Criticare, non ingiuriare, è una cosa da imparare

In materia di ingiuria o diffamazione, perché vi sia un’offesa alla sfera morale della persona, non è sufficiente l’astratta idoneità delle parole ad offendere, ma è necessario che queste siano destinate proprio a quel fine. Anche se basta il dolo eventuale ad integrare l’elemento soggettivo, serve, comunque, che il soggetto agente si rappresenti il fatto che le sue parole possano assumere un significato offensivo, in quanto appariranno destinate ad aggredire l’onore o la reputazione altrui.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 26410, depositata il 18 giugno 2014. Il caso. Il tribunale di Pesaro confermava la condanna, emessa dal gdp, per il reato di ingiuria nei confronti di un consigliere comunale che, durante una seduta del consiglio, avrebbe negato un fatto storico l’aggressione nei confronti di due militanti di una forza politica avversa e sostenuto che si fosse trattato solo di una montatura. L’imputato ricorreva in Cassazione, deducendo di essersi limitato a contrastare le dichiarazioni di un consigliere di minoranza e di aver sostenuto che l’episodio era stato strumentalizzato per screditare il sindaco. Inoltre, aggiungeva di aver affermato solo una sua opinione e a dare una propria valutazione di comportamenti politicamente rilevanti. Infine, lamentava la sanzione del suo esercizio del diritto di critica politica. La Corte di Cassazione ricostruiva la vicenda ed arrivava alla conclusione che l’imputato avesse espresso la propria opinione nel corso di una discussione politica e nella sede a ciò deputata, dando la propria interpretazione dei fatti avvenuti e commentando le conseguenze politiche, senza rivolgersi ai giovani aggrediti pur presenti in aula ma agli avversari politici che avevano parlato prima di lui. Oggetto del suo intervento erano, quindi, le dichiarazioni dei rappresentanti politici della minoranza, non quelle degli aggrediti, parti civili nel processo. Elemento soggettivo del reato. In materia di ingiuria o diffamazione, perché vi sia un’offesa alla sfera morale della persona, non è sufficiente l’astratta idoneità delle parole ad offendere, ma è necessario che queste siano destinate proprio a quel fine. Anche se basta il dolo eventuale ad integrare l’elemento soggettivo, serve, comunque, che il soggetto agente si rappresenti il fatto che le sue parole possano assumere un significato offensivo, in quanto appariranno destinate ad aggredire l’onore o la reputazione altrui. Questa consapevolezza era esclusa nel caso dell’opinione dell’imputato di trovarsi non di fronte ad un fatto inventato dalle parti civili, bensì di fronte ad un fatto esagerato, distorto e montato dalla controparte politica. La stessa affermazione che per lui «non erano stati picchiati» poteva essere interpretata anche nel senso che i due si erano sottratti all’aggressione con la fuga, oppure che si era trattato non di una vera aggressione, ma di un contrasto tra opposte fazioni. Diritto di critica. Per la Corte di legittimità, inoltre, la condotta dell’imputato doveva ritenersi scriminata dall’esercizio del diritto di critica. Il ricorrente non aveva raccontato, presentandoli come veri, dei fatti difformi dalla realtà, di cui non era stato neanche testimone diretto. Il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca, in quanto, a differenza di quest’ultimo, non si concretizza nella narrazione di fatti, bensì nell’espressione di un giudizio o di un’opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica non può che essere fondata su un’interpretazione necessariamente soggettiva dei fatti. Perciò, quando il discorso ha una funzione prevalentemente valutativa, non si pone un problema di veridicità delle affermazioni, ed i limiti scriminanti del diritto di critica sono solo quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza di espressione, per cui questi vengono superati qualora l’agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale la sfera morale del soggetto criticato. Nel caso di specie, tali limiti non erano stati violati, poiché l’imputato, come altri consiglieri, aveva commentato un episodio socialmente e politicamente rilevante, con espressioni contenute nella forma, senza effettuare degli attacchi personali e senza trasformare la discussione in un’occasione di aggressione alla sfera morale degli interessati. Perciò, era irrilevante che la sua opinione potesse essere sbagliata, perché ciò che contava era, da una parte, che l’episodio avesse un nucleo di veridicità e, dall’altra, che l’espressione del suo pensiero non contenesse elementi dispregiativi verso le persone coinvolte. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso e annullava la sentenza senza rinvio per l’assenza di un elemento essenziale del reato e, comunque, per l’esistenza della scriminante del diritto di critica.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 aprile – 18 giugno 2014, numero 26410 Presidente Lombardi – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Pesaro, sezione distaccata di Fano, in funzione di giudice d'appello avverso i provvedimenti del giudice di pace, con sentenza del 15/1/2013, ha confermato quella emessa dal Giudice locale, che aveva condannato A.V. per ingiuria in danno di S.L. e M.S. , oltre al risarcimento dei danni patiti da questi ultimi. Secondo l'accusa, fatta propria dai giudicanti, A. , consigliere comunale di , appartenente al gruppo di maggioranza, nel corso di una seduta del consiglio comunale, parlando dell'aggressione subita alcuni giorni prima il da S. e M. , militanti del partito DS e presenti alla seduta del consiglio, avrebbe negato il fatto storico e sostenuto che si trattava di una montatura, avallata da certificazione medica compiacente. In questo fatto è da ravvisare - argomentano i giudici di primo e secondo grado - offesa all'onore e al decoro dei due, tacciati di essersi inventato tutto, di aver calunniato ignoti e di aver fatto ricorso, per lo scopo, a falsa certificazione medica. 2. Ha presentato ricorso per Cassazione nell'interesse dell'imputato l'avv. Fabio Cazzola lamentando - la violazione dell'articolo 423 cod. proc. penumero perché, pur risultando a dibattimento che una frase riportata in imputazione si erano inventato tutto non era stata pronunciata, il Pubblico Ministero non ha proceduto alla modifica dell'imputazione. Inoltre, non è stato precisato che solo uno dei due aggrediti non era stato picchiato - il vizio di motivazione e la violazione di legge. Deduce di aver sostenuto, in appello, che A. si limitò a minimizzare il fatto e a contrastare le dichiarazioni del consigliere di minoranza, sostenendo che l'episodio era stato strumentalizzato dalla minoranza per screditare il sindaco e lamenta che non sia stata fornita risposta a tale doglianza. Anzi, l'imputato è stato accusato di aver montato i fatti - il vizio di motivazione, per essere stata utilizzata, contro l'imputato, una prova inesistente ed una prova incontrovertibilmente diversa, rappresentata dalla verbalizzazione integrale del dibattito assembleare, da cui si evince che A. contestò la montatura del precedente consigliere e non una montatura delle vittime dell'aggressione - la violazione dell'articolo 594 cod. penumero , per essere stato attribuito carattere offensivo ad espressioni tese a contrastare la ricostruzione del precedente oratore e che non offendevano l'onore e il decoro dei querelanti, anche in considerazione del contesto in cui erano state utilizzate. Aggiunge che A. affermò una propria opinione “per me non sono stati picchiati” e si limitò a dare una propria valutazione di comportamenti politicamente rilevanti la montatura in danno del sindaco - la violazione dell'articolo 51 cod. penumero , per essere stato sanzionato l'esercizio del diritto di critica politica a lui facente capo. Infatti, dicendo di non credere che due politici, quali erano appunto S. e M. , fossero stati picchiati, egli intendeva tutelare la posizione del sindaco, oggetto di accuse della minoranza per aver dato l'autorizzazione - poi revocata - all'uso di una sala ad esponenti di destra per tenervi una riunione. 3. In data omissis S.L. e M.S. hanno fatto pervenire a questa Corte memoria difensiva, con cui hanno chiesto dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. 1. Per la valutazione e corretta risoluzione del caso portato all'attenzione di questa Corte è necessario ricostruire sinteticamente la vicenda, come risultante dalla sentenza impugnata. A. , consigliere comunale del gruppo di maggioranza, commentò, nel corso di una seduta del consiglio comunale di , convocato ad hoc, un fatto di cronaca occorso alcuni giorni prima, avente implicazioni di carattere politico l'aggressione subita da due militanti del gruppo DS ad opera di giovani di estrema destra. L'A. , nel commentare l'episodio, a cui non aveva assistito, rivolgendosi agli avversari politici, presenti in consiglio comunale, che avevano stigmatizzato il fatto, mise in dubbio che i due fossero stati aggrediti per me non sono stati picchiati disse che, a suo giudizio, era stata operata una montatura e che il sindaco avrebbe fatto bene a verificare quale medico aveva stilato una prognosi di guarigione di sette giorni per uno degli aggrediti. 2. Emergono con evidenza, da questa ricostruzione, tre aspetti rilevanti per la formulazione del giudizio che riguarda A. , il quale 1 espresse la propria opinione nel corso di una discussione politica e nella sede a ciò deputata 2 diede una propria interpretazione dei fatti accaduti alcuni giorni prima, commentandone le conseguenze politiche 3 non si rivolse ai giovani aggrediti, presenti in sala né commentò il comportamento di costoro , ma agli avversari politici che avevano parlato prima di lui. Oggetto del suo interesse e dei suoi commenti non furono, quindi, né gli atti né le dichiarazioni dei due querelanti, oggi parti civili, ma quelli dei rappresentanti della parte politica avversa, che avevano, a suo giudizio, strumentalizzato l'accaduto per criticare la maggioranza di cui egli faceva parte. L'imputato, quindi, effettuò una propria valutazione dell'accaduto - costituente fatto socialmente rilevante - contestando che lo stesso potesse iscriversi nel novero delle aggressioni e che da esso fossero derivate conseguenze lesive per i soggetti interessati. 3. Emerge con evidenza, da questa ricostruzione della vicenda, l'insussistenza dell'elemento psicologico necessario per l'integrazione del reato contestato. In tema di ingiuria o diffamazione, infatti, perché vi sia offesa alla sfera morale della persona, se non è richiesto l'animus nocendi vel iniuriandi giurisprudenza costante , non è comunque sufficiente l'astratta idoneità delle parole a offendere, ma è necessario che esse siano a ciò destinate, in quanto adoperate appunto nel loro significato sociale, oggettivo, che vengono ad assumere le parole. E se è costante l'affermazione che è sufficiente ad integrare l'elemento soggettivo il dolo eventuale, è richiesto pur sempre che il soggetto agente si rappresenti il fatto che le sue parole vanno ad assumere un significato offensivo, in quanto appariranno destinate ad aggredire l'onore o la reputazione altrui. L'intenzione o lo scopo del soggetto agente, pertanto, non devono necessariamente essere di offesa, ma è pur sempre necessaria la consapevolezza dell'agente di adoperare parole e concetti socialmente interpretabili come offensivi. Tale consapevolezza è esclusa, nella specie, dall'opinione dell'A. di trovarsi non di fronte ad un fatto inventato dalle parti civili cosa da lui non affermata , ma di fronte ad un fatto esagerato, distorto e montato dalla controparte politica. In nessun passo della sentenza impugnata è illustrata, invero, la prova che A. - parlando di montatura - si riferisse ai due aggrediti anzi, dalla lettura del verbale del Consiglio - che, in osservanza al principio di autosufficienza, è stato allegato al ricorso - si evince chiaramente che l'imputato, parlando nel modo anzidetto, si riferiva a coloro che avevano parlato prima di lui e alle notizie diffuse dalla stampa. E anche l'affermazione che, per lui, i due non erano stati picchiati non ha affatto la significazione esclusiva ad essa attribuita dai giudici di merito, potendo, altrettanto logicamente, essere interpretata nel modo addotto dall'imputato e sostenuto dal difensore che i due si fossero sottratti all'aggressione, e alle conseguenze di essa, con la fuga com'era in effetti avvenuto per uno di essi oppure - in maniera non meno logica - che non di aggressione si fosse trattato, ma di contrasto tra opposte fazioni, a cui mancava, perciò, il carattere della odiosità sostenuto dalle controparti. In definitiva, la circostanza che il commento di A. sia intervenuto pressoché a caldo, su una notizia su cui nessuna certezza giudiziale era stata ancora espressa, fatto nel contesto di una discussione politica accesa, non esclude, ma lascia supporre con ragionevole certezza, che mancasse, in lui, la consapevolezza di offendere, con le sue parole, l'onorabilità dei soggetti coinvolti, loro malgrado, nel fatto di cronaca commentato. 5. Ad ogni modo, la sua condotta deve ritenersi scriminata dall'esercizio del diritto di critica. Essendo evidente che parlava di un fatto a cui non aveva assistito, A. non si rappresentava come testimone di quel fatto e non essendo un giornalista o un cronachista, non raccontava, presentandoli come veri, fatti difformi dalla realtà. È evidente, invece, che parlava come interprete di un episodio della vita, sicché le sue affermazioni vanno lette alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di esercizio del diritto di critica - quale fondamentale espressione della libertà di pensiero - allorché le manifestazioni concrete di quel diritto siano idonee a incidere su altri valori costituzionalmente rilevanti, quale è certamente la personalità morale dei soggetti interessati da quelle manifestazioni. Ebbene, per costante lezione giurisprudenziale il diritto di critica si differenzia essenzialmente da quello di cronaca, in quanto, a differenza di quest'ultimo non si concretizza nella narrazione di fatti, bensì nell'espressione di un giudizio e, più in generale, di un'opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica non può che essere fondata su un'interpretazione necessariamente soggettiva dei fatti. Ne deriva che quando il discorso ha una funzione prevalentemente valutativa, non si pone un problema di veridicità delle proposizioni assertive ed i limiti scriminanti del diritto di critica, garantito dall'articolo 21 Cost., sono solo quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza di espressione, con la conseguenza che detti limiti sono superati ove l'agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale la sfera morale del soggetto criticato, penalmente protetta ex multis, Cass. numero 2247 del 2004 . Tali limiti non risultano superati nel caso di specie, in quanto A. commentò - come avevano fatto gli altri consiglieri, ma con diversità di argomenti e di valutazione - un episodio socialmente e politicamente rilevante e ciò fece con espressioni contenute nella forma, senza trascendere in attacchi personali e senza trasformare la discussione in un'occasione di aggressione alla sfera morale degli interessati. Non ha nessun rilievo, quindi, che la sua opinione fosse, probabilmente, errata, e che egli si sbagliasse nella lettura dell'episodio che commentava ciò che rileva, invece, è che l'episodio avesse un nucleo di veridicità e che l'espressione del suo pensiero non contenesse elementi dispregiativi verso le persone coinvolte. Né vale rilevare, per dedurre l'inoperatività della scriminante, che, quando un fatto obiettivo sia posto a fondamento della elaborazione critica, l'esposizione di una personale interpretazione ha valore di esimente solo allorché sia rispettata la verità del fatto Cass., numero 29383 del 6/6/2006 . Nel caso di specie, invero, è proprio il fatto che era in discussione - circa le modalità reali dell'accadimento e le sue conseguenze - sicché non è lecito desumere l'illiceità della condotta di A. dal solo fatto che la sua lettura contrastava con quella delle odierne parti civili e della controparte politica, tanto più che sulla vicenda nessuna verità era stata affermata con i crismi della certezza quanto meno di una certezza che si potesse giuridicamente a lui opporre. Non bisogna trascurare, poi, che egli non parlava ex cathedra , come può dirsi per chi adopera strumenti di comunicazione di massa, ma nel corso di una discussione pubblica, durante la quale poteva essere criticato e sconfessato dalla parte avversa, che alla versione delle odierne parti civili aveva mostrato di aderire. Pertanto, anche a voler ritenere che egli avesse mal interpretato l'episodio, non è possibile applicare meccanicisticamente la giurisprudenza che predica la necessità di esercitare il diritto di critica nel rispetto della verità del fatto giurisprudenza che è stata elaborata con riferimento alla critica esercitata dal giornalista, il quale si avvale di strumenti di comunicazione infinitamente più potenti della voce singola ed è al riparo dalla reazione difensiva del criticato. Deve affermarsi, quindi, che, allorché il diritto di critica venga esercitato in presenza del criticato o, come nella specie, in presenza di chi potrebbe validamente contrastare il propalante , anche la lettura errata del fatto storico su cui la critica si innesta scrimina l'offensore - salvo che si tratti di lettura deliberatamente e strumentalmente effettuata a scopo denigratorio - dal momento che la tutela dell'onore può essere efficacemente assicurata dalla reazione difensiva del criticato. 6. Consegue a tanto che la sentenza va annullata senza rinvio, per l'assenza di un elemento essenziale del reato e, comunque, per l'esistenza della scriminante commentata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.