L’impugnazione avverso una sanzione disciplinare conservativa, attuata mediante deposito in cancelleria del ricorso giudiziale entro due anni dalla data di comunicazione della sanzione, deve ritenersi tempestiva, anche se l’udienza di discussione è stata fissata oltre tale termine biennale. Ciò in quanto la fissazione della data di udienza non è nella disponibilità del lavoratore ricorrente.
Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza numero 10668 del 15 maggio 2014. La vicenda impugnazione di sanzione disciplinare conservativa promossa con ricorso giudiziale depositato entro i due anni dalla comunicazione del provvedimento. Ad un dipendente di Poste Italiane veniva irrogata sanzione disciplinare di quattro giorni di sospensione. Il lavoratore agiva in giudizio avanti il Tribunale del Lavoro, al fine di impugnare la sanzione. Il primo Giudice accoglieva l’impugnazione, dichiarando l’illegittimità della sanzione. Proponeva appello il datore di lavoro, ma la Corte territoriale respingeva il gravame. Ricorreva così in Cassazione Poste Italiane per la riforma della sentenza di secondo grado. Il deposito del ricorso interrompe la maturazione del biennio Un primo motivo di censura riguarda la tempestività o meno della impugnazione. Secondo la ricorrente, l’impugnazione proposta non avrebbe più ragione, in quanto l’udienza di discussione del giudizio si tenne oltre lo spirare del biennio previsto dall’ultimo comma dell’articolo 7, l. numero 300/1970. Non sarebbe, infatti, sufficiente, secondo Poste Italiane, il deposito del ricorso entro lo spirare di detto termine biennale. La Suprema Corte ritiene infondato il motivo, confermando peraltro quanto già motivato dai Giudici di merito. Non può, infatti, ritenersi scaduto il periodo biennale ove il lavoratore abbia depositato entro tale termine il ricorso giudiziale, non entrando nella propria disponibilità la fissazione della data di udienza. E, di conseguenza, permanendo nel lavoratore l’interesse a coltivare l’impugnazione proposta. e la prescrizione presuntiva non opera riguardo alle somme da restituire. Altro motivo proposto riguarda lo spirare del termine di prescrizione presuntiva previsto dall’articolo 2955, numero 2, c.c. Osserva la ricorrente che il credito del lavoratore di ripetizione delle somme trattenute in conseguenza della sanzione annullata sarebbe ormai prescritto, in quanto retribuzione per periodo non superiore al mese. Anche tale tesi viene ritenuta infondata dalla Suprema Corte. La prescrizione presuntiva invocata non può essere riferita a tutti i crediti del lavoratore, ma unicamente a quelli di natura retributiva. Nello specifico il credito deriva da ripetizione di somme trattenuta in conseguenza di sanzione successivamente dichiarata illegittima dunque ripetizione di indebito. Credito la cui natura esula da quanto contemplato dall’articolo 2955, numero 2, c.c. L’accertamento delle modalità di comunicazione della contestazione è giudizio di fatto. Ultimo motivo di ricorso riguarda le modalità di comunicazione della contestazione d’addebito, eccependo che il lavoratore si sottrasse all’epoca alla consegna del documento. Osserva in proposito la Corte di legittimità che il punto venne esaminato in sede di giudizio di merito e fatto oggetto di prove testimoniali, valutate dalla Corte territoriale, la quale aveva argomentato in merito con correttezza e logicità dunque esente da vizi logici censurabili in sede di legittimità. In conclusione, il ricorso proposto da Poste Italiane è stato considerato totalmente infondato e così rigettato.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 marzo – 15 maggio 2014, numero 10668 Presidente Roselli – Relatore Maisano Svolgimento del processo Con sentenza del 12 aprile 2007 la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 5 agosto 2004 che ha dichiarato l'illegittimità della sanzione disciplinare di quattro giorni di sospensione inflitta da Poste Italiane s.p.a. al proprio dipendente P.G. con lettera del 16 giugno 2001. La Corte territoriale, per quanto rileva in questa sede, ha motivato tale pronuncia considerando che tra la data di comunicazione della sanzione e la sua impugnazione non era trascorso il biennio di cui all'articolo 7 della legge 300 del 1970 inoltre, rispetto alla restituzione della retribuzione trattenuta in forza della sanzione dichiarata illegittima, non è applicabile il termine di prescrizione presuntiva annuale prevista dall'articolo 2955 cod. civ. per le retribuzioni relative a periodo non superiore a un mese, trattandosi, nella fattispecie, di ripetizione di indebito infine la stessa Corte territoriale ha considerato che la contestazione dell'addebito non era stata consegnata materialmente al dipendente che si era sottratto alla consegna stessa. Poste Italiane propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a tre motivi. Resiste il P. con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 100 e 115 cod. proc. civ. nonché dell'articolo 7 della legge numero 300 del 1970 ex articolo 360, numero 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce che per la maturazione del biennio di cui all'articolo 7 della legge 300 del 1970 occorrerebbe considerare anche i tempi di fissazione dell'udienza di discussione, per cui non sarebbe sufficiente il deposito del ricorso entro il biennio dalla comunicazione della sanzione impugnata al fine della maturazione del termine biennale in questione. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 100 cod. proc. civ., nonché degli articolo 2033 e 2955, primo comma, punto due, cod. civ., ex articolo 360, numero 3 cod. proc. civ. In particolare si assume che nella fattispecie in esame andrebbe applicata la prescrizione annuale di cui all'articolo 2955, primo comma, punto due, cod. civ. in quanto la somma oggetto della domanda si riferisce a soli quattro giorni di retribuzione. Con il terzo motivo si lamenta omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex articolo 360, numero 5 cod. proc. civ., e violazione e falsa applicazione degli articolo 1335, 1175, 1375 e 2104 cod. civ., nonché dell'articolo 7 della legge numero 300 del 1970 In particolare si deduce che dai fatti come riferiti dalle sentenze relative ai giudizi di merito è emerso che è stata tentata la consegna o la lettura della comunicazione relativa ai fatti contestati al lavoratore che si è sottratto alla consegna. Inoltre la sentenza impugnata difetterebbe di motivazione in quanto, dopo avere richiamato i fatti accertati nel giudizio di primo grado, non ne indicherebbe le conseguenze giuridiche. Il primo motivo è infondato. Il biennio oltre il quale le sanzioni disciplinari perdono di efficacia ex articolo 7, ottavo comma della legge 300 del 1970, non può ritenersi scaduto se il lavoratore ha impugnato entro tale biennio la sanzione con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio inteso ad ottenere la declaratoria dell'illegittimità della sanzione oltre il termine entro il quale il lavoratore ha la disponibilità dell'impugnazione del provvedimento stesso, non entrando nella disponibilità del lavoratore l'eventuale fissazione dell'udienza di discussione oltre tale termine biennale. Pertanto permane l'interesse ad agire del lavoratore ad impugnare la sanzione anche se l'udienza di discussione nel giudizio di impugnazione della sanzione, venga fissata oltre il biennio dell'irrogazione della sanzione. Anche il secondo motivo è infondato. Il termine annuale di prescrizione presuntiva previsto dall'articolo 2955, primo comma, punto 2 cod. civ. per i crediti dei prestatori di lavoro per periodi non superiori ad un mese, non è applicabile estensivamente a tutti i crediti dei lavoratori, ma solo a quelli riferiti al corrispettivo della prestazione lavorativa pagato per periodi non superiori ad un mese, con esclusione, quindi, ad altri crediti del lavoratore non inerenti la prestazione, quale quello relativo alla ripetizione di una sanzione pecuniaria inefficace. Parimente infondato è il terzo motivo. Va infatti rilevato che, da un lato, la ricorrente non indica le circostanze pose a fondamento delle proprie affermazioni riguardanti la comunicazioni dell'addebito disciplinare al dipendente in questione, per cui il motivo risulterebbe inammissibile per il difetto dell'autosufficienza, ma comunque le modalità di comunicazione della contestazione considerate dalla Corte territoriale sulla base delle prove acquisite costituiscono comunque accertamenti di fatto riservati al giudice del merito e la valutazione degli elementi in base ai quali è stato operato tale accertamento, non è rivisitabile in sede di legittimità se congruamente motivata come nel caso in esame. Le spese di giudizio, liquidate così come in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno distratte in favore dell'avv. Dino Lucchetti dichiaratosi antistatario. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi oltre ad Euro 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.