Nessuna minaccia in atto, niente protezione internazionale

Nell’esame delle domande di protezione internazionale, al fine di verificare l’integrazione delle condizioni richieste dalla legge per la concessione dello status , la Corte deve operare un duplice controllo il riscontro della situazione oggettiva attuale nel Paese di provenienza del richiedente e la valutazione del peso degli episodi narrati.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 15756, depositata il 24 giugno 2013. Protezione e permesso umanitario negati. Il ricorso è stato proposto da un cittadino georgiano, che si è visto rigettare, in entrambi i gradi, la domanda di protezione internazionale. A sostegno della propria decisione, la Corte territoriale ha affermato che il richiedente non ha indicato un solo fatto di persecuzione o di prevaricazione. Infatti, l’episodio del fermo eseguito dai militari russi, nel corso dell’occupazione della Georgia realizzata nel 2008, è risultato essersi risolto in poche ore, senza violenze, e determinato da una condizione particolare, di crisi internazionale, successivamente superata. Inoltre, i giudici di merito hanno posto in risalto la situazione della Georgia, normalizzatasi dopo l’espatrio del ricorrente essi hanno altresì escluso il riconoscimento del permesso umanitario, vista la genericità complessiva delle dichiarazioni. Il ricorrente ha lamentato violazione di legge. In particolare, ha sostenuto che non sono state prese in considerazione le narrazioni di specifici episodi di persecuzione, significativi della grave violazione della libertà di espressione e manifestazione del pensiero che si subisce in Georgia. Episodio inquadrato temporalmente in una fase critica di rilievo internazionale non più in atto. La Suprema Corte ha ritenuto il motivo manifestamente infondato, evidenziando che la sentenza impugnata, dopo aver svolto un’ampia indagine sui fatti narrati, ha posto in evidenza, con motivazione immune da censure, che la domanda proposta difetta della rappresentazione di una situazione concreta di persecuzione diretta o potenziale o di rischio di danno grave alla persona. Questo perché l’episodio narrato riguarda il fermo di una forza di occupazione, di brevissima durata e senza la commissione di violenze fisiche, non riferibile ad una condizione di prevaricazione stabile e continuativa dell’esercizio delle libertà fondamentali nel Paese d’origine del ricorrente, mentre gli altri generici episodi non sono stati considerati indicativi della situazione di pericolo rappresentata. Anche la lamentela circa il rigetto della misura residuale del permesso umanitario è stata respinta, poiché è stato correttamente escluso il rilievo dell’episodio del fermo per la sua modestia intrinseca e per la sua circoscritta caratterizzazione storico politica. Gli Ermellini hanno osservato, infatti, che nel caso di specie, è del tutto assente il legame causale, ancorché non riconducibile ad un pericolo persecutorio, tra la situazione oggettiva del Paese d’origine e la condizione soggettiva vissuta o subita dal richiedente in quel contesto geografico, politico e sociale.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 19 febbraio - 24 giugno 2013, n. 15756 Presidente Di Palma – Relatore Acierno Svolgimento del processo e motivi di decisione Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Trieste ha respinto, conformemente alla pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino straniera di nazionalità georgiana V.S A sostegno della propria decisione la Corte ha affermato - il ricorrente non ha indicato un solo fatto di persecuzione o di prevaricazione ai suoi danni. L'episodio del fermo eseguito da militari ., nel corso dell'occupazione della . realizzata nel ., risulta risolto in poche ore, senza violenze e determinato da una condizione particolare, di crisi internazionale, successivamente superata - le discriminazioni nella ricerca di un lavoro non gli avrebbero impedito di avere un reddito con il quale vivere e comunque sono state rappresentate in modo del tutto generico - il racconto del ricorrente si è rivelato contraddittorio rispetto alle dichiarazioni rese davanti alla Commissione territoriale di Gorizia dalla moglie, anch'essa richiedente una misura di protezione internazionale - il ricorrente si è iscritto all'organizzazione politica omissis solo quando si trovava già in Italia - nel suo paese non faceva parte di un'organizzazione politica illegale ma di un movimento riconosciuto legalmente - la situazione della . si è normalizzata dopo l'espatrio del ricorrente - le condizioni di salute dallo stesso rappresentate non hanno trovato riscontri diagnostici obiettivi nella documentazione sanitaria prodotta - la genericità complessiva delle dichiarazioni esclude il riconoscimento anche delle misure gradate protezione sussidiaria e permesso umanitario Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso il cittadino straniero affidandosi ai seguenti motivi nel primo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 3 comma quarto della l. n. 251 del 2007 nonché il vizio di motivazione della pronuncia impugnata per non avere, la Corte d'Appello ritenuto un serio indizio della fondatezza delle dichiarazioni della ricorrente l'aver già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette art. 3, comma quarto citato . Al riguardo il ricorrente lamenta in particolare che non sono state prese in considerazione le narrazioni di tre specifici episodi di persecuzione, significativi della grave violazione della libertà di espressione e manifestazione del pensiero che si subisce nel suo paese d'origine, essendo sostanzialmente impedito di partecipare a manifestazioni di protesta. Inoltre si evidenzia che le dichiarazioni del ricorrente e quelle della moglie non sono in contraddizione, se si tiene conto delle difficoltà di traduzione e del contesto particolare in cui gli episodi narrati si sono consumati. Infine si censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui vengono poste in rilievo le condizioni economiche del ricorrente, ovvero circostanze del tutto estranee alle violazioni dell'esercizio delle libertà fondamentali denunciate. Il primo motivo è manifestamente infondato. La sentenza impugnata, dopo aver svolto un'ampia indagine sui fatti narrati, ha posto in evidenza, con motivazione immune da censure e con un giudizio di fatto incensurabile in questa sede che la domanda proposta difetta della rappresentazione di una situazione concreta di persecuzione diretta o potenziale o di rischio di danno grave alla persona, in quanto l'episodio narrato riguarda il fermo di una forza di occupazione, di brevissima durata e senza la commissione di violenze fisiche, non riferibile ad una condizione di prevaricazione stabile e continuative dell'esercizio delle libertà fondamentali nel paese d'origine della ricorrente mentre gli altri episodi risultano del tutto generici e non indicativi della situazione di pericolo rappresentata. A questa assorbente considerazione, si aggiunge che tale episodio deve essere inquadrato temporalmente in una fase critica di rilievo internazionale non più in atto. Ne consegue che alla stregua di questa duplice valutazione la Corte ha compiuto entrambi i controlli che gli sono richiesti nell'esame delle domande di protezione internazionale ovvero il riscontro della situazione oggettiva attuale e la valutazione del peso degli episodi narrati al fine di verificare l'integrazione delle condizioni richieste dalla legge ai fini dell'adozione di una delle tre misure di protezione internazionale. Nel secondo motivo di ricorso viene censurata sia sotto il profilo della violazione di legge che del difetto di motivazione la carenza di giustificazione posta a base del rigetto della misura residuale del permesso umanitario. In particolare il ricorrente ha lamentato il mancato esame dei documenti prodotti a sostegno della perdurante gravità della situazione relativa all'esercizio delle libertà fondamentali in . e l'omesso esame officioso di tale condizione, in ossequio al dovere di cooperazione istruttoria che incombe in questi procedimenti in capo al giudice. Il motivo è manifestamente infondato. L'episodio del fermo che costituisce l'unico fatto descritto dal ricorrente astrattamente riconducibile ad una condotta coercitiva statuale o di organizzazioni che lo Stato non è in grado di controllare, riguarda una fase storico politico determinata e conclusa, come incensurabilmente accertato nella sentenza impugnata. Escluso il rilievo di tale episodio per la sua modestia intrinseca e per la sua circoscritta caratterizzazione storico politica, non risultano altre concrete manifestazioni di violazioni delle libertà fondamentali subite dalla ricorrente o minacciate. Gli altri fatti narrati sono privi di elementi indicativi di una effettiva situazione di contrazione dei diritti fondamentali di libertà. Non sussistono, di conseguenza, come esattamente rilevato dalla Corte d'Appello di Trieste, i presupposti per esercitare i poteri istruttori officiosi ex art. 8 terzo comma d.lgs n. 25 del 2008, occorrendo anche per la misura del permesso umanitario, un legame causale, ancorché non riconducibile ad un pericolo persecutorio o di danno grave, tra la situazione oggettiva del paese d'origine e la condizione soggettiva vissuta o subito dal richiedente in quel contesto geografico, politico e sociale. Nella specie, tale legame è del tutto assente e ciò giustifica la sufficienza del quadro del paese d'origine della ricorrente desumibile dagli atti e dai documenti di parte, di cui si da ampia ed esauriente giustificazione motivazionale nella sentenza impugnata. Il ricorso in conclusione deve essere rigettato. La natura della controversia e le condizioni soggettive della parte ricorrente giustificano la compensazione delle spese di lite del presente procedimento. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese di lite del presente procedimento.