E’ necessario che il soggetto passivo compia un atto di disposizione patrimoniale di natura privatistica

Con una motivazione sintetica ma opportunamente modulata, la Corte di Cassazione ha escluso che possa sussistere il delitto di truffa allorché il danno lamentato consista nella mancata percezione delle somme previste a titolo di sanzione amministrativa.

Il caso. Nella specie era accaduto che l’imputato, con artifici e raggiri, aveva riempito successivamente rispetto al momento in cui questi dovevano essere compilati i formulari di identificazione dei rifiuti FIR al fine di evitare l’applicazione delle sanzioni correlative. Secondo l’accusa il tutto rientrava nella fattispecie di cui all’articolo 640 c.p., posto che vi era sicuramente un ingiusto profitto la volontà di evitare le sanzioni ed un danno a carico dell’Ente pubblico Provincia di Napoli a cui le sanzioni amministrative dovevano essere versate oltre che un tentativo di inganno a carico della PG intervenuta. Nel primo e secondo grado, l’accusato era stato riconosciuto colpevole. La Corte di cassazione, invece, visto il ricorso proposto dalla difesa, che tra l’altro aveva evidenziato come vi era stato proscioglimento dal reato di falso, ha ritenuto che la condanna doveva essere definitivamente annullata per insussistenza del fatto. La disposizione deve essere di natura patrimoniale. Dal punto di vista motivazionale, i ragionamenti espressi dall’Alta Corte si sono incentrati su due aspetti principali da un lato, infatti, si è evidenziato come sia necessario che vi sia una disposizione di natura patrimoniale e, dall’altro, che tale disposizione debba avere un effetto pregiudizievole diretto ed immediato nel patrimonio della persona offesa. Rispetto al primo profilo, nella più recente giurisprudenza si è osservato come «ai fini della configurabilità del delitto di truffa, l'atto di disposizione patrimoniale, quale elemento costitutivo implicito della fattispecie incriminatrice, consiste in un atto volontario, causativo di un ingiusto profitto altrui a proprio danno e determinato dall'errore indotto da una condotta artificiosa», con la conseguenza che «lo stesso non deve necessariamente qualificarsi in termini di atto negoziale, ovvero di atto giuridico in senso stretto, ma può essere integrato anche da un permesso o assenso, dalla mera tolleranza o da una “ traditio ”, da un atto materiale o da un fatto omissivo, dovendosi ritenere sufficiente la sua idoneità a produrre un danno» Cass. Penumero Sez. Unite sentenza numero 155/2011 . Come bene si è sottolineato nella citata sentenza delle Sezioni unite, «nella formulazione dell'articolo 640 c.p., la condotta tipica, consistente nella realizzazione di artifici o raggiri, introduce una serie causale che porta agli eventi di ingiusto profitto con altrui danno passando attraverso l'induzione in errore e che l'induzione in errore pur rappresentando il modo in cui si manifesta il nesso causale, non lo esaurisce» vedi punto 20.1 delle motivazioni Cass. Penumero Sez. Unite sentenza numero 155/2011 . È indubbio, infatti, che il passaggio dall'errore agli eventi consumativi deve essere contrassegnato da un elemento «implicito» costituito dal comportamento «collaborativo» della vittima che per effetto dell'induzione arricchisce l'artefice del raggiro e si procura da sé medesimo il danno. Collaborazione della vittima per effetto del suo errore. La collaborazione della vittima per effetto del suo errore, del resto, è l’elemento qualificante della fattispecie, non solo per potersi affermare che l’ingiusto profitto e il danno possano essere determinati dalla condotta fraudolenta dell'agente, ma anche per differenziare detto reato rispetto ai fatti di mera spoliazione e ai reati con collaborazione della vittima per effetto di coartazione dall'altro. Ma se ciò è, è altrettanto chiaro che l’atto di disposizione patrimoniale non può essere inteso «nell'accezione rigorosa del diritto civile», poiché «per l'integrazione della truffa occorre, e basta, un comportamento del soggetto ingannato che sia frutto dell'errore in cui è caduto per fatto dell'agente e dal quale derivi causalmente una modificazione patrimoniale, a ingiusto profitto del reo e a danno della vittima» vedi punto 20.2 delle motivazioni Cass. Penumero Sez. Unite sentenza numero 155/2011 . Chiarito il concetto di patrimonio? Se non che, e questo è il punto che la decisione in commento è stata chiamata a chiarire, si può affermare che il concetto di «patrimonio» sia esso stesso estensibile sino a ricomprendere elementi che esulano dal diritto civile e, fuor di metafora, che riguardino direttamente il diritto pubblico o, per meglio dire, l’esercizio di una funzione pubblica, solo perché da tale potere può derivare una «arricchimento» di questo o quel diverso soggetto? La PG non aveva alcun potere di rappresentanza del soggetto danneggiato. La risposta data è stata ed è negativa poiché per la sussistenza della truffa è necessario che vi sia identità tra soggetto raggirato e soggetto danneggiato, identità che può venir meno solo nel caso in cui «tra i due soggetti sussista un rapporto di rappresentanza legale o negoziale tale per cui il soggetto che subisce il comportamento dell’agente abbia la possibilità di incidere giuridicamente sul patrimonio del rappresentato nel senso che il rappresentante abbia il potere di compiere l’atto di disposizione destinato efficacemente a incidere sul patrimonio del danneggiato per effetto di una libera scelta negoziale» così nella motivazione della decisione de qua . In altri termini, è indispensabile non già che vi sia una qualunque e generico rapporto di interferenza tra soggetto raggirato e soggetto danneggiato ma solo «un rapporto qualificato per cui il rappresentante abbia il potere di compiere libere scelte plurime negoziali destinate a ricadere sul patrimonio del danneggiato». Da qui si comprende la decisione in commento, poiché il reato di truffa non era ipotizzabile, atteso che la PG non aveva alcun potere di rappresentanza del soggetto danneggiato la Provincia di Napoli , ma solo la funzione di accertare la violazione di norme amministrative. Conclusioni. La sentenza de qua è pienamente condivisibile, poiché ha avuto il pregio di ribadire, sulla scorta di un indirizzo giurisprudenziale sufficientemente consolidato, la necessità di ancorare la punibilità nei reati di truffa al principio di tassatività penale. È invero invalso nell’ultimo periodo un tentativo di sanzionare penalmente, ma in assenza di precise disposizioni di legge, ogni comportamento non collaborativo o comunque non pienamente confessorio nei confronti degli organi pubblici, chiamati ad accertare violazioni o ad esercitare pubblici poteri, per il tramite di una «rivisitazione» assai discutibile delle fattispecie criminali. Tali interpretazioni «creative», tuttavia, al di là di ogni giudizio sulla condivisione dei fini «ultimi», mirano a destabilizzare e comunque a ferire mortalmente il carattere di garanzia della legalità penale. Bene, dunque, ha fatto la Cassazione ad annullare una sentenza, che, seppur convalidata da una «doppia pronuncia conforme» di merito, aveva l’intrinseco vizio di non potersi adattare all’ordinamento non solo penale vigente. Dopo tutto, la legge è legge.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 22 maggio – 20 giugno 2013, numero 26839 Presidente Gentile – Relatore Rago Fatto 1. Con sentenza del 26/01/2012, la Corte di Appello di Napoli confermava la pronuncia resa dal Tribunale di Napoli in data 06/02/2009, con la quale M.V. era stato condannato per il reato di tentata truffa ex articolo 81, comma 2, 110, 61 numero 2, 56, 640, comma 2 numero 1 cod. penumero capo sub B “per avere compiuto, con artifizi consistiti nel riempire successivamente i formulari di identificazione c.d. FIR 1 e 4 copia e nell'esibire alla P.G. nel corso dei sopralluoghi della stessa le copie di FIR solo successivamente riempite nelle parti originariamente mancanti, atti idonei diretti in modo non equivoco a indurre in errore la P.G. operante e a procurare a sé un profitto ingiusto - consistente nell'evitare sanzioni amministrative e penali - con danno della Provincia di Napoli - consistente nella mancata percezione delle somme previste a titolo di sanzione amministrativa”. 2. Avverso la suddetta sentenza l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi 2.1. Erronea applicazione della legge penale per non avere la Corte territoriale valutato se la dichiarata insussistenza del reato di cui al capo sub A falso potesse incidere sulla configurabilità degli elementi materiali e psicologici della tentata truffa, atteso che la commissione del falso era strumentale alla realizzazione della truffa reato fine 2.2. Omessa motivazione per non avere la Corte di Appello accertato la sussistenza dell'elemento materiale e psicologico del reato di tentata truffa. Diritto Il ricorso deve ritenersi fondato sulla base delle considerazioni di seguito indicate. Il reato di truffa è un reato contro il patrimonio la cui ratio consiste nella tutela della libertà di determinazione negoziale che, per essere tale, dev'essere assunta in assenza di qualsiasi atto fraudolento. Il reato in questione, è caratterizzato, sotto il profilo dell'elemento materiale, dai seguenti elementi a gli artifizi o raggiri b l'incidenza sul patrimonio della vittima. Secondo, poi, il consolidato indirizzo di questa Corte, nel caso in cui il soggetto raggirato sia diverso dal soggetto danneggiato, ai fini della configurabilità del reato, è indispensabile che fra i due sussista un rapporto di rappresentanza legale o negoziale tale per cui il soggetto che subisce il comportamento dell'agente abbia la possibilità di incidere giuridicamente sul patrimonio del rappresentato nel senso che il rappresentante abbia il potere di compiere l'atto di disposizione destinato efficacemente a incidere sul patrimonio del danneggiato per effetto di una libera scelta negoziale in altri termini, l'induzione in errore ed il conseguente danno non possono derivare da qualsiasi generico rapporto di interferenza fra soggetto raggirato e soggetto danneggiato ma solo da un rapporto qualificato per cui il rappresentante abbia il potere di compiere libere scelte negoziali destinate a ricadere sul patrimonio del danneggiato ex plurimis Cass. 37409/2001, rv 220307. Infatti, per la configurabilità della truffa occorre che il soggetto passivo compia un atto di disposizione patrimoniale di natura privatistica. Sulla base di tale osservazione, questa Corte, ha tratto la conclusione che non è configurabile il reato di truffa, tutte le volte in cui la frode rectius gli artifizi o raggiri incida sulla determinazione di un organo che, esercitando un potere di natura pubblicistica, è tenuto ad accertare una violazione amministrativa, proprio perché manca l'elemento costitutivo del reato ossia l'atto di disposizione patrimoniale di natura privatistica ex plurimis Cass. 37409/2001, rv 220307 [fattispecie, come quella in esame, in tema di frode sia destinata a incidere sull'autorità amministrativa tenuta ad accertare una violazione amministrativa nell'ambito di un procedimento destinato alla verifica della sussistenza delle condizioni per l'emanazione dell'ordinanza-ingiunzione di cui all'articolo 18 della L. 24 novembre 1981, numero 689] - Cass. 21868/2002, Rv 221842 - Cass. 29929/2007, Rv 237699 [fattispecie in tema di ed truffa processuale] - Cass. 6022/2008, Rv 239506 [fattispecie in tema di decisione favorevole ottenuta con artifizi e aggiri in un procedimento arbitrale] Cass. 23941/2009 riv 245177 [fattispecie in tema di falsificazione materiale del contrassegno assicurativo] - Cass. 17472/2009 Rv. 244349 [dalla produzione di falsa documentazione a sostegno di un ricorso al prefetto avverso l'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa per violazione delle norme sulla circolazione stradale] Cass. 16630/2012 Rv. 252818. Applicando i suddetti principi al caso di specie, ne consegue allora che non è configurabile il reato di truffa perché, secondo l'ipotesi accusatoria contenuta nel capo d'imputazione e fatta propria da entrambi i giudici di merito, ad essere stata raggirata sarebbe stata la P.G. nell'ambito di un controllo il che non è ipotizzabile proprio perché la P.G. non aveva il potere di compiere alcun atto di disposizione destinato ad incidere sul patrimonio del danneggiato ossia la Provincia di Napoli per effetto di una libera scelta negoziale atteso che la medesima aveva solo la funzione di accertare la violazione delle sanzioni amministrative. Inoltre, essendo il soggetto danneggiato l’Amministrazione Provinciale diverso dal soggetto raggirato Polizia Giudiziaria , il reato non sarebbe comunque ipotizzabile non essendo configurabile alcun rapporto di rappresentanza legale o negoziale nel senso tecnico giuridico sopra illustrato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.