Ispezione legittima anche se sono superati i 60 giorni lavorativi

Le ispezioni fiscali da parte degli agenti durano in genere 30 giorni, più altri 30 in caso di particolari complessità l’ispezione fiscale può protrarsi anche alcuni mesi poiché devono essere conteggiati solo i giorni passati effettivamente in azienda.

La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza numero 11183 del 21 maggio 2014, ha affermato che è da considerarsi legittima l’ispezione in azienda per un periodo che supera i 60 giorni lavorativi i giudici di legittimità hanno respinto il ricorso di un contribuente che aveva avuto una ispezione in azienda, da parte della Guardia di Finanza, durata 2 mesi. Il caso. Al contribuente ricorrente veniva notificato un avviso di rettifica IVA per irregolare tenuta della contabilità, omessa fatturazione di operazioni imponibili e presentazione infedele della dichiarazione IVA. A seguito del parziale accoglimento del ricorso da parte della CTR, il contribuente ricorreva in Cassazione con una seria articolata di motivazioni. In particolare la ricorrente denuncia la violazione delle norme che regolano l’avvio e la durata del procedimento di accertamento, in quanto la verifica della Guardia di Finanza sarebbe durata più dei trenta giorni previsti dall’articolo 4, d.m. 28 dicembre 1994. Per i giudici di legittimità il motivo non è fondato. Per la Cassazione, la norma richiamata a fondamento della censura deve ritenersi superata dall’articolo 12, comma 5, Statuto del contribuente, il quale prevede una durata di giorni 30, prorogabili per altri trenta in casi di maggiore complessità al cui novero il giudice d’appello ha ascritto quello di specie, senza che sul punto nessuna adeguata censura sia articolata nel ricorso secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la norma «si riferisce ai soli giorni di effettiva attività lavorativa svolta presso tale sede, escludendo, quindi, dal computo quelli impiegati per verifiche ed attività eseguite in altri luoghi né, in materia, assumono alcuna rilevanza le disposizioni, peraltro di natura meramente amministrativa, assunte - come il D.M. Finanze 30 dicembre 1993 - per mere finalità di autorganizzazione e di coordinamento della capacità operativa dell’Amministrazione finanziaria da destinare all’azione accertatrice». Secondo il calcolo operato dai giudici del merito di secondo grado, le operazioni di verifica hanno impiegato complessivamente 56 giorni di effettiva presenza in azienda, entro i limiti, quindi, previsti dalla norma per le verifiche complesse. Durata della verifica fiscale differenziato in funzione del regime contabile del contribuente. Alla luce delle modifiche disposte dal legislatore al comma 5 , dell’articolo 12, Statuto del Contribuente, la disposizione statutaria è ora strutturata in modo tale per cui il periodo massimo di durata della verifica fiscale presso il contribuente è differenziato in funzione del regime contabile da questi adottato a per i soggetti in contabilità ordinaria sono previsti trenta giorni lavorativi, prorogabili, con atto motivato, di ulteriori trenta b per i soggetti in contabilità semplificata ed i lavoratori autonomi sono previsti quindici giorni, prorogabili di ulteriori quindici in caso di motivate esigenze d’indagine. In passato vi sono stati numerosi orientamenti contrapposti, soprattutto tra la dottrina, la giurisprudenza di merito e la prassi dell’Amministrazione finanziaria, ma la soluzione al problema può ritenersi definitivamente raggiunta con le modifiche introdotte dal d.l. numero 70/2011, atteso che l’ultimo periodo del summenzionato articolo 7, comma 2, lett. c , prevede espressamente che, ai fini del controllo della durata della verifica fiscale, occorre avere riguardo esclusivamente ai giorni di effettiva permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente ispezionato. I giudici di legittimità , infine, nel ricordare che la Procura competente al rilascio dell’autorizzazione per l’acceso in sede è quella del domicilio fiscale che coincide con quello indicato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi, respingono il ricorso condannando il contribuente ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 17 aprile – 21 maggio 2014, numero 11183 Presidente Adamo – Relatore Botta Svolgimento del processo La controversia origina dall’impugnazione con separati ricorsi da parte della contribuente, titolare della ditta Istituto Dott. P.B. degli avvisi di rettifica IVA per gli anni 1996 e 1997, con i quali l’Ufficio rettificava la dichiarazione annuale IVA per irregolare tenuta della contabilità ex articolo 39 d.P.R. numero 633 del 1972, omessa fatturazione di operazioni imponibili ex articolo 21 d.P.R. numero 633 del 1972 ed ex articolo 41, comma 6, d.P.R. numero 633 del 1972 quest’ultima solo per l’anno 1997 , presentazione di infedele dichiarazione ex articolo 28 d.P.R. numero 633 del 1972. La ricorrente denunciava il difetto di competenza territoriale dell’Ufficio di Venezia 2, la nullità degli avvisi per diverse cause, l’infondatezza della pretesa tributaria. La Commissione adita riuniti i risorsi li accoglieva parzialmente. L’appello della contribuente era rigettato, con la sentenza in epigrafe, avverso la quale la contribuente propone ricorso per cassazione con sei motivi. Resiste l'amministrazione con controricorso. La causa veniva chiamata all’udienza del 28 giugno 2011. A seguito dell’entrata in vigore del d.l. numero 98 del 2011 il Collegio si riconvocava per il 22 settembre 2011 e disponeva la sospensione del giudizio in attesa dell’eventuale adesione della contribuente al condono disposto dalla legge. In data 20 giugno 2013, l’Avvocatura Generale dello Stato depositava in atti istanza con la quale chiedeva che fosse dichiarata l’estinzione del giudizio in ragione della domanda di definizione agevolata della lite presentata dalla contribuente ai sensi dell’articolo 39, d.l. numero 98 del 2011. Dall’attestazione di regolarità della domanda di condono, allegata all’istanza, emergeva, tuttavia, che tale domanda concerneva l’accertamento per l’anno 1996, ma non quello per l’anno 1997 non essendo pervenuti ulteriori chiarimenti, la causa è stata rimessa sul ruolo, non potendo essere disposta l’estinzione del giudizio per incompletezza della domanda di definizione agevolata, ma dovendo essere decisa la controversia con riferimento all’accertamento per il 1997. Motivazione Con il primo motivo, la ricorrente denuncia omessa e insufficiente motivazione della sentenza impugnata in ordine al motivo d’appello con il quale era stata eccepita la carenza di motivazione della sentenza di prime cure. Il motivo non è fondato, in quanto il giudice d’appello riporta analiticamente i passaggi argomentativi della sentenza del primo giudice, dando conto compiutamente nell’unità complessiva della decisione delle ragioni per le quali ha ritenuto l’adeguatezza della motivazione della sentenza di primo grado. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione delle norme che regolano l’avvio e la durata del procedimento di accertamento, in quanto la verifica della Guardia di Finanza sarebbe durata più dei trenta giorni previsti dall’articolo 4 del d.m. 28 dicembre 1994. Il motivo non è fondato. Intanto la norma richiamata a fondamento della censura deve ritenersi superata dall’articolo 12, comma 5, dello Statuto del contribuente, il quale prevede una durata di giorni trenta, prorogabili per altri trenta in casi di maggiore complessità al cui novero il giudice d’appello ha ascritto quello di specie, senza che sul punto nessuna adeguata censura sia articolata nel ricorso secondo l’orientamento di questa Corte, la norma «si riferisce ai soli giorni di effettiva attività lavorativa svolta presso tale sede, escludendo, quindi, dal computo quelli impiegati per verifiche ed attività eseguite in altri luoghi né, in materia, assumono alcuna rilevanza le disposizioni, peraltro di natura meramente amministrativa, assunte come il d.m. Finanze 30 dicembre 1993 - per mere finalità di autorganizzazione e di coordinamento della capacità operativa dell’Amministrazione finanziaria da destinare all’azione accertatrice» Cass. numero 23595 del 2011 . Secondo il calcolo operato dal giudice d’appello, sul punto non adeguatamente censurato, le operazioni di verifica hanno impiegato complessivamente 56 giorni di effettiva presenza in azienda, entro i limiti, quindi, previsti dalla norma per le verifiche complesse. Con il terzo motivo, la ricorrente insiste sul difetto di competenza territoriale dell’Ufficio di Venezia, alla luce di quanto disposto dall’articolo 31, comma 2, d.P.R. numero 600 del 1973 che prevede la competenza dell’Ufficio nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione, domicilio che nel caso di specie sarebbe stato fissato nel Comune di Roma a partire dal 10 aprile 1997. Il motivo non è fondato. Questa Corte, in relazione alla disposizione di cui all’articolo 31, d.P.R. numero 600 del 1973, ha affermato che la competenza territoriale è determinata «con riferimento al domicilio fiscale indicato dal contribuente, la cui variazione, comunicata nella dichiarazione annuale dei redditi, costituisce pertanto atto idoneo a rendere noto all'Amministrazione il nuovo domicilio non solo ai fini delle notificazioni, ma anche ai fini della legittimazione a procedere» Cass. nnumero 5358 del 2006 e 11170 del 2013 . Nel caso di specie, non soltanto, come ha correttamente fatto rilevare senza che la contribuente l’abbia smentito , la dichiarazione fiscale è stata presentata all’Ufficio di Venezia che avrebbe, quindi, ai sensi dell’articolo 51, comma 1, d.P.R. numero 633 del 1972 il potere di procederne al controllo , ma non è indicato nel ricorso se, quando e come la contribuente abbia comunicato la variazione di domicilio fiscale e soprattutto se tale variazione era stata indicata nella dichiarazione presentata all’Ufficio di Venezia, tenuto anche conto del fatto che lo «ius variandi deve essere esercitato in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario» Cass. numero 11170 del 2013 . Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia l’incompetenza territoriale della Procura della Repubblica di Venezia in relazione all’autorizzazione all’accesso. Il motivo è infondato. Correttamente il giudice d’appello afferma che la competenza territoriale del Procuratore della Repubblica di Venezia «deriva dalla dislocazione della sede legale» della contribuente «in Mestre, via X» circostanza non smentita . Questa Corte ha, peraltro, chiarito che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica «ha natura amministrativa e può essere rilasciata, a prescindere dalle regole di competenza fissate dal codice di procedura penale, dal dirigente dell’Ufficio di Procura nel cui ambito territoriale si trova la sede dell’azienda da sottoporre a verifica» Cass. numero 17002 del 2012 . L’eccezione relativa alla supposta mancanza dell’autorizzazione del capo dell’Ufficio è inammissibile in quanto non autosufficiente e sollevata per la prima volta in sede di legittimità. Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia la ritenuta infondatezza della doglianza che essa aveva avanzato circa l’abuso ed eccesso di potere da parte degli accertatori, per gli accessi che essi avrebbero effettuato anche in locali ’’privati per i quali sarebbe stata necessaria una specifica autorizzazione da parte del Procuratore della Repubblica. La censura è inammissibile, sia in quanto diretta all’atto impositivo e non alla sentenza qui impugnata, sia perché irrispettosa del principio di cui all’articolo 366 cod. proc. civ. non trascrivendo nel ricorso quale fosse il contenuto e gli eventuali limiti dell’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica e ciò sarebbe stato tanto più necessario, tenuto conto del fatto che la sentenza impugnata enuncia un accertamento di fatto, non valutabile in questa sede di legittimità se non adeguatamente censurato, circa la legittimità dell’accesso «anche nei luoghi adibiti ad abitazione privata» in ragione della «autorizzazione che risulta dalla nota del Procuratore della Repubblica di Venezia numero 19/98 Finumero prot. 29.04.1998». Con il sesto motivo, la ricorrente denuncia la violazione dei requisiti richiesti dalla legge nel procedere all’indagine bancaria compiuta in relazione a conti correnti di soggetti da ritenersi terzi rispetto alla contribuente. La censura è inammissibile in quanto diretta all’atto impositivo con l’evidente scopo di ottenere una revisione del giudizio di merito in sede di legittimità, mentre rispetto alla sentenza impugnata non è articolata sul punto alcuna circostanziata critica, peraltro si può in proposito ricordare l’orientamento già espresso da questa Corte circa il fatto che «l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perché in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto invece stabilito per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, ma anche perché la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo». Cass. numero 14026 del 2012 . Inoltre, questa Corte ha ritenuto che «in tema di poteri di accertamento degli uffici finanziari devono ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica, ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente — in quanto sia l’articolo 32, numero 7, del d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600, riguardo alle imposte sui redditi, che l’articolo 51 del d.P.R. 26 ottobre 1972, numero 633, riguardo all’IVA — autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti» Cass. numero 18083 del 2010 . Pertanto, deve essere dichiarata l’estinzione del processo con riferimento all’annualità 1996, stante la definizione per condono del relativo accertamento, mentre deve essere rigettato il ricorso con riferimento all’atto impositivo relativo all’annualità 1997. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Dichiara estinto il processo con riferimento all’accertamento relativo all’annualità 1996, compensando le spese. Rigetta il ricorso con riferimento all’accertamento relativo all’annualità 1997, condannando la parte ricorrente alle spese della presente fase del processo, che liquida in complessivi € 1.935,00 oltre spese prenotate a debito.