L’Unione Camere Penali Italiane ha criticato duramente la proposta di introduzione nel codice penale del reato di depistaggio ed inquinamento processuale, che, a suo giudizio, ha stravolto la proposta originaria da parte delle associazioni rappresentative delle vittime di attentati e stragi terroristiche. Diversi gli elementi sotto accusa, tra cui l’eccessivo allargamento dell’ambito di applicabilità, la valorizzazione del dolo, le sanzioni eccessive ed il regime differenziato di prescrizione.
La proposta iniziale. Diverse associazioni rappresentative delle vittime di attentati e stragi terroristiche, stanche dei continui sviamenti delle indagini, hanno proposto l’introduzione del reato di depistaggio, per sanzionare soggetti titolari di una qualifica pubblicistica che si rendono autori di false informazioni rese alla autorità giudiziaria. Le modifiche in corsa. Tuttavia, nel corso del vaglio parlamentare, il progetto iniziale è stato modificato a favore di una nuova fattispecie di reato, con cui, sotto la rubrica di «Depistaggio e inquinamento processuale», viene punito «con la reclusione da due a otto anni chiunque, al fine di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale immuta artificiosamente il corpo del reato ovvero lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone connessi al reato distrugge, sopprime, occulta o rende comunque inservibili, in tutto o in parte, un documento o un oggetto da impiegare come elemento di prova o comunque utile alla scoperta di un reato o al suo accertamento forma o altera artificiosamente, in tutto o in parte, i documenti o gli oggetti». La reazione negativa. Questa modifica ha suscitato le proteste dell’Unione Camere Penali Italiane, secondo cui il nuovo testo ha portato ad un «radicale stravolgimento, ampliando l'ambito applicativo del reato anche oltre l'ipotetica azione del solo pubblico ufficiale e, soprattutto, ancorando la tipicità del nuovo reato a condotte pericolosamente prive di adeguata tassatività ed offensività». Difficile sussistenza del dolo. Nel mirino, «la punizione di condotte ricadenti su 'documenti' o 'oggetti' da impiegare come elementi di prova o comunque utili alla scoperta di un reato o al suo accertamento». Infatti, secondo i penalisti italiani, la rilevanza investigativa di questi atti spesso emerge solo nel corso delle indagini o del procedimento, per cui è difficile la necessità di valorizzare solo a posteriori l’elemento del dolo richiesto per l’integrazione del reato. «Questa carenza di tipicità oggettiva è ovviamente tanto più pericolosa e criticabile alla luce della prioritaria rilevanza che viene così ad assumere il dolo specifico fissato nella finalità di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale». Connessione indefinita. Eccessivamente vaga risulta anche la nozione di «cosa» «Il requisito della connessione ad un determinato reato appare invero del tutto insufficiente a caratterizzare l’esatto rapporto relazionale che dovrebbe contrassegnare il legame e la rilevanza della condotta di immutazione artificiosa che venga a cadere, non già sul corpo del reato concetto di per sé sufficientemente preciso , bensì anche genericamente su luoghi, o su cose, o su persone. La connessione di una cosa con un determinato reato mal si presta ad essere adeguatamente apprezzata prima dell’avvio di eventuali indagini giudiziarie ed anzi, in linea teorica, potrebbe rappresentare requisito concretamente emergente anche solo in epoca posteriore alla stessa conclusione del processo». Infine, non vengono risparmiate critiche neanche alle sanzioni ipotizzate, ritenute eccessive e non in armonia con le previsioni di altri delitti contro l’amministrazione della giustizia, ed il regime sanzionatorio differenziato « tecnica legislativa ispirata al criticabile regime del doppio binario, che porta ad esiti del tutto irrazionali». Una sonora bocciatura, quindi, da parte degli avvocati penalisti italiani, i quali si augurano ora che il Parlamento prenda atto delle loro critiche.