Il compenso del professionista può essere sottoposto a condizione, anche se opera per un privato

La clausola che condiziona il compenso del professionista ingegnere o architetto ad un evento futuro e incerto è valida anche se la prestazione è resa ad un soggetto privato infatti dal principio dell’inderogabilità della tariffa professionale non deriva la nullità della clausola che condiziona il pagamento al verificarsi di una condizione.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15786 del 24 giugno 2013. Il caso. Tre architetti citavano in giudizio una s.r.l. ed una confraternita chiedendo loro in solido il pagamento di una rilevante somma a titolo di compenso professionale per avere progettato alloggi e attività commerciali da realizzarsi su terreni della confraternita. Gli alloggi e le attività commerciali erano stati promessi in vendita dalla stessa confraternita alla s.r.l. Il giudice di prime cure accoglieva la domanda esclusivamente nei confronti della società, la quale quindi proponeva appello asserendo di non avere conferito alcun incarico ai suddetti professionisti e che il pagamento del compenso era comunque subordinato alla condizione, non verificatasi, del rilascio delle concessioni edilizie e al termine di trenta giorni dal rilascio delle condizioni. La Corte di appello accoglieva il gravame osservando che il conferimento dell’incarico di progettazione da parte della società ai tre architetti era provato da una lettera inviata ad uno dei tre professionisti, nonché da una scrittura privata sottoscritta da tutti gli architetti, dove erano precisati i termini economici dell’accordo. Inoltre, il giudice di seconde cure qualificava una clausola, inserita in una scrittura informale, alla stregua di condizione sospensiva, in quanto subordinava il pagamento ad un evento futuro e incerto, non verificatosi, quale il rilascio della concessione edilizia. Il pagamento del compenso può essere subordinato al verificarsi di un evento futuro e incerto? Gli architetti ricorrevano, dunque, dinnanzi alla Suprema Corte lamentando, in particolar modo, la violazione della legge n. 340/1976 e dell’art. 6, legge n. 404/1977, giacché nel caso in cui il committente è un privato opera il divieto di derogare ai minimi tariffari previsti nella suddetta legge n. 404/1977. È opportuno, in proposito, ricordare che l’articolo unico della legge n. 340/1976 come interpretato in via autentica dall’art. 6, legge n. 404/1977 stabilisce l’inderogabilità dei minimi della tariffa professionale. I ricorrenti domandano, quindi, se la clausola contrattuale che subordina il pagamento del compenso del professionista al verificarsi di un evento futuro e incerto sia sempre valida ed efficace, indipendentemente dalla natura del committente quale privato o P.A., ossia se sia valida ed efficace solo nell’ambito del rapporto professionale tra professionista privato e committente P.A. La Suprema Corte, nel ritenere infondato il ricorso, richiama i principi scolpiti dalle Sezioni Unite dalla sentenza n. 18450/2005, applicandoli al caso in specie dove il committente è un soggetto privato. Valida la clausola sull’inderogabilità dei minimi tariffari. In proposito, si ricorda che le suddette Sezioni Unite hanno affermato che la clausola con cui, in una convenzione tra un ente pubblico territoriale e un ingegnere al quale il primo abbia affidato la progettazione di un'opera pubblica, il pagamento del compenso per la prestazione resa è condizionato alla concessione di un finanziamento per la realizzazione dell'opera è valida in quanto non si pone in contrasto col principio di inderogabilità dei minimi tariffari, previsto dalla l. 5 maggio 1976 n. 340, come interpretata autenticamente dall'art. 6, comma 1, l. 1 luglio 1977 n. 404, normativa cui ha fatto seguito l'art. 4, comma 12 bis, d.l. 2 marzo 1989 n. 65, conv. con modificazioni nella l. 26 aprile 1989 n. 155 nè tale clausola, espressione dell'autonomia negoziale delle parti, viene a snaturare la causa della prestazione, incidendo sul sinallagma contrattuale. Il diritto al compenso può essere sottoposto a condizione. Inoltre, secondo tale rilevante pronuncia, le parti possono prevedere che l’efficacia di un’obbligazione resti condizionata ad un evento futuro ed incerto anche con riguardo alla specifica clausola contrattuale volta a subordinare il diritto al compenso spettante al professionista. Tuttavia, la Suprema Corte precisa che la natura potestativa di uno dei due segmenti in cui si articola la condizione mista non può tradursi nella assoluta arbitrarietà di comportamento per quella parte che - in base all'accordo contrattuale - è chiamata ad esprimere quella volontà che costituisce anche una componente della condizione. Il principio di buona fede costituisce ad un tempo criterio di valutazione e limite anche del comportamento discrezionale del contraente dalla cui volontà dipende in parte l'avveramento della condizione. Tale comportamento non può essere considerato privo di ogni carattere doveroso sia perché - se così fosse - finirebbe per risolversi in una forma di mero arbitrio, contrario al dettato dell'art. 1355 c.c. sia perché aderendo a tale indirizzo si verrebbe ad introdurre nel precetto dell'art. 1358 c.c. una restrizione che questo non prevede e che, anzi, condurrebbe ad un sostanziale svuotamento del contenuto della norma, limitandolo all'elemento casuale della condizione mista, cioè ad un elemento sul quale la condotta della parte la cui obbligazione è condizionata ha ridotte possibilità d'incidenza, mentre la posizione giuridica dell'altra parte resterebbe in concreto priva di ogni tutela. Invece è proprio l'elemento potestativo quello in relazione al quale il dovere di comportarsi secondo buona fede ha più ragion d'essere, perché è con riguardo a quell'elemento che la discrezionalità contrattualmente attribuita alla parte deve essere esercitata nel quadro del principio cardine di correttezza. Dunque, il contratto sottoposto a condizione mista è soggetto all'art. 1358 c.c., che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione. La determinazione del compenso dei professionisti . Nella normativa delle professioni intellettuali il contratto costituisce la fonte principale per la determinazione del compenso, mentre la relativa tariffa rappresenta una fonte sussidiaria e suppletiva, alla quale è dato ricorrere, ai sensi dell'art. 2233 c.c., soltanto in assenza di pattuizioni al riguardo. Pertanto le limitazioni al potere di autonomia delle parti e la prevalenza della liquidazione in base a tariffa possono derivare soltanto da leggi formali o da altri atti aventi forza di legge. Pertanto, il compenso spettante al professionista, ancorché elemento naturale del contratto di prestazione d'opera intellettuale, sia liberamente determinabile dalle parti e possa anche formare oggetto di rinuncia da parte del professionista, salva l'esistenza di specifiche norme proibitive che, limitando il potere di autonomia delle parti, rendano indisponibile il diritto al compenso per la prestazione professionale e vincolante la determinazione del compenso stesso in base a tariffe. Nella disciplina che regolamenta le professioni di ingegnere ed architetto non si riscontra una norma che sanziona espressamente con la nullità eventuali clausole derogatrici delle tariffe. Peraltro, le disposizioni relative all’inderogabilità dei minimi tariffari sono previste a tutela di un interesse di categoria, per cui una clausola che deroghi tale principio non si può configurare in mancanza di un’esplicita previsione normativa. Nella fattispecie al centro della controversia in esame, il diritto al compenso vantato dal professionista non forma oggetto di una rinunzia espressa già in sede di stipula del contratto, ma con apposita clausola viene condizionato al finanziamento dell'opera, inserendosi quindi nel complessivo assetto d'interessi perseguito dalle parti col negozio posto in essere. In tal caso, non si può neppure sostenere che le parti abbiano voluto un negozio a titolo gratuito. Il contratto d'opera professionale resta oneroso, ma in esso è introdotto un evento che condiziona il pagamento del compenso al finanziamento dell'opera, in mancanza del quale quest'ultima non può essere eseguita. Il pagamento si può condizionare ad un evento futuro e incerto. Occorre dunque ribadire il principio dell’inderogabilità della tariffa professionale non deriva la nullità della clausola che condiziona il pagamento al verificarsi del rilascio delle concessioni edilizie e al termine di trenta giorni dal rilascio delle condizioni. come già affermato dalla Cass. n. 21235/2009 . Il compenso per prestazioni professionali va stabilito in base alla tariffa ed adeguato all'importanza dell'opera solo quando esso non sia stato liberamente pattuito, giacché l'art. 2233 c.c. prevede una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, assegnando importanza in primo luogo alla convenzione stipulata tra le parti e poi, solo in mancanza di quest'ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice. Invece, non operano i criteri di cui all'art. 36, comma 1, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione delle norme che impongono l'inderogabilità dei minimi tariffari quale, per gli ingegneri ed architetti, quello contenuto nella l. 5 maggio 1976 n. 340 non comporta, pertanto, la nullità del patto in deroga, in quanto si tratta di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell'intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 aprile - 24 giugno 2013, numero 15786 Presidente Oddo – Relatore Proto Svolgimento del processo Gli architetti R C. , A J. e M.D. , con citazione notificata in data 5/1 - 25/3/1994 convenivano in giudizio la SIME Costruzioni s.r.l. e la Augustissima Arciconfraternita ed Ospedali della SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti d'ora innanzi semplicemente Arciconfraternita per sentirle condannare in solido al pagamento della somma di lire 700.000.000 a titolo di compenso professionale per asserite attività di progettazione di alloggi e attività commerciali da realizzarsi su terreni della Arciconfraternita e da questa promessi in vendita alla SIME. Con sentenza 24/9/1992 il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda attorea nei soli confronti della SIME e nei limiti della somma di L. 320.000.000. La SIME proponeva appello deducendo di non avere conferito alcun incarico ai tre architetti che il pagamento del compenso documentalmente pattuito era subordinato alla condizione del rilascio delle concessioni edilizie e al termine di 30 giorni decorrente dal rilascio delle concessioni la condizione non si era verificata - nessun elaborato progettuale redatto per conto della SIME era provato in atti. Si costituivano l'Arciconfraternita e gli architetti i quali chiedevano il rigetto dell'appello e con appello incidentale chiedevano un maggiore compenso. La Corte di Appello di Napoli con sentenza del 15/2/2007 accoglieva l'appello principale della SIME e rigettava la domanda proposta nei suoi confronti dagli attori di conseguenza rigettava il loro appello incidentale. Per quanto interessa in questa sede, la Corte territoriale osservava - che il conferimento dell'incarico di progettazione da SIME ai tre architetti era provato da una missiva inviata dalla committente all'architetto J. nella quale erano richiamati i termini dell'incarico e da una scrittura privata del 7/2/1992, sottoscritta dai tre architetti nella quale erano richiamati i termini economici dell'accordo e le modalità di pagamento che nella scrittura informale del 7/2/1992 sottoscritta dai tre architetti era inserita una clausola così testualmente formulata Prog. architettonico 320 milioni a 30 gg. dalla concessione edilizia che doveva essere qualificata come condizione sospensiva perché subordinava il pagamento ad un evento futuro e incerto quale il rilascio della concessione edilizia che costituiva anche il momento iniziale per la decorrenza del termine di 30 giorni per l'adempimento della prestazione, - che la condizione non si era verificata che la clausola che subordinava il compenso al rilascio della concessione non poteva dirsi affetta da nullità perché non violava norme imperative di legge la Corte di Appello, sul punto rimanda a Cass. SSUU. 18450/2005 La Corte di Appello non decideva invece sugli altri motivi dell'appello principale ritenendoli assorbiti dall'accoglimento dell'appello sotto gli evidenziati profili. Gli architetti R C. , A J. e M.D. propongono ricorso affidato a tre motivi e depositano memoria. Resiste con controricorso SIME Costruzioni s.r.l. L'Arciconfraternita è rimasta intimata. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. unico della legge 340/1976 e dell'art. 6 della legge 404/1977, dell'art. 2230 c.c. e degli artt., 1362 e 1364 c.c. e il vizio di motivazione. I ricorrenti sostengono - che i principi richiamati dalla Corte di Appello non sarebbero applicabili se il committente è un privato per il quale invece opererebbe il divieto di derogare ai minimi tariffari di cui alla L. 404/1977 - che la previsione di una prestazione professionale gratuita sarebbe nulla qualora non fosse espressione diretta e immediata della volontà del professionista di rinunciare ai propri compensi e tale rinuncia espressa non potrebbe rinvenirsi nella previsione contrattuale contenuta nella scrittura privata richiamata dalla Corte di Appello nella quale, invece non si sarebbe inteso sottoporre a condizione il diritto al compenso del professionista Formulando il quesito ex art. 366 bis c.p.c. attualmente abrogato, ma applicabile ratione temporis chiede se la clausola contrattuale che condizioni il pagamento del compenso per la prestazione del professionista architetto o ingegnere al verificarsi di un evento futuro e incerto sia sempre valida ed efficace a prescindere alla natura del committente quale privato o pubblica amministrazione, ovvero ai sensi dell'articolo unico della L. 5/5/1976 numero 340 come interpretato in via autentica dall'art. 6 della L. 1/7/1977 numero 404, che sancisce l'inderogabilità dei minimi della tariffa professionale di ingegneri e architetti, sia valida ed efficace unicamente nell'ambito del rapporto professionale tra professionista privato e committente pubblica amministrazione. 1.1 Il motivo è infondato e al quesito occorre rispondere affermando che la clausola che condiziona il compenso del professionista ingegnere o architetto ad un evento futuro e incerto non è affetta da nullità anche se la prestazione professionale è resa ad un soggetto privato. A questa conclusione si giunge alla luce dei principi espressi da questa Corte a sezioni unite Cass. SS.UU. 19/9/2005 numero 18450 , che, pur applicati in una fattispecie nella quale il committente era una pubblica amministrazione, sono pienamente applicabili anche nel caso in cui il committente sia un soggetto privato. Occorre premettere che l'articolo unico della legge numero 340 del 1976 stabiliva che I minimi di tariffa per gli onorari a vacazione, a percentuale ed a quantità, fissati dalla legge 2 marzo 1949, numero 143, o stabiliti secondo il disposto della presente legge, sono inderogabili. L'inderogabilità non si applica agli onorari a discrezione per le prestazioni di cui ali 'articolo 5 del testo unico approvato con la citata legge 2 marzo 1949, numero 143 . L'art. 6 L. 404 del 1977 ha poi stabilito che L'articolo unico della legge 5 maggio 1976, numero 340, deve intendersi applicabile esclusivamente ai rapporti intercorrenti tra privati . Peraltro nel richiamato precedente di questa Corte a sezioni unite, con riferimento alla specifica problematica della condizione sospensiva che condiziona il diritto al compenso del professionista, in motivazione ha affermato i seguenti principi a le parti di un rapporto contrattuale ben possono prevedere, nell'esercizio dell'autonomia privata, che l'efficacia di un'obbligazione nascente dal contratto resti condizionata, in senso sospensivo o risolutivo, ad un evento futuro ed incerto artt. 1322 - 1353 c.c. . b tale principio deve trovare applicazione anche con riguardo alla specifica clausola contrattuale volta a condizionare il diritto al compenso, spettante al professionista nella specie era condizionato al finanziamento di un'opera pubblica c nella disciplina delle professioni intellettuali il contratto costituisce la fonte principale per la determinazione del compenso, mentre la relativa tariffa rappresenta una fonte sussidiaria e suppletiva, alla quale è dato ricorrere, ai sensi dell'art. 2233 c.c. soltanto in assenza di pattuizioni al riguardo e pertanto le limitazioni al potere di autonomia delle parti e la prevalenza della liquidazione in base a tariffa possono derivare soltanto da leggi formali o da altri atti aventi forza di legge riguardanti gli ordinamenti professionali d il primato della fonte contrattuale impone di ritenere che il compenso spettante al professionista, ancorché elemento naturale del contratto di prestazione d'opera intellettuale, sia liberamente determinabile dalle parti e possa anche formare oggetto di rinuncia da parte del professionista, salva resistenza di specifiche norme proibitive che, limitando il potere di autonomia delle parti, rendano indisponibile il diritto al compenso per la prestazione professionale e vincolante la determinazione del compenso stesso in base a tariffe e nella normativa concernente le professioni di ingegnere ed architetto manca una disposizione espressa diretta a sanzionare con la nullità eventuali clausole in deroga alle tariffe e, sul piano logico, le norme sull'inderogabilità dei minimi tariffari sono contemplate non a tutela di un interesse generale della collettività ma di un interesse di categoria, onde per una clausola che si discosti da tale principio non è configurabile - in difetto di un'espressa previsione normativa in tal senso - il ricorso alla sanzione della nullità, dettata per tutelare la violazione d'interessi generali. f il principio d'inderogabilità è diretto ad evitare che il professionista possa essere indotto a prestare la propria opera a condizioni lesive della dignità della professione sicché la sua violazione, in determinate circostanze, può assumere rilievo sul piano disciplinare , ma non si traduce in una norma imperativa idonea a rendere invalida qualsiasi pattuizione in deroga, allorché questa sia stata valutata dalle parti nel quadro di una libera ponderazione dei rispettivi interessi. g queste considerazioni risultano ancor più valide quando il diritto al compenso vantato dal professionista non forma oggetto di una rinunzia espressa già in sede di stipula del contratto col quale l'incarico professionale è affidato, ma con apposita clausola viene condizionato inserendosi quindi nel complessivo assetto d'interessi perseguito dalle parti col negozio posto in essere. h in tali casi non può neppure affermarsi che le parti abbiano voluto un negozio a titolo gratuito. Il contratto d'opera professionale resta normalmente oneroso, ma in esso è introdotto per volontà dei contraenti un elemento ulteriore, cioè un evento che condiziona il pagamento del compenso al finanziamento dell'opera, in assenza del quale quest'ultima non può essere eseguita. In conclusione, dal principio di inderogabilità della tariffa professionale non deriva la nullità non prevista della clausola, liberamente pattuita, che condiziona il pagamento al verificarsi di una condizione. Questi principi sono stati anche di recente ribaditi da Cass. 5/10/2009 numero 21235 con la quale si è affermato che il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all'importanza dell'opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l'art. 2233 cod. civ. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest'ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all'art. 36, primo comma, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l'inderogabilità dei minimi tariffari quale, per gli ingegneri ed architetti, quello contenuto nella legge 5 maggio 1976, numero 340 non importa la nullità, ex art. 1418, primo comma, cod. civ., del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell'intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale in senso conforme, Cass. 11/8/2011 numero 17222 . 2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 1353 e 1184 c.c. e degli artt. 1362 e 1364 c.c. e il vizio di motivazione. I ricorrenti lamentano l'erronea interpretazione dell'accordo espresso con la frase Prog. architettonico 320 milioni a 30 gg. dalla concessione edilizia perché non introdurrebbe una condizione, ma si limiterebbe a regolare il tempo dell'adempimento e ciò risulterebbe dal tenore letterale della clausola. Formulando il quesito ex art. 366 bis c.p.c. i ricorrenti chiedono se la clausola contrattuale con la quale i contraenti contemplando un evento futuro e incerto abbiano ad esso correlato non l'efficacia del vincolo, ma soltanto il tempo dell'adempimento di una determinata prestazione, sia da qualificarsi come condizione sospensiva della nascita del diritto di credito in capo al creditore con conseguente applicabilità degli artt. 1353 e ss. c.c., ovvero sia qualificabile come modalità temporale dell'adempimento con la conseguente applicabilità della disciplina sul tempo dell'adempimento e con l'ulteriore conseguenza che il termine per l'adempimento debba ritenersi maturato con il verificarsi dell'evento o con la sopravvenuta impossibilità dell'evento. 2.1 Occorre premettere che l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 cod. civ., e segg., o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d1interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa Cass. numero 22536 del 2007 Cass. numero 10554 del 2010 . La giurisprudenza richiamata dai ricorrenti effettivamente afferma che qualora i contraenti, contemplando un evento futuro nella specie, approvazione di un progetto di costruzione da parte dell'autorità competente , abbiano ad esso correlato non l'efficacia del vincolo negoziale, ma soltanto il tempo dell'adempimento di una determinata prestazione pagamento del compenso al professionista autore del progetto , resta esclusa l’invocabilità dei principi inerenti alla condizione od al termine, quali elementi accidentali del negozio incidenti sulla sua efficacia, e rimane applicabile la disciplina sul tempo dell'adempimento, di cui agli artt. 1183 e segg. c.c., con la conseguenza che il termine per l'adempimento medesimo deve ritenersi maturato sia con il verificarsi dello evento, sia con la definitiva impossibilità del suo verificarsi nella specie, diniego di detta approvazione , ove la volontà delle parti, alla stregua del loro indicato atteggiamento, vada intesa nel senso dell'equiparazione dell'una e dell'altra situazione Cass. 24/7/1985 numero 4339 e nello stesso senso Cass. 9/8/2011 numero 17125 . Ma proprio la ricerca della comune volontà delle parti deve portare a individuare la previsione di un termine di adempimento piuttosto che la previsione di una condizione alla quale resta subordinato il pagamento del compenso. La Corte territoriale, nell'interpretare la clausola ha valorizzato e ritenuto prevalente l'incertezza dell'evento futuro a partire dal quale si stabiliva il termine dilatorio per il pagamento e ha fornito una interpretazione che non appare incompatibile con il tenore letterale della clausola, attesa la sua estrema sinteticità tale interpretazione, inoltre, non contrasta con i canoni della ragionevolezza ove si consideri che la Corte territoriale ha dato inoltre spiegazione della ragione per la quale gli architetti erano indotti a concordare un compenso esposto al rischio della mancata concessione edilizia, trattandosi di rischio calcolato, tenuto conto dei vantaggi connessi a prospettive di ulteriori e proficue occasioni di lavoro pag. 8 della sentenza e dell'ammontare del compenso pattuito per le ulteriori fasi di lavoro pag. 7 della sentenza . Questi elementi di fatto, sui quali si è fondata la decisione non sono stati attinti dal motivo che pertanto deve essere rigettato. 3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono il vizio di motivazione in quanto la Corte di Appello ha fondato la propria decisione sul presupposto che la scrittura informale fosse firmata da tutti e tre gli architetti, mentre era firmata solo dall'architetto J.A. . 3.1 Il motivo è inammissibile. Infatti l'avere ritenuto, contrariamente al vero che la scrittura, prodotta in atti, fosse stata sottoscritta da tutti e tre gli attori invece che da uno soltanto si risolve in una doglianza di travisamento del fatto. In proposito va rilevato che il travisamento del fatto non può costituire motivo di ricorso per cassazione, poiché, risolvendosi in un'inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento non solo con riferimento alla clausola, ma anche con riferimento all'esistenza di un contratto di prestazione di opera con gli altri due soggetti che non lo avrebbero sottoscritto , in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395, numero 4, c.p.c. Cass. 15/5/1997, numero 4310 Cass. 2/5/1996, numero 4018 . 4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo a favore di SIME non v'è luogo a provvedere sulle spese nei confronti dell'Arciconfraternita che non ha svolto difese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna R C. , J.A. e D M. a pagare alla SIME Costruzioni s.r.l. le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.500 per compenso oltre Euro 200,00 per esborsi.