Collaboratore nell’albergo della moglie: troppa libertà per l’uomo. Nessun rapporto di lavoro subordinato

Secondo i giudici è evidente l’esistenza di una società di fatto tra i coniugi, anche se la società è ufficialmente affidata solo alla moglie. Ma, a prescindere da ciò, la posizione dell’uomo, lavorativamente parlando, è troppo libera non si può parlare, certo, di rapporto di lavoro subordinato.

Tra moglie e marito, non mettere il dito ”, e, se possibile, neanche il lavoro Perché i rapporti possono farsi davvero delicati. Addirittura, si può arrivare alla richiesta, avanzata dall’uomo, di ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, alle dipendenze della società della moglie. Ma a lasciarlo a becco asciutto è, paradossalmente, la troppa libertà concessagli dalla coniuge Cassazione, sentenza n. 21697, sezione Lavoro, depositata oggi Famiglia e impresa . Contenzioso assai singolare, quello che approda nelle aule della Cassazione. A scontrarsi sono moglie e marito, come spesso succede, però non per questioni economiche post divorzio, bensì per le aspirazioni lavorative di lui alle dipendenze di lei. Detto in parole povere, l’uomo ha lavorato nella struttura – ‘albergo-ristorante’ – di proprietà della società di cui è socia unica la moglie , e chiede, ora, il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato . Ma nei primi due gradi di giudizio la risposta è stata sempre negativa non sono emersi gli elementi essenziali e tipici della subordinazione , ossia il potere direttivo esercitato dalla moglie , e, comunque, hanno chiarito i giudici, è emersa l’esistenza di una impresa familiare gestita dalla società della donna. Uomo libero. Ad avviso dell’uomo, però, è assolutamente non condivisibile la tesi della impresa familiare , soprattutto perché ci si trovava di fronte all’ attività svolta dal coniuge nell’impresa gestita da una società a responsabilità limitata di cui è socio l’altro coniuge . Eppoi, aggiunge l’uomo, non si può ignorare il corrispettivo fisso che gli è stato riconosciuto per il lavoro effettuato Da questo punto di vista, i giudici della Cassazione condividono la visione della Corte d’Appello, laddove si è considerata acclarata l’esistenza di una società di fatto tra i coniugi e quindi di una impresa familiare gestita dalla società della moglie . Ma, aggiungono i giudici, anche ignorando la società di fatto fra i coniugi, non è comunque possibile parlare di rapporto di lavoro subordinato ciò perché l’uomo godeva di assoluta libertà di movimento , essendo considerato un factotum in piena autonomia e senza vincoli di orario . E per questa collaborazione egli, sottolineano i giudici, fruiva di vitto ed alloggio, e percepiva una somma che era parametrata sul rendimento dell’attività dell’albergo . Assolutamente impensabile, quindi, parlare di rapporto di lavoro subordinato , mancando orario obbligatorio, etero direzione della prestazione, affidamento di compiti predeterminati, retribuzione indipendente dall’andamento degli affari del datore di lavoro .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 maggio - 23 settembre 2013, n. 21697 Presidente Roselli – Relatore Bronzini Svolgimento del processo La Corte di appello di Ancona con sentenza del 7.5.2008, in parziale accoglimento dell’appello proposto da R.P., dichiarava integralmente compensate le spese del primo grado del giudizio, confermando nel resto l’impugnata sentenza circa l’insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il detto R. e l’Albergo Ristorante O. s.r.l. di cui era socia unica la moglie del R. Dichiarava inammissibile per tardività l’appello incidentale proposto dalla società. La Corte territoriale rilevava che non erano emersi gli elementi essenziali e tipici” della subordinazione, in particolare il potere direttivo pretesamente esercitato dalla moglie del R., mentre invece era emersa l’esistenza di una impresa familiare gestita dalla s.r.l. della moglie dell’appellante anche la percezione da parte dell’appellante di somme era riferibile ai proventi dell’impresa . I testi non escussi non apparivano decisivi per risolvere la controversia. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il R. con un motivo resiste la O. s.r.l. e la M. in proprio con controricorso, che hanno proposto anche ricorso incidentale condizionato. Motivi della decisione Con il motivo proposto nel ricorso principale del R. si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 230 bis, 2094 c.c., nonché l’insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Era emerso dalla prova testimoniale un corrispettivo fisso a favore del R. non era stata offerta la prova dell’effettiva sussistenza di un’impresa familiare e l’art. 230 bis c.c. non era applicabile con riferimento all’attività svolta dal coniuge nell’impresa gestita da una società a responsabilità limitata di cui è socio l’altro coniuge. Il motivo appare infondato. La Corte territoriale ha in primis accertato l’insussistenza degli elementi tipici” della subordinazione quale la mancanza di un orario obbligatorio, la sottoposizione alle direttive di un superiore gerarchica e la stessa predefinizione di precisi compiti da svolgere. Il R. nell’albergo gestito dalla società intimata di cui era socia unica la moglie godeva di assoluta libertà di movimento ed era un tuttofare” in piena autonomia e senza vincoli di orario cfr. pag. 5 della motivazione della sentenza impugnata, con un riferimento puntuale alle dichiarazioni dei testi . In cambio della collaborazione prestata il R. fruiva di vitto ed alloggio e percepiva una somma che, per accordi intercorsi, era parametrata sul rendimento dell’attività dell’Albergo. La Corte di appello pertanto su questa base ha con motivazione congrua e logicamente coerente escluso l’esistenza di un rapporto riconducibile allo schema di cui all’art. 2094 c.c. posto che non risulta provato in sostanza nessuno degli indici” rilevatori di quello schema contrattuale. Si tratta di un accertamento di fatto non censurabile in quanto tale in questa sede argomentato con puntuale e rigoroso riferimento agli elementi processuali emersi in sede istruttoria. La Corte di appello ha, sempre alla stregua di quanto emerso sul piano probatorio, osservato che era risultata semmai una società di fatto tra i coniugi e quindi l’esistenza di una impresa familiare gestita dalla s.r.l. della moglie. Anche se lo schema di cui all’art. 230 bis c.c. dovesse rivelarsi inapplicabile alla fattispecie in relazione alla discussa questione della collaborazione ad una attività economica svolta in forma sociale dal familiare cfr. cass. n. 19116/2004 tale inapplicabilità non potrebbe, comunque, condurre all’accoglimento della domanda posto che il rapporto non può - per le ragioni già dette - essere considerato come di lavoro subordinato difettando un orario obbligatorio di lavoro, l’eterodirezione della prestazione, l’affidamento di compiti predeterminati, l’esistenza di una retribuzione” indipendente dall’andamento degli affari del datore di lavoro, elementi la cui sussistenza è stata positivamente esclusa dalla Corte territoriale con argomenti persuasivi, logicamente coerenti e strettamente ancorati ai dati processuali. Il ricorso incidentale espressamente qualificato come condizionato con il quale si deduce che l’appello incidentale non era, come ritenuto dalla Corte territoriale, inammissibile deve intendersi assorbito. Si deve quindi rigettare il ricorso principale e dichiarare assorbito quello incidentale. Le spese di lite - liquidate come al dispositivo - seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 50,00 per spese, nonché in euro 3.500,00 per compensi oltre accessori.