Ingiurie provocate: esimente a maglie larghe

L’esimente della provocazione è applicabile non già ai soli casi in cui la reazione offensiva sia orientata contro il provocatore ma anche ove le ingiurie abbiano quale destinatario diretto un terzo legato al provocatore da rapporti tali da giustificare lo stato d’ira e la reazione offensiva.

Lo ha stabilito la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza numero 12179, depositata il 13 febbraio 2014. Telefonate a ripetizione scattano le ingiurie. Il caso di specie trae origine da una lite telefonica consumata a più riprese - ben otto telefonate in pochi minuti – tra fratello e sorella che, da anni, non si parlavano. La ripresa dei contatti è scaturita dalla recente morte della madre, evento che, lungi dal ripianare i rapporti, ha alimentato le cause di litigio, piegandole sul piano economico, ed in specie sotto il profilo della divisione del patrimonio ereditario. Emblematiche le circostanze fattuali della vicenda data la ritrosia del fratello a sentire le ragioni della sorella, quest’ultima al fine di mantenere viva la conversazione ha chiesto al marito di telefonare per lei, spacciandosi per un amico. Tanto ha fatto scatenare l’ira del fratello che, a quel punto, non si è più trattenuto dal ricoprire di ingiurie il cognato e la sorella. Esimente dimidiata. Il procedimento penale instaurato a carico dell’offensore si è concluso, in primo grado, con una condanna per il reato di ingiuria, ai sensi dell’articolo 594, c.p Giova precisare come la responsabilità dell’imputato sia stata confermata solo con riferimento alle offese pronunciate contro la sorella, e non già contro il marito. Le affermazioni lesive dell’onore di quest’ultimo, invero, sono state ritenute coperte dall’esimente della provocazione, ex articolo 599, c.p. per via della – così definita – “trappola” tesa dal medesimo all’imputato, con l’escamotage della “finta chiamata”. L’approdo interpretativo offerto dal Giudice di Pace è stato, peraltro, confermato dall’adito Tribunale. Anche per il giudice d’appello, infatti, parevano acclarati tanto il contenuto ingiurioso delle affermazioni rese dell’imputato quanto l’impossibilità di estendere – come pure richiesto dalla difesa – l’esimente della provocazione alle ingiurie perpetrate in danno della sorella. La rilevanza del “terzo offeso”. La questione è stata portata all’attenzione dei giudici della Suprema Corte di Cassazione, cui è stata evidenziata l’erroneità della decisione resa dal Tribunale, nella parte in cui – a dir del ricorrente – mal si sarebbe applicata l’esimente richiamata, disconoscendo il suo vero ambito applicativo per come ricostruito dalla giurisprudenza nel corso degli ultimi anni. Sul punto si è rimarcato come detta causa di non punibilità debba assumersi esistente anche nel caso in cui l’agente abbia risposto alla provocazione scagliandosi contro persona diversa dal suo provocatore tanto più se - come nel caso di specie - la destinataria delle ingiurie era rimasta vicina al provocatore e - altra delle numerose telefonate - alla figlia, quale ennesima interlocutrice dell’imputato , da un lato contribuendo alla provocazione, dall’atro riuscendo a percepire l’esternazioni negative nei suoi confronti. Elementi costitutivi e perimetro applicativo dell’esimente. Ebbene, i giudici di legittimità, nel pronunciarsi sulla intricata vicenda processuale, hanno fatto il punto sulla struttura dell’esimente, al contempo precisandone l’esatto perimetro applicativo con riferimento al caso in cui tra agente e provocatore venga ad insidiarsi un terzo soggetto destinatario della condotta offensiva. Quanto agli elementi costitutivi, la Corte ha, in primo luogo, riecheggiato quello dell’immediatezza della risposta ingiuriosa alla condotta provocatrice “immediatezza” – hanno spiegato i giudici romani – da leggere in senso relativo, e cioè avendo riguardo alla situazione concreta nonché alle modalità stesse della reazione, in modo tale da non esigere una contemporaneità in contrasto alla ratio della previsione alla contestualità della reazione è legato a filo doppio il requisito dello stato d’ira che – giusto quanto affermato poc’anzi – deve persistere in seguito alla provocazione e fino alla reazione, in un intervallo temporale senza soluzione di continuità ancora, è richiesta la sussistenza di un collegamento causale tra fatto provocante e fatto provocato che possa assumersi “determinante”, e non meramente occasionale della reazione offensiva da ultimo, l’assoluta irrilevanza della proporzione tra azione e reazione siffatto giudizio ponderale – noto alle scriminanti di parte generale, quali la legittima difesa e lo stato di necessità – non è, infatti, richiesto ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità in esame, donde la sufficienza della materialità e dell’offensività delle azioni a prescindere dal rispettivo quantum lesivo dell’altrui onorabilità. Impunità a maglie larghe. Sul crinale di tali considerazioni, ed in adesione alla tesi secondo cui la reazione alla provocazione è coperta dall’esimente di cui all’articolo 599, c.p. anche laddove si scagli contro un terzo diverso dal provocatore , la Corte ha accolto il ricorso, per l’effetto annullando - senza rinvio - la sentenza pronunciata dal Tribunale sul presupposto della non punibilità, nella sua interezza, della condotta di reato contestata all’imputato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 giugno 2013 – 13 marzo 2014, numero 12179 Presidente Zecca – Relatore Micheli Ritenuto in fatto P.A. , unitamente al proprio difensore, ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa nei suoi confronti il 21/07/2010 dal Giudice di pace di Milano il prevenuto era stato inizialmente accusato di avere offeso l'onore della sorella M.L. , nonché del di lei marito Q.G. , ma ne era derivata condanna solo con riguardo alla presunta ingiuria commessa in pregiudizio della donna, con il riconoscimento invece della provocazione quanto ai fatti ulteriori. L'episodio che aveva determinato l'iscrizione del procedimento penale risaliva al 23/04/2008 dopo alcuni mesi dalla morte della madre dell'imputato e della persona offesa, P.M.L. aveva contattato telefonicamente il fratello, con il quale da tempo non aveva più rapporti, volendo chiedergli conto del perché non fosse stata comunque informata di quel decesso, e ne era scaturito un diverbio piuttosto acceso. Caratteristica peculiare della vicenda, che aveva indotto il Giudice di pace ad escludere la rilevanza penale della condotta in danno del Q. , era stata quella di un escamotage utilizzato dai due coniugi - definito una sorta di trappola per l'imputato dallo stesso giudice di prime cure - per indurre il P. a non farsi negare al telefono il primo chiamante si era infatti presentato, alla moglie del P. che aveva risposto all'apparecchio, come un certo G. , amico dell'imputato, sì da riuscire a farselo passare. Le ingiurie proferite dall'odierno ricorrente all'indirizzo della sorella erano state poi pronunciate dall'uomo mentre si rivolgeva alla nipote Q.L.G. , sempre via telefono ad avviso dei giudici di merito, doveva rilevarsi in tal caso non ravvisabile l'anzidetta scriminante ex articolo 599 cod. penumero , data la diversità soggettiva tra il percettore della contumelia ed il presunto provocatore. Inoltre, era comunque evidente che l'imputato fosse consapevole della perdurante presenza della sorella accanto alla figlia durante quella conversazione, perciò in grado di ascoltare le parole di entrambi, ed in ogni caso il contesto animato del colloquio imponeva di ritenere che egli mirasse proprio a far sì che Q.L.G. riferisse nell'immediatezza alla madre quel che lo zio le aveva detto. Con l'odierno ricorso, si lamenta - violazione degli articolo 125 e 546 cod. proc. penumero , nonché carenza di motivazione in punto di mancata pronuncia assolutoria ai sensi dell'articolo 599, comma primo, cod. penumero Secondo la ricostruzione del ricorrente, vi erano state tre telefonate nel giro di pochi minuti otto, per la precisione , con il P. a sfuggire il confronto con la sorella e il cognato, e costoro a volergli tendere una trappola , come riconosciuto dallo stesso giudice di primo grado peraltro, era evidente che la persona offesa fosse animata da rivendicazioni di natura economica, tanto da aver detto al fratello che gli avrebbe mandato i Carabinieri sotto casa, che gli faceva schifo ed altre gravi offese, da considerare pertanto quanto meno reciproche. Sul punto, il Tribunale avrebbe ignorato il contenuto delle testimonianze favorevoli alla difesa, in particolare quella della moglie del P. che aveva risposto al telefono, senza evidenziare perché costei dovesse ritenersi immeritevole di fede. - inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 599, comma secondo, cod. penumero Dall'istruttoria dibattimentale doveva intendersi emersa la prova che il P. avesse reagito ad un fatto ingiusto altrui le telefonate ripetute avrebbero potuto financo intendersi rilevanti ex articolo 660 cod. penumero occorso immediatamente prima ed in un contesto unitario rispetto alla sua reazione. Per pacifica giurisprudenza, inoltre, “nei reati contro l'onore l'esimente della provocazione è applicabile anche nel caso in cui la reazione dell'agente sia stata diretta contro persona diversa dal provocatore, quando quest'ultimo sia legato all'offeso da rapporti tali da giustificare, alla stregua delle comuni regole di esperienza, lo stato d'ira e quindi la reazione offensiva” la difesa richiama la sentenza di questa stessa Sezione, numero 41393 del 26/09/2008, ric. Vezil . Vi sarebbe perciò contraddittorietà nel ritenere operante l'anzidetta esimente solo con riguardo al Q. , visto che “il fatto incriminato avviene comunque in costanza della medesima occasione storica, di un medesimo contesto temporale, di uno stesso contesto soggettivo, oggettivo e teleologia dei partecipanti all'azione, ed infine, quindi, per le medesime cause rectius insistenze da parte della persona offesa e dei congiunti di essa che hanno dato luogo appunto alla reazione”. Reazione che era stata subitanea, e non invece meditata come erroneamente ritenuto dal Tribunale e dal Giudice di pace dopo la prima telefonata in cui la risposta del P. era stata carpita con l'inganno, ve ne era stata una seconda della parte offesa che aveva ripetutamente ingiuriato l'imputato, e quindi una terza, più lunga, sempre su iniziativa della P. e nel corso della quale la di lei figlia era subentrata alla cornetta. Emergerebbe pertanto la conferma di una provocazione ripetuta, che l'imputato aveva ingiustamente subito e che aveva financo cercato di evitare sicché l'esimente in parola avrebbe dovuto essere riconosciuta in suo favore, quanto meno sul piano putativo. Non era neppure vero quanto segnalato dal Tribunale, secondo cui le controversie economiche delle parti fossero già state definite al momento di quella telefonata in atti vi sarebbero missive del legale della persona offesa attestanti istanze assai incisive della donna in ordine alla divisione ereditaria, con tanto di precisazione dell'imminente scadenza del termine di tre mesi per la presentazione della querela in ordine ai fatti del 23/04/2008. - omessa motivazione sulle ragioni di gravame avverso i capi civili della sentenza di primo grado. Il ricorrente deduce di avere formulato, in uno con l'atto di appello, specifiche doglianze nei riguardi delle determinazioni adottate dal Giudice di pace in punto di questioni civilistiche, sia a proposito dell'entità della provvisionale riconosciuta che del quantum liquidato alla controparte a titolo di spese su tali censure, il Tribunale non si sarebbe pronunciato in alcun modo, pur mostrando di riconoscerne la fondatezza non foss'altro per essere intervenuta condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, nel giudizio di secondo grado, in misura sensibilmente inferiore rispetto all'omologa statuizione del giudice di prime cure. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. Appare assodato che le telefonate furono ricevute dall'imputato, e sono gli stessi giudici di merito a parlare di trappola ordita dalla sorella e dal cognato del P. che verosimilmente sapevano di non essere interlocutori a lui graditi per riuscire a confrontarsi con il ricorrente. Sul contenuto delle frasi che i chiamanti pronunciarono all'indirizzo dell'imputato, nulla di certo è dato sapere, ma è parimenti pacifico che secondo il Giudice di pace - come pure ad avviso del Tribunale, avendo richiamato le argomentazioni di cui alla sentenza di primo grado - almeno la condotta del Q. fu provocatoria si tratta però di un assunto che lascia sostanzialmente priva di spiegazione, e di certo contraddittoria, la circostanza che secondo i medesimi giudici di merito non avrebbe avuto identica valenza l'atteggiamento della sorella del P. , con il risultato di dover considerare scriminate le frasi offensive usate da costui all'indirizzo del cognato, ma non quelle contestuali, ed espressive di una identica volontà denigratoria di cui era destinatala la donna. Un elemento più volte sottolineato da parte del Tribunale di Milano per escludere - nei limiti anzidetti - l'operatività della esimente di cui all'articolo 599 cod. penumero riguarda la circostanza che le frasi ingiuriose sarebbero state rivolte dal P. non già alla sorella, presunta autrice del fatto ingiusto a monte, bensì alla nipote ma l'argomentazione non appare corretta, atteso che in materia di delitti contro l'onore, l'esimente de qua è applicabile anche nel caso in cui la reazione dell'agente sia diretta nei confronti di persona diversa dal provocatore v. Cass., Sez. V, nnumero 43087 del 24/10/2007, Militello, e 12308 del 28/11/2012, Fusaro . Del resto, non sembra contestato che Q.L.G. subentrò in una conversazione al telefono tra lo zio e la madre, con quest'ultima che rimase con ogni verosimiglianza in sua immediata prossimità ed appare ulteriormente contraddittorio, da parte del Tribunale, enfatizzare la circostanza che P.M.L. fu certamente in grado di percepire le parole del fratello, con lo stesso imputato a scandirle alla nipote affinché quanto meno costei le riferisse alla parte civile, al contempo escludendo l'applicabilità della scriminante sul presupposto che il ricorrente si rivolse ad un soggetto non coincidente con chi lo aveva provocato. A questo punto, muovendo dal dato processualmente certo di una provocazione subita dal P. , che si trovò a ricevere tre telefonate consecutive e già dall'esito della prima doveva intendersi evidente che egli non ne avrebbe gradite altre , appare palese che l'imputato pose in atto una reazione avente il carattere dell'immediatezza richiesto dal citato articolo 599 del resto, “ai fini dell'integrazione dell'esimente della provocazione, l'immediatezza della reazione deve essere intesa in senso relativo, avuto riguardo alla situazione concreta e alle stesse modalità di reazione in modo da non esigere una contemporaneità che finirebbe per limitare la sfera di applicazione dell'esimente in questione e di frustarne la ratio [ ] ne deriva che per l'integrazione della provocazione è sufficiente che l'azione reattiva sia condotta a termine persistendo l'accecamento dello stato d'ira provocato dal fatto ingiusto altrui e che tra l'insorgere della reazione e tale fatto sussista una reale contiguità temporale, senza che occorra che la reazione si esaurisca in una reazione istantanea” Cass., Sez. V, numero 8097 dell'I 1/01/2007, Franciosi, Rv 236541 . Né può intendersi necessario analizzare il contenuto delle espressioni dell'uno o dell'altro antagonista e calibrarne l'eventuale differenza ponderale sul piano del quantum della lesione alle rispettive onorabilità, atteso che “in tema di ingiuria, ai fini della integrazione della causa di non punibilità della provocazione, non è richiesta la proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto altrui, essendo sufficiente che sussista un nesso di causalità determinante tra fatto provocante e fatto provocato e non un legame di mera occasionante” Cass., Sez. V, numero 43173 del 04/10/2012, Di Tommaso, Rv 253787 v. anche Cass., Sez. V, numero 39508 dell'11/05/2012, Grassi, Rv 253732 . Si impongono pertanto le determinazioni di cui al dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la impugnata sentenza, perché il fatto addebitato non è punibile.