Il parcheggio errato consapevolmente è violenza privata

La violenza privata si configura attraverso qualsiasi mezzo che sia idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e azione una persona, costringendolo a fare, non fare o omettere qualcosa contro la propria volontà. Tra questi mezzi idonei può esserci anche l’autovettura, quando questa sia utilizzata per impedire ad altri di accedere al proprio fondo.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 25785, depositata il 16 giugno 2014. Il caso. La Corte d’appello, confermando la decisione del giudice di primo grado, condannava per il delitto di violenza privata l’uomo che aveva parcheggiato il proprio fuoristrada su una stradella per impedire ad un altro la possibilità di accedere al suo fondo. Il soccombente ricorreva in Cassazione lamentando il difetto dell’elemento psicologico, poiché lo stesso affermava che si era trattato di un parcheggio errato, non integrante la fattispecie del reato di violenza privata, in quanto non vi era stato alcun rifiuto allo spostamento del proprio mezzo. La difesa, infatti, rilevava che i Giudici territoriali non avevano considerato che la vettura dell’imputato si presentava aperta e con le chiavi inserite nel cruscotto, per cui chiunque l’avrebbe potuta spostare, e che quindi non si trattava di impedimento, ma semplicemente di un parcheggio momentaneo. La violenza si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare la capacità di autodeterminarsi. La Suprema Corte ricorda il proprio orientamento, secondo il quale, al fine della configurabilità del delitto di violenza privata articolo 610 c.p. , il requisito della violenza si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente delle libertà di determinazione e di azione dell’offeso, il quale sia costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà. Per cui integra il reato in esame il parcheggio di un’autovettura eseguito intenzionalmente in modo tale da impedire a un’altra automobile di spostarsi per accedere alla pubblica via e accompagnato dal rifiuto reiterato alla richiesta della persona offesa di liberare l’accesso Cass. numero 16571/2006 . Nel caso di specie, l’imputato, richiamato dai colpi di clacson, si era prima affacciato dalla propria abitazione, ma aveva fatto subito rientro in casa e soltanto il sopraggiungere del figlio aveva posto fine alla condotta antigiuridica volontariamente posta in essere dall’imputato. L’inserimento delle chiavi nel quadro di accensione della vettura non rileva quale elemento di favore, essendo comunque onere del proprietario dell’autovettura rimuovere la situazione antigiuridica consapevolmente creata. Per i suddetti motivi, la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 maggio – 16 giugno 2014, numero 25785 Presidente Oldi – Relatore Palla Fatto e diritto C.P. ricorre avverso la sentenza 8.3.13 della Corte di appello di Messina che ha confermato quella in data 11.11.08 del locale tribunale con la quale è stato condannato, per il reato di violenza privata, alla pena - condizionalmente sospesa - di mesi due di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.c c.p.p., per non essere stato consentito all'imputato di sottoporsi all'esame, come richiesto, avendo illogicamente i giudici di appello rigettato la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, sul punto, ritenendo irrilevanti le tardive dichiarazioni del C. . Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e c.p.p. per avere la Corte messinese ignorato che il primo giudice aveva ritenuto fondato l'impianto accusatorio sulla base delle “dichiarazioni rese dal G. nel verbale di ricezione di denunzia-querela”, laddove non era dato comprendere chi fosse il citato G. , mentre aveva ritenuto attendibile la teste S. pur avendo costei taciuto di essere la convivente della parte offesa Ce.Co. . Peraltro -prosegue la difesa del ricorrente - si era trattato di un errato parcheggio da parte dell'imputato, che non integrava il reato di violenza privata in quanto nessun rifiuto vi era mai stato da parte del C. allo spostamento del proprio mezzo, ove gli fosse stato richiesto così come altre volte era accaduto, per cui difettava l'elemento psicologico del reato. Con il terzo motivo si lamenta come i giudici territoriali non abbiano considerato che la vettura dell'imputato si presentava aperta e con le chiavi inserite nel cruscotto, per cui chiunque l'avrebbe potuta spostare senza che pertanto potesse parlarsi di impedimento, trattandosi comunque di un parcheggio momentaneo, tanto che il figlio dell’imputato una volta sopraggiunto, aveva spostato lui stesso il mezzo del padre sì da consentire a tutti di riprendere la marcia, laddove peraltro ben avrebbe potuto il Ce. accedere a piedi alla sua proprietà, alla quale era ormai prossimo. Osserva la Corte che il ricorso non è fondato. Il requisito della violenza, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'articolo 610 c.p., si identifica - per giurisprudenza pacifica v. Cass., sez. V, 29 gennaio 2004, numero 3403 Sez. V, 22 gennaio 2010, numero 11907 - con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l'offeso, il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà, per cui integra il reato in esame il parcheggio di un'autovettura eseguito intenzionalmente in modo tale da impedire a un'altra automobile di spostarsi per accedere alla pubblica via e accompagnato dal rifiuto reiterato alla richiesta della persona offesa di liberare l'accesso v. Cass., Sez. V, 20 aprile 2006, numero 16571 Sez. V, 12 gennaio 2012, numero 603 . Nella specie, risulta provato dalle dichiarazioni della stessa parte lesa Ce.Co. e della persona che a questi si accompagnava nell'occasione, S.C. , la cui attendibilità è adeguatamente argomentata dai giudici di merito, che il C. , il , aveva parcheggiato il proprio fuoristrada carico di materiale su una stradella sì da impedire al Ce. , con il quale il C. si trovava in risalenti dissapori, l'accesso carraio al suo fondo. Né erano valsi - hanno specificato ancora i giudici di appello - i ripetuti colpi di clacson da parte del Ce. perché la situazione mutasse, tanto che l'imputato, affacciatosi dalla sua abitazione, aveva fatto subito dopo rientro in casa e soltanto il sopraggiungere del figlio del C. aveva posto fine, dopo un considerevole lasso temporale, alla condotta antigiuridica volontariamente posta in essere dall'imputato, senza che possa militare in senso favorevole all'odierno ricorrente la circostanza dell'inserimento delle chiavi nel quadro di accensione della vettura in argomento, essendo comunque onere del proprietario della stessa rimuovere la situazione antigiuridica consapevolmente creata in precedenza, situazione invece, per quanto rilevato in precedenza, perpetuatasi fino all'arrivo di una terza persona. Manifestamente fondato è, da ultimo, il motivo relativo alla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, non avendo il ricorrente evidenziato le ragioni che, ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., avrebbero dovuto far ritenere ai giudici di appello assolutamente decisivo l'esame dell'imputato, motivatamente ritenuto irrilevante dalla Corte messinese. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.