La validità dell’ipotesi accusatoria va verificata in relazione al caso specifico, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, dovendo esaminare in concreto quali avrebbero dovuto essere i comportamenti dell’imputato e quale incidenza ha avuto la condotta colposa dello stesso rispetto alle possibilità di salvezza del paziente in rapporto alle sue condizioni di salute.
E’ quanto emerge dalla sentenza numero 25210/14 della Corte di Cassazione, depositata il 13 giugno. Il caso. Il Tribunale di Tivoli assolveva T.F. dall’imputazione di omicidio colposo secondo la prospettazione accusatoria, l’imputato, cardiologo presso l’Ospedale cittadino, avrebbe cagionato la morte di B.A. per colpa consistita in imprudenza ed imperizia ed, in particolare, non effettuando una corretta diagnosi delle condizioni di salute in cui versava il paziente all’atto dell’ingresso al Pronto Soccorso, ed omettendo di predisporre il suo ricovero in terapia intensiva anziché nel reparto di ortopedia. Secondo il Primo Giudice l’Accusa non avrebbe fornito la prova dell’erroneità della diagnosi effettuata dall’imputato, non avendo il dibattimento consentito di acquisire la prova che esso fosse incorso in errore nel valutare i dati clinici in suo possesso nel momento in cui aveva consigliato il ricovero del B.A. nel reparto di ortopedia. Inoltre, continuava il Tribunale, era sempre onere dell’Ufficio di Procura dimostrare che la sistemazione del paziente presso il diverso reparto di medicina generale avrebbe comportato livelli di assistenza superiori a quelli garantiti nel reparto di ortopedia, scongiurando così il suo decesso. Il PM e le parti civili impugnavano la sentenza del Tribunale e la Corte di Appello di Roma, in accoglimento degli atti di gravame, riformava in toto la statuizione assolutoria, affermando la penale responsabilità del T.F. ma contestualmente dichiarava il reato estinto per intervenuta prescrizione e riconosceva alle parti civili il diritto al risarcimento da liquidarsi in separata sede civile, ferma restando una provvisionale di euro ventimila ciascuno. Secondo la Corte territoriale, sostanzialmente, le probabilità di sopravvivenza del paziente, in contestuale presenza sia dia una diagnosi tempestiva che di un ricovero presso l’adeguato reparto, sarebbero state del 94-95 %, per cui poteva parlarsi di una consistente efficacia impeditiva della condotta omessa nel conseguire un obiettivo terapeutico – ovvero l’abbattimento della mortalità – riconosciuto significativo dalla scienza medica. Ricorreva per Cassazione l’imputato, deducendo violazione di legge in relazione agli articolo 192, 546 e 530 c.p.p., e 40, 41 e 589 c.p., nonché travisamento della prova, carenza e manifesta illogicità della motivazione per avere la sentenza d’appello dedotto automaticamente dal coefficiente di probabilità statistica il nesso causale, omettendo ogni formulazione del giudizio controfattuale ed affidandosi completamente alla c.d. legge di copertura. La giurisprudenza in tema di causalità La Suprema Corte, con la sentenza de qua, ha avuto modo di precisare quelli che sono i tre principi giurisprudenziali fondamentali in tema di causalità a non è possibile chiedere al giudice un accertamento nel nesso causale in termini prossimi alla certezza b non è possibile ancorare l’eziologia di un evento a giudizi di mera possibilità, non potendosi ricavare la responsabilità per omesso impedimento dell’evento attraverso le teorie dell’aumento del rischio o della perdita di chances c è necessario approdare ad un giudizio di alta probabilità logica o di elevata credibilità razionale. In effetti la giurisprudenza ha ormai escluso che si possa fare ricorso automatico a coefficienti di probabilità statistica, essendo semmai necessario escludere l’interferenza di fattori alternativi nella produzione dell’evento. In ogni caso la Corte di Cassazione ha il solo compito di controllare la razionalità delle argomentazioni giustificative della decisione, inerenti sia ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, sia alle inferenze formulate in base ad essi che ai criteri che sostengono le conclusioni, dovendo quindi controllare non la decisione ma il contesto giustificativo della stessa. La necessità del giudizio contro fattuale. I Supremi Giudici, accogliendo sul punto il ricorso, hanno ritenuto che la Corte di Appello si sia, erroneamente, limitata ad evidenziare le percentuali statistiche di guarigione e l’incidenza contraria determinata dalla condotta dell’imputato in altri termini, il giudici di merito hanno dedotto automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma o meno dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale senza che però, dal testo del provvedimento impugnato, risulti che sia stata verificata la validità dell’ipotesi accusatoria nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, né che sia stato esaminato in concreto quali sarebbero stati i comportamenti dovuti dall’imputato e quale incidenza aveva avuto la condotta colposa dello stesso rispetto alle possibilità di salvezza del paziente in rapporto alla sue caratteristiche.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 14 febbraio – 13 giugno 2014, numero 25210 Presidente Zecca – Relatore Serrao Ritenuto in fatto 1. In data 14/07/2009 il Tribunale di Tivoli assolveva T.F. dall'imputazione di omicidio colposo per avere cagionato la morte di B.A. . Secondo l'imputazione T.F. , il OMISSIS , in qualità di cardiologo in servizio presso l'Ospedale omissis , per colpa consistita in imprudenza ed imperizia ed in particolare non effettuando una corretta diagnosi delle condizioni di salute in cui versava B.A. all'atto del suo ingresso al Pronto Soccorso dell'ospedale sopra indicato, il quale accusava dolori retrosternali, ed omettendo di predisporre il ricovero del paziente in terapia intensiva anziché nel reparto di ortopedia, non aveva messo in atto i provvedimenti terapeutici specifici, pur avendo repertato il tracciato elettrocardiografico in Ritmo sinusale 70 b.p.m., pregressa necrosi inferiore con persistenza della corrente lesione , in tal modo contribuendo con la sua condotta concausale all'exitus del B. , avvenuto a causa di arresto cardiaco conseguente ad infarto acuto del miocardio da collusione trombotica della coronaria dx per ulcerazione di placca fibroateromasica calcifuca. 2. Il giudice di prime cure, per quanto qui rileva, riteneva indimostrato che l'imputato avesse effettuato una diagnosi errata tanto sul presupposto che la cartella clinica e la deposizione del consulente tecnico della difesa, in assenza di elementi in contraddizione con tali acquisizioni, fornivano la prova che, al momento di tale diagnosi, l'elettrocardiogramma non presentava anomalie significative ed i valori degli enzimi erano nella norma. Escludeva, in particolare, che il vaglio dibattimentale avesse consentito di acquisire la prova che l'imputato fosse incorso in errore nel valutare i dati disponibili nel momento in cui aveva consigliato il ricovero di B.A. nel reparto di medicina. Sottolineava che, pur avendo il giudice dichiarato inutilizzabile la consulenza autoptica effettuata dai consulenti del pubblico ministero e pur avendo rigettato la richiesta di perizia formulata dall'accusa ai sensi dell'articolo 507 cod. proc. penumero , nel corso del dibattimento l'accusa non si era fatta carico di indicare gli accertamenti che una corretta e diligente operazione diagnostica avrebbe imposto né quale fosse il dato di allarme che, nonostante i risultati tranquillizzanti degli accertamenti e delle analisi effettuati, avrebbe consentito di collegare il non univoco dolore accusato dal paziente ad una sindrome coronarica acuta, incombendo sull'accusa l'onere di provare che la sistemazione del paziente nel reparto di medicina generale avrebbe comportato livelli di assistenza non superiori a quelli garantiti nel reparto di ortopedia e che le apparecchiature dell'UTIC avrebbero scongiurato il decesso, nonostante il rapido decorso della crisi. 3. A seguito di impugnazione del pubblico ministero e delle parti civili costituite, la Corte di Appello di Roma, ribaltando la decisione del primo giudice, riteneva provata la responsabilità dell'imputato, ma pronunciava declaratoria di estinzione del reato per essere frattanto interamente decorso il tempo di prescrizione. La Corte territoriale condannava quindi T.F. , in solido con il responsabile civile I.N.A. Assitalia s.p.a., al risarcimento dei danni in favore delle parti civili M.M. , B.S. , B.Y. e A.C. da liquidarsi in separato giudizio, oltre alla rifusione delle spese dell'intero giudizio a favore delle parti civili stesse la Corte medesima assegnava alle parti civili una provvisionale di Euro 20.000,00 ciascuno. 4. La vicenda veniva ricostruita dalla Corte secondo la seguente successione cronologica dei fatti la sera del OMISSIS , verso le 20,00, B.A. aveva accusato un grave malore che aveva indotto i familiari, nelle ore seguenti, a chiamare l'ambulanza per trasferirlo al pronto soccorso dell'ospedale OMISSIS , facendo così ingresso al pronto soccorso alle ore 22,58. Il paziente veniva preso in carico dalla Dott.ssa D.A.D. , che effettuava le verifiche del caso, gli somministrava dei farmaci a base di nitroglicerina, sospettando che l'uomo potesse essere vittima di un infarto, e disponeva per un elettrocardiogramma ed un prelievo del sangue per l'accertamento dei valori degli enzimi e dell'emocromo, chiedendo ed ottenendo una consulenza cardiologica che veniva effettuata dal Dott. T.F. , che verificava le condizioni del B. integrando la terapia in attesa dell'esito degli accertamenti. Le analisi venivano repertate alle ore 23,49. Nel frattempo la Dott.ssa D.A. veniva sostituita nel turno dalla Dott.ssa To. , che riportava nella cartella clinica del pronto soccorso l'esito della comunicazione telefonica effettuata al cardiologo Dott. T. , dopo le ore 23,49, al quale veniva riferito che i valori degli enzimi erano nella norma. Il Dott. T. , tenuto conto dell'esito dell'elettrocardiogramma e dei valori degli enzimi, consigliava il ricovero del B. in ambiente internistico reparto di medicina . Al pronto soccorso, dopo aver verificato la mancanza di posti letto nel reparto di medicina, reperivano un posto nel reparto di ortopedia, dove il B. veniva quindi ricoverato e dove materialmente veniva tradotto alle ore 0,30 del omissis . Dal diario clinico del reparto ortopedia risultava che al momento dell'ingresso il paziente manifestava sudorazione algida, malessere generale, ipotensione grave . I sanitari disponevano ulteriori e nuovi accertamenti urgenti, ma alle ore 0,59, prima degli esiti dei predetti accertamenti, il B. perdeva conoscenza con midriasi fissa. Venivano chiamati d'urgenza il rianimatore ed il cardiologo, Dott. T. , che intervenivano nell'immediatezza. Venivano praticate manovre rianimatorie per circa 30 minuti senza alcun esito. Alle ore 1,27 veniva, pertanto, dichiarato formalmente il decesso del paziente. La Corte sottolineava che i periti avevano specificato che, non avendo avuto le pur tempestive manovre rianimatorie alcun risultato, in sostanza il B. doveva considerarsi deceduto alle ore 0,59. 5. La Corte di Appello, dopo aver confermato il percorso motivazionale svolto dal primo giudice con riguardo all'inutilizzabilità dell'accertamento autoptico ed all'insussistenza dei presupposti perché il Tribunale accogliesse la sollecitazione istruttoria della pubblica accusa, motivava il proprio convincimento in merito alla responsabilità dell'imputato sulla scorta della perizia espletata in rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, con argomentazioni che possono così sintetizzarsi a gli avvenimenti più significativi per la valutazione della responsabilità a titolo di colpa dell'imputato erano collocabili nell'intervallo di tempo intercorso tra la consulenza cardiologica dallo stesso effettuata e l'ulteriore valutazione sanitaria da lui espressa dopo la comunicazione degli esiti delle analisi relative all'emocromo ed ai valori degli enzimi intorno alla mezzanotte del 29/02/2004 b il collegio peritale aveva ritenuto che da una lettura ordinaria del tracciato dell'elettrocardiogramma, in uno con l'anamnesi raccolta al momento del ricovero, non potessero esservi dubbi sulla presenza di una crisi cardiaca in atto c dalla perizia emergeva in modo chiaro l'errore in una diagnosi che non poteva non essere univoca ed il conseguente errore nella prognosi e nelle iniziative di presidio terapeutico che avrebbero dovuto essere adottate d le probabilità di sopravvivenza del paziente, in presenza di diagnosi tempestiva, di sostegno terapeutico adeguato e di ricovero nell'UTIC, sarebbero state del 94-95%, per cui poteva parlarsi di una consistente efficacia impeditiva della condotta omessa nel conseguire un obiettivo terapeutico abbattimento della mortalità riconosciuto significativo dalla scienza medica. 6. Ricorre per cassazione T.F. deducendo violazione di legge in relazione agli articolo 192, 546, 530 cod. proc. penumero , 40,41 e 589 cod. penumero - travisamento della prova - carenza e manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente lamenta vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata dedotto automaticamente dal coefficiente di probabilità statistica il nesso causale, omettendo ogni formulazione del giudizio controfattuale ed affidandosi completamente alla cosiddetta legge di copertura. La Corte, si assume, avrebbe omesso di considerare che dalla stessa perizia era emersa l'impossibilità di valutare ex post l'estensione del tessuto necrotico per l'inutilizzabilità dei dati autoptici che dall'istruttoria erano emersi più dati statistici ed in particolare il dato per cui la mortalità intraospedaliera in Italia è del 10,7% per i pazienti ricoverati presso le UTIC e del 17,4% per i pazienti ricoverati presso altre unità' operative, il cui esame era stato immotivatamente omesso che il caso concreto si discostava dalla regola scientifica adottata perché il decesso era avvenuto in un arco di tempo inferiore a quello indicato dalla legge di copertura come utile per l'intervento quale avrebbe potuto essere il comportamento doveroso e la reale possibilità di somministrazione di terapia trombolitica in un soggetto diabetico, iperteso e accanito fumatore che dall'istruttoria era emerso che i medici che avevano in cura il paziente non avevano somministrato i farmaci prescritti dall'imputato ed i periti avevano ritenuto tale terapia corretta seppure incompleta, non essendo in grado di affermare se la somministrazione avrebbe potuto scongiurare l'evento. Considerato in diritto 1. Occorre prendere le mosse dal rilievo per cui, in tema di responsabilità professionale medica, la posizione di garanzia che grava sul sanitario e la frequente coesistenza di condotte attive e passive tra loro interagenti, rendono necessario accertare se ci si trovi in presenza di una condotta omissiva o di una condotta attiva, al fine di non applicare a quest'ultima i criteri di giudizio del nesso di condizionamento propri della causalità omissiva. 1.2. Il vizio di legittimità proposto nel ricorso, in cui si denuncia l'omessa formulazione del giudizio controfattuale, non può che riferirsi alla condotta omissiva del medico, effettivamente sussistente nel caso in esame, in cui l'imputazione prende le mosse da un errore diagnostico, essendo la causalità omissiva riferibile a tutti i casi in cui il soggetto ponga in essere un comportamento diverso da quello dovuto, dunque anche nei casi di erronea diagnosi medica. 2. È opportuno ricordare i tre fondamentali principi, in tema di causalità, affermati con la nota sentenza Franzese Sez. U, numero 30328 del 10/07/2002, Rv. 222139 a non è possibile chiedere al giudice un accertamento del nesso causale in termini prossimi alla certezza, secondo l'orientamento espresso a far data dalla sentenza Bonetti del 1990 Sez. 4, numero 4793 del 06/12/1990, dep. 29/04/1991, Rv. 191793 , con i primi accenni, e fino ad arrivare a quelle - più significativamente e decisamente orientate nel senso della necessità dell'accertamento del nesso di causalità in termini di probabilità vicina alla certezza - pronunciate poco prima dell'intervento del 2002 delle Sezioni Unite, in particolare le sentenze Baltrocchi Sez. 4, numero 9780 del 28/09/2000, dep. 09/03/2001, Rv. 218777 , Musto Sez. 4, numero 9793 del 29/11/2000, dep. 09/03/2001, Rv. 218781 , Sgarbi Sez. 4, numero 1585 del 25/09/2001,, dep. 16/01/2002, Rv. 220982 e Covili Sez. 4, numero 5716 del 25/09/2001, dep. 13/02/2002, Rv. 220953 2 parimenti non è possibile ancorare l'eziologia di un evento a giudizi di mera possibilità, al criterio del riscontro di serie ed apprezzabili possibilità di successo, secondo l'orientamento espresso con la sentenza Melis Sez. 4, numero 4320 del 07/01/1983, Rv. 158947 , ovvero che si possa estendere la responsabilità per omesso impedimento dell'evento attraverso le teorie dell'aumento del rischio o della perdita di chances 3 è necessario approdare, quindi, ad un giudizio di alta probabilità logica o di elevata credibilità razionale. 2.1. La strada segnata dalle Sezioni Unite, dunque, è, per un verso, tradizionale, laddove si conferma la dottrina tradizionalistica della causalità, ma, per altro verso, certamente innovativa, nell'ancorare saldamente l'operazione compiuta dal giudice a rigorosi criteri di logica. In tal senso, le Sezioni Unite hanno escluso che si possa fare ricorso automatico a coefficienti di probabilità statistica, ed hanno posto l'accento piuttosto sulla necessità di escludere l'interferenza di fattori alternativi nella produzione dell'evento. In presenza di una legge universale, il giudice è, dunque, tenuto a verificare se essa sia adattabile al caso concreto, se essa sia compatibile, trattandosi di colpa medica, con le concrete condizioni del paziente. Nel caso in cui manchi una legge di copertura, il giudice deve invece accertare con l'aiuto di nozioni scientifiche, anche in assenza di leggi scientifiche, che tutti i pensabili meccanismi di produzione dell'evento siano riconducibili alla condotta dell'agente. Seguendo il percorso tracciato dalle Sezioni Unite, al giudice di legittimità è assegnato il compito di controllare retrospettivamente la razionalità delle argomentazioni giustificative della decisione la cosiddetta giustificazione esterna inerenti a ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova b alle inferenze formulate in base ad essi c ai criteri che sostengono le conclusioni. Questa Corte, dunque, deve controllare non la decisione, bensì il contesto giustificativo di essa, quale esplicitato dal giudice di merito di secondo grado nel ragionamento probatorio che fonda il giudizio di conferma dell'ipotesi sullo specifico fatto da provare Sez. U numero 47289 del 10/12/2003, Petrella, Rv. 226074 . 3. Quanto al nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e la morte del Biferale, il ricorrente, pur enunciando la violazione di legge ed il travisamento della prova, lamenta in sostanza un vizio di motivazione della decisione impugnata ex articolo 606, comma 1, lett. e cod.proc.penumero , e svolge le seguenti considerazioni in punto di nesso di causalità e di causalità omissiva, finalizzate a sostenere la propria prospettazione a la Corte, limitandosi a ratificare l'elaborato peritale e richiamando interi brani della perizia in riferimento alle percentuali di mortalità di pazienti affetti da IMA dagli anni sessanta ad oggi, avrebbe identificato il nesso di causalità con il parametro nomologico utilizzato per la copertura della spiegazione, omettendo di fornire una motivazione in linea con la verifica del caso concreto, in contrasto con i criteri enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2002 b nella sentenza impugnata sarebbe omesso, in riferimento al caso concreto, il giudizio controfattuale, tanto più necessario in quanto la crisi cardiaca era insorta in un arco temporale di quattro ore, inferiore a quanto la legge di copertura indica come tempo utile per l'intervento c in presenza di più dati statistici emergenti dall'istruttoria, la Corte avrebbe omesso di motivare la scelta dei dati concernenti uno studio basato su casi di IMA nel mondo occidentale piuttosto che i dati concernenti la sola realtà italiana, dai quali si evince un abbattimento della mortalità, per i casi di ricovero nelle UTIC, rispetto al ricovero in altre unità operative, del 6,7% d in presenza di numerose inferenze incidenti sul decorso causale, ed in particolare la mancata somministrazione dei farmaci prescritti dal T. , la Corte avrebbe omesso di vagliare tutti gli elementi a disposizione e di fornire risposte esaustive alle obiezioni difensive. 4. È necessario un primo rilievo a proposito del rapporto tra la motivazione della sentenza ed il contenuto della perizia dibattimentale. Ora, non vi è dubbio che la giurisprudenza di legittimità ritiene che la motivazione dei provvedimenti giudiziali possa consistere nel rinvio puntuale a documenti e decisioni già presenti in atti e che l'ampiezza di tale rinvio debba essere proporzionata alle concrete esigenze motivazionali nell'ambito delle finalità che la legge attribuisce alla motivazione quale strumento di trasparenza e controllabilità della decisione, che non esaurisce la propria funzione all'interno delle relazioni tra le parti processuali e riveste o rivestirà in futuro anche una rilevanza pubblica. Ma, nel caso in esame, la censura mossa dal ricorrente si pone in palese contrasto con tale giurisprudenza della Corte e con il testo della sentenza impugnata che, oltre ad aver riportato correttamente i brani ritenuti più significativi dell'elaborato peritale concernenti l'accertamento dell'errore diagnostico, ha espresso le ragioni per le quali ha ritenuto di condividere le conclusioni dei periti. 5. Quanto alla dedotta sussistenza di un ragionevole dubbio sulla reale efficacia della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, è vero che secondo l'insegnamento di questa Corte la radicale riforma, in appello, di una sentenza di assoluzione non può essere basata su vantazioni semplicemente diverse dello stesso compendio probatorio, qualificate da pari o persino minore razionalità e plausibilità rispetto a quelle sviluppate dalla sentenza di primo grado, ma deve fondarsi su elementi dotati di effettiva e scardinante efficacia persuasiva, in grado di vanificare ogni ragionevole dubbio immanente nella delineatasi situazione di conflitto valutativo delle prove ciò in quanto il giudizio di condanna presuppone la certezza processuale della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza, bensì la semplice non certezza - e, dunque, anche il dubbio ragionevole - della colpevolezza. Ma nel caso di specie, il diverso esito del giudizio non è legato ad una diversa valutazione delle prove ma ai risultati della perizia disposta in rinnovazione dell'istruttoria dalla Corte territoriale, che ha totalmente sconfessato le argomentazioni del consulente tecnico della difesa poste a base della decisione di primo grado, risultando la sentenza corretta anche in relazione ai principi affermati in materia dalla CEDU Corte EDU 5/07/2011, Dan e. Moldavia, parr. 32 e 33 . 6. In ordine alla censura concernente l'omessa motivazione circa la sussistenza del nesso di causa tra le accertate negligenze ed imperizie e l'esito mortale, che presuppone un tipo di ragionamento controfattuale, dovendosi ricostruire in via ipotetica gli effetti di una condotta che non si è verificata, la sentenza impugnata si pone, tuttavia, in contrasto con i principi affermati da questa Corte nella sua giurisprudenza, sopra citata. Ripercorrendo le argomentazioni sviluppate dal primo giudice, che aveva escluso la prova del nesso di causalità affermando che dall'elettrocardiogramma non erano emerse anomalie significative, la Corte territoriale ha posto l'accento sull'opposto risultato emerso all'esito della perizia dibattimentale, secondo la quale i risultati dell'elettrocardiogramma non lasciavano margini di dubbio in merito all'esistenza di un infarto in atto. Ma l'accertamento istruttorio delle possibilità di un corretto intervento alternativo, suscettibile di fermare la parabola che ha condotto al decesso, collocato cronologicamente pag. 9 nell'intervallo di tempo intercorso tra la consulenza cardiologica effettuata dall'imputato e l'ulteriore valutazione sanitaria da lui espressa dopo la comunicazione degli esiti delle analisi relative all'emocromo ed ai valori degli enzimi, non risulta rispettoso dei principi sopra enunciati, essendosi la Corte limitata ad evidenziare le percentuali statistiche di guarigione e l'incidenza contraria determinata dalla condotta dell'imputato, tenuto ad effettuare la diagnosi corretta e ad adeguare la cura ai risultati di un costante monitoraggio, che è mancato, e che il medico avrebbe dovuto disporre. 6.1. I giudici di merito hanno dedotto automaticamente, dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale dal testo del provvedimento impugnato non risulta che sia stata verificata la validità dell'ipotesi accusatoria nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, né che sia stato esaminato in concreto quali sarebbero stati i comportamenti dovuti dall'imputato e quale incidenza aveva avuto la condotta colposa del T. - cui era seguito il trasferimento del paziente in un reparto non attrezzato per il costante monitoraggio del paziente - rispetto alle possibilità di salvezza del B. in rapporto alle caratteristiche proprie di tale paziente. 7. Quanto alla censura concernente l'omessa confutazione delle ipotesi formulate dai consulenti di parte circa l'idoneità della terapia prescritta e la reale possibilità di somministrazione di terapia trombolitica in soggetto diabetico, iperteso e accanito fumatore, la motivazione della sentenza impugnata risulta carente laddove, pur ritenendo che il giudizio controfattuale non potesse avere ad oggetto esclusivamente il mancato ricovero del B. nel reparto specialistico, ma anche ed in primo luogo l'errore diagnostico e la conseguente omissione della terapia di riperfusione, ha escluso pag.12 l'interferenza di quei fattori alternativi che la difesa aveva evidenziato ritenendo che, in presenza di un comportamento alternativo corretto, il paziente avrebbe avuto probabilità di sopravvivenza pari al 94-95% sulla base di meri dati statistici. 7.1. Sul punto, non va comunque dimenticato l'orientamento di questa Corte Sez.4, numero 39637 del 25/09/2000, dep. 22/11/2002, Amato, Rv. 222930 in punto di ingiustificabile errore diagnostico, laddove si è affermato che non esclude la rilevanza causale dell'errore diagnostico rispetto all'evento lesivo, successivamente verificatosi, il solo fatto che detto errore non sia stato, pur se colposamente, corretto da altri che pure ne avrebbero avuto la possibilità ed il dovere, non potendosi tale ultima condotta qualificare come fatto eccezionale sopravvenuto. Analogamente, il rapporto di causalità tra l'azione o l'omissione e l'evento può escludersi solo se si verifichi una causa autonoma e successiva, che si inserisca nel processo causale in modo eccezionale, atipico e imprevedibile, mentre non può essere escluso quando la causa successiva si sostanzi nell'omessa somministrazione di una terapia ritenuta, seppur corretta, inidonea a scongiurare l'evento perché incompleta, come emerso nella vicenda in esame. 7.2. Senza trascurare che, in difetto dell'evidenza di una causa sopravvenuta idonea ad interrompere il nesso causale, i giudici di merito non sono tenuti a verificare, in presenza di una causa estintiva del reato, eventuali corresponsabilità di terzi estranei al giudizio, posto che, secondo quanto affermato in materia da questa Corte, In tema di reato colposo, il giudice penale è tenuto ad accertare il grado della colpa dell'imputato ed eventualmente a determinarne la graduazione in relazione al concorso di colpa del terzo che sia rimasto estraneo al giudizio, al solo fine di assicurare la correlazione tra gravità del reato e determinazione della pena, ai sensi dell'articolo 133, comma 1, numero 3 cod.penumero , dovendosi escludere, in via generale, l'esistenza di un obbligo di quantificazione percentualistica dei diversi fattori causali dell'evento, a meno che il giudice non sia chiamato a pronunciare statuizioni civilistiche e ricorra il fatto colposo della parte civile, che diminuisce l'entità del risarcimento dovuto a norma degli articolo 1227 e 2056 cod. civ. ne deriva che detto obbligo di determinazione percentualistica non sussiste nell'ipotesi di apporti causali concorrenti di più imputati ovvero di imputati e terzi, in cui il credito risarcitorio della parte civile è assistito dal principio di solidarietà passiva ex articolo 2055 cod. civ. Sez. 4, numero 49346 del 27/10/2004, Di Vaira, Rv. 230580 Sez.4, numero 6547 del 24/05/1996, Poli, Rv. 205227 . 8. Il ricorso ha dunque evidenziato, considerando che il nucleo centrale dell'argomentazione della sentenza impugnata consiste nell'aver desunto, dalla possibilità per il sanitario di intervenire nell'arco delle sei ore con idonea terapia, il nesso di condizionamento tra l'evento mortale e l'erronea diagnosi, quali fossero gli elementi discordanti o contraddittori con tale nucleo centrale che la sentenza impugnata avrebbe dovuto prendere espressamente in esame. 8.1. In particolare a la presenza di più dati statistici emergenti dall'istruttoria imponeva ai giudici di merito di motivare la scelta di un dato piuttosto che di un altro quale punto di riferimento dal quale inferire il nesso di condizionamento, proprio per la necessità di ancorare il giudizio controfattuale, oltre che a criteri statistici, comunque non valutabili come leggi universali, a criteri di probabilità logica b il dato che, nel caso concreto, la crisi cardiaca fosse insorta alle ore 20 00 ed il decesso fosse avvenuto alle 00 59, rilevante per sussumere la fattispecie concreta nell'ipotesi astratta in cui il sanitario è in condizione di effettuare l'intervento alternativo corretto, doveva essere confrontata con l'argomentazione difensiva secondo la quale da esso si sarebbe dovuto inferire che non vi fosse un grado di certezza sufficiente ad affermare che il compimento dell'azione doverosa corretta avrebbe evitato l'evento c a fronte dell'affermazione dei periti circa l'idoneità della sola terapia trombolitica o angioplastica a scongiurare l'evento, i giudici di merito erano tenuti a fornire una specifica motivazione in merito all'idoneità della terapia prescritta dall'imputato ovvero alla reale possibilità di somministrazione alla vittima della terapia trombolitica. 9. Conclusivamente, la sentenza deve essere annullata per vizio di motivazione, con rinvio ai sensi dell'articolo 622 cod.proc.penumero al giudice civile competente affinché ripercorra l’iter motivazionale secondo la trama argomentativa sopra enunciata. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente in grado di appello per valore .