricorrente ha invero disatteso il principio di autosufficienza del ricorso, non facendo luogo alla produzione dell'atto di citazione con cui le attuali parti civili avrebbero radicato dinanzi al Tribunale di Como, successivamente alla condanna penale in primo grado, causa civile asseritamente avente ad oggetto i medesimi fatti e le medesime richieste avanzate nel giudizio penale nel quale le predette parti si costituirono parte civile con apposita dichiarazione in atti ex articolo 76 cod. proc. penumero Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte cfr. Sez.5 numero 28753 del 2005 Sez.4 numero 21588 del 2007 Sez. 2 numero 62 del 2009 la verifica della coincidenza delle due domande risarcitorie, quanto a petitum ed a causa petendi è elemento imprescindibile ai fini dell'eventuale declaratoria di revoca della costituzione di parte civile ex articolo 82 cod. proc. penumero , come peraltro specificamente attestato dalla sentenza di questa stessa Sezione numero 31320 del 2004, citata dalla ricorrente,con cui fu accolta identica tesi. Quanto al secondo ordine di censure dedotte, osserva la Corte che i Giudici di seconda istanza, nel riaffermare la penale responsabilità dell'imputata in ordine al reato ascrittole previa conferma della sentenza del Tribunale, hanno proceduto in corretta applicazione delle disposizioni di legge in materia di colpa professionale medica e di nesso eziologico relativo ai reati omissivi impropri come interpretate, in termini ormai consolidati, dalla giurisprudenza di legittimità , dandone poi adeguatamente conto con motivazione, esaustiva, congrua e - soprattutto - coerente con le emergenze di fatto oggetto delle condivisibili valutazioni del perito d'ufficio. Come osservato dal Procuratore Generale, va preliminarmente rilevato che la ricorrente sostanzialmente ripropone in sede di legittimità, le doglianze già portate all'attenzione della Corte distrettuale, con l'atto d'appello, per ciò che concerne sia la esistenza - quantomeno dubbia - della patologia torsione del testicolo sinistro all'atto della visita cui il giovane paziente fu sottoposto dalla imputata, al pronto soccorso sia la certa efficacia della condotta omessa ai fini di impedire l'evento in base al giudizio c.d. controfattuale nonché, infine, in relazione alla insussistenza della colpa alla stregua del corretto apprezzamento dei presupposti della prevedibilità e della prevenibilità dell'evento. Orbene, non v'è dubbio che, come emerge dall'apparato argomentativo della sentenza impugnatala Corte distrettuale ha già reso congrua e legittima risposta alle stesse censure fgl. 13 e segg. . In sintesi, deve quindi sottolinearsi che, quanto all'incertezza della patologia, il perito d'ufficio, con valutazioni ritenute convincenti dai Giudici di merito, a confutazione delle diverse opinioni espresse dai consulenti della difesa, aveva in effetti chiarito che, nella vicenda clinica esami nata, nel la notte tra il omissis , il giovane paziente aveva subito una parziale torsione del testicolo sinistro, seguita da una detorsione spontanea, ma transitoria, con successiva ripresa della patologia, fino al suo successivo completamento il giorno 16 agosto. Ed ha altresì rimarcato la rilevanza, da un punto di vista anamnestico, agli effetti della ricorrenza della stessa patologia poi divenuta conclamata dell'età del paziente statisticamente rilevante e dello sforzo precedente all'insorgenza del dolore che, come riportato nei dati anamnestici della cartella clinica redatta dalla G. , si era irradiato dall'emiscroto sinistro, giusta quanto riferitole dai genitori, premesso il sopravvenire, in concomitanza con l'incremento del dolore, di un episodio di vomito altro dato sintomatico tipico della patologia testicolare. Altro dato significativamente rilevante era costituito, secondo l'opinione tratta dalla cultura professionale del perito, dalla particolare situazione anatomica della mobilità del testicolo, da cui il giovane era affetto tanto da esser poi sottoposto, l’ omissis , ad orchidopessi del testicolo destro previo ricovero programmato all'Ospedale omissis . Le evidenze cliniche, valutate dal perito d'ufficio, non avrebbero quindi potuto condurre ad escludere, come sostenuto dall'imputata, la sussistenza della patologia. Né una siffatta conclusione sarebbe stata legittimamente sostenibile, come evidenziato da entrambi i Giudici di merito, sol perché, nei referti delle visite eseguite sul paziente dalla imputata G. e dal medico chirurgo B.M. interpellata dalla prima non si faceva alcun cenno all'avvenuta esecuzione di un esame specifico dei testicoli del ragazzo, non potendosi implicitamente da tanto dedurre l'inesistenza di anomalie riscontrate a dette ghiandole, posto che nella cartella clinica erano stati riportati, anche se negativi, gli esiti degli altri accertamenti clinici eseguiti sul paziente. Atteso siffatto quadro clinico e la formulazione di un dubbio diagnostico dopo la consulenza del medico chirurgo che, pur avendo escluso emergenze di tipo chirurgico, aveva tuttavia indicato,quali ipotetiche diagnosi alternative colica renale da disidratazione? coprostasi ? hanno rilevato i Giudici di seconda istanza, a dimostrazione dei contestati profili di colpa generica, che sarebbe stata doverosa la protrazione dell'osservazione clinica come invero suggerito dalla dr.ssa B. , poi assolta dal Tribunale da ogni addebito per consentire - l'esaurimento dell'efficacia dei farmaci analgesici somministrati al paziente all'ingresso del pronto soccorso, per poter apprezzare compiutamente anche il livello e la consistenza della sintomatologia dolorosa , in termini reali - di avvalersi, cessato l'effetto dei farmaci, della consulenza dello specialista urologo - sciogliere i dubbi diagnostici “alternativamente posti dal medico chirurgo, favorendo nel frattempo la risoluzione della coprostasi e seguendo l'eventuale progredire della colica renale da disidratazione pur prospettata in via d'ipotesi - ovviamente e precipuamente di seguire e verificare o l'evoluzione peggiorativa della torsione del funicolo spermatico sinistro con tutta probabilità prevenendo, previo tempestivo intervento chirurgico, la successiva necrosi del testicolo ovvero la sussistenza di un'eccessiva mobilità dello stesso testicolo sinistro c.d. testicolo ascensore , quale indizio favorente e causa di probabile aggravamento della torsione di guisa da consentire di intervenire tempestivamente con l'orchidopessi poi eseguita con esito favorevole al testicolo destro scongiurando in tal modo, l'orchiectomia necessitata dalla successiva ed ormai irreversibile necrosi della ghiandola. Deve quindi ritenersi fuori di dubbio, come evidenziato dalla motivazione della sentenza impugnata, pacificamente esigibile dalla imputata la condotta omessa, rientrando nelle capacità, nelle competenze e nelle conoscenze professionali di un medico del pronto soccorso, determinarsi doverosamente nel senso testé indicato, in ottemperanza alla regola cautelare che impediva le dimissioni del paziente pochi minuti dopo il completamento della consulenza chirurgica, sussistendo, quindi, alla stregua delle riferite ed accertate emergenze di fatto,apprezzate ex ante, i requisiti della prevedibilità e della prevedibilità dell'evento, connotanti la colpa contestata. Circa la sussistenza del nesso di causa, posta la posizione di garanzia rivestita dall'imputato quale medico del pronto soccorso dell'ospedale ove, in via d'urgenza, il giovane paziente era stato trasportato in autoambulanza per ricevere te cure del caso, in applicazione dei criteri interpretativi in tema di causalità omissiva indicati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità,appare altresì difficilmente contestabile, come rimarcato dalla Corte distrettuale che, alla stregua del giudizio c.d. controfattuale, la condotta positiva omessa ed in particolare la violazione della regola cautelare della osservazione clinica cui l'imputata avrebbe dovuto attenersi secondo le leges artis e delle comuni regole di prudenza e diligenza avrebbe impedito l'evento o comunque ne avrebbe scongiurato le conseguenze più pregiudizievoli per il paziente, alla stregua del successivo evolversi della vicenda clinica. Una eventuale, ulteriore torsione del funicolo spermatico non più spontaneamente regredita ove sopravvenuta nelle ore successive all'ingresso al pronto soccorso, in pendenza dell’osservazione ospedaliera avrebbe potuto esser tempestivamente affrontata e risolta in sede chirurgica senza dover procedere ad orchiectomia del testicolo sinistro, una volta sopravvenuta la necrosi della gonade per il protrarsi oltre 6 / 8 ore dello stato di torsione del funicolo spermatico, come precisato dal perito. E comunque, in caso di mancata sopravvenienza di un fatto acuto, lo stesso pericolo di recidiva della torsione avrebbe potuto esser evitato ponendo in atto un intervento d’elezione di orchidopessi, onde bloccare, come accaduto con l’altro testicolo, la anomala mobilità del testicolo stesso. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.