Matrimonio canonico nullo per mancanza di giudizio, ma matrimonio civile valido perché l’incapacità non era manifesta

Il rigetto della delibazione si è fondato sull’assenza della prova della conoscenza ovvero della conoscibilità da parte della moglie del vizio di discrezione del consenso da parte del marito, invece accertato dal giudice ecclesiastico. Correttamente sono stati applicati gli articolo 796 e 797 c.p.c., che, anche se abrogati nel nostro ordinamento, vanno ancora applicati, essendo espressamente richiamati dalle norme concordatarie.

Con la sentenza numero 7946, depositata il 29 marzo 2013, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello circa il mancato riconoscimento della sentenza ecclesiastica. Matrimonio canonico annullato per difetto di giudizio, e gli effetti civili? Si sposano nel 1998 con matrimonio concordatario. 10 anni dopo il Tribunale ecclesiastico pronuncia sentenza di nullità per «accertato difetto di discrezione del giudizio» da parte del marito. Sentenza confermata dal Tribunale ecclesiastico regionale ed eseguita da Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. L’uomo chiede che l’efficacia di tale sentenza esplichi i propri effetti anche nel nostro ordinamento, in sede civile. La Corte d’Appello, competente a ricevere le domande di delibazione, respinge la richiesta, ritenendo che «tale incapacità, rimasta nel solo foro interno del marito , non fosse stata manifestata alla moglie né dalla stessa conoscibile». Quali norme processuali? L’uomo ricorre per cassazione, lamentando che la conoscibilità da parte della moglie sarebbe già stata dimostrata dal giudice ecclesiastico e che comunque non andava fatto un vaglio del rispetto dell’ordine pubblico interno ai fini della delibazione, visto che gli articolo 796 e 797 c.p.c. sono stati abrogati dalla legge numero 218/1995, di cui andrebbe applicato in questo caso l’articolo 64, per cui lo scrutinio di conformità dovrebbe limitarsi ad un «vaglio di conformità limitato ai soli effetti che i provvedimenti dell’autorità giurisdizionale straniera sono destinati a produrre nel nostro ordinamento». La Corte di Cassazione, rileva innanzitutto l’inammissibilità del primo motivo poiché il ricorrente non riporta il contenuto delle risultanze del giudizio ecclesiastico. Norme procedurali direttamente richiamate dal Concordato. Il motivo di ricorso solleva pertanto un questione meramente processuale, correttamente risolta dal giudice di merito. Infatti è del tutto irrilevante che le norme processuali siano state abrogate dalla legge numero 218/1995, poiché gli articolo 796 e 797 c.p.c. sono espressamente richiamate dal Concordato del 1984, per cui sono vigenti in forza dell’articolo 7 Cost. Per una loro abrogazione, rispetto alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche, sarebbe necessaria una modifica con leggi costituzionali, in assenza di un accordo tra le parti contraenti. Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 febbraio – 29 marzo 2013, numero 7946 Presidente Luccioli – Relatore Cultrera Svolgimento del processo La Corte d'appello di Reggio Calabria, con sentenza numero 15 depositata il 25 gennaio 2011, ha respinto la domanda proposta da I.R. volta ad ottenere declaratoria dell'efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza 31 dicembre 2008 pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico Calabro, ratificata con decreto dell'11.9.2009 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Campano ed infine resa esecutiva con decreto 27.3.2010 dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario celebrato con B A. in Reggio Calabria il 26 dicembre 1998 per accertato difetto di discrezione di giudizio da parte dell'I. . Ha ritenuto che siffatta incapacità, rimasta nel solo foro interno dell'I. , non fosse stata manifestata alla A. né dalla stessa fosse conoscibile. Avverso questa decisione R. Ipriti propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi non resistiti dall'intimata. Il P.G. ha rassegnato le sue conclusioni chiedendo il rigetto del ricorso. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata. Motivi della decisione Il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine alla statuita esclusione della conoscibilità da parte della moglie della sua condizione d'incapacità, a suo avviso risultata invece appieno dimostrata nel giudizio ecclesiastico attraverso le stesse affermazioni della A. e le deposizioni dei testi escussi. Si duole in sostanza dell'omesso esame di quelle risultanze, che tuttavia neppure riproduce, omettendo di trascriverne o quanto meno riferirne specificamente il contenuto in palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. Ne discende la declaratoria d'inammissibilità del motivo. Merita invece il rigetto il secondo motivo con il quale il ricorrente assume che la delibazione sulla conformità della sentenza di nullità pronunciata dal Tribunale ecclesiastico all'ordine pubblico interno sarebbe stata condotta dalla Corte del merito in violazione del disposto dell'articolo 64 della legge numero 218 del 1995 di riforma del diritto internazionale privato, che non consente d'applicare nome abrogate, facendo riferimento all'articolo 8 numero 2 dell'accordo di revisione del Concordato Lateranense del 18 febbraio 1984 reso esecutivo con legge numero 121 del 25 marzo 1985, erroneamente interpretato nel senso che esso abbia recepito le norme del codice di procedura civile, segnatamente gli articolo 796 e 797 c.p.c. ormai abrogati. Soggiunge che lo scrutinio di conformità della sentenza del giudice straniero, anche perciò di quello ecclesiastico, all'ordine pubblico interno, eliminato dalla legge numero 218/1995, si è ridotto piuttosto a vaglio di conformità limitato ai soli effetti che i provvedimenti dell'autorità giurisdizionale straniera sono destinati a produrre nel nostro ordinamento. Anzitutto va osservato che la censura. non scalfisce affatto il nucleo della decisione impugnata che fonda il rigetto della delibazione sull'assenza della prova della conoscenza ovvero della conoscibilità da parte della A. del vizio di discrezione del consenso da parte dell'I. accertato dal giudice ecclesiastico che ha pronunciato la nullità del matrimonio. Nessuno degli argomenti difensivi in cui si articola la censura investe il percorso argomentativo fondante la conclusione che ne ha tratto la Corte del merito che pur contrasta la consolidata esegesi Cass. numero 8857/2012 che, nel caso considerato, reputa inutile la verifica in ordine allo stato soggettivo dell'altro coniuge, non essendovi nell'ordinamento interno un principio generale di tutela dell'affidamento che contempli come elemento essenziale la riconoscibilità di tale vizio per l'altra parte. Il motivo agita la sola questione processuale sopra rappresentata, che deve dichiararsi correttamente risolta dalla Corte del merito sulla base del dettato normativo richiamato, così come interpretato nel consolidato orientamento di questa Corte che, appieno condiviso da questo collegio, s'intende in questa sede ribadire. Ed invero non rileva che le norme sul giudizio di delibazione, di cui agli articolo 796 e 797 cod. proc. civ., siano state abrogate dall'articolo 73 della legge numero 218 del 1995, poiché tale abrogazione, in ragione della fonte di legge formale ordinaria da cui è disposta, non è idonea a spiegare efficacia sulle disposizioni dell'Accordo, con protocollo addizionale, di modificazione del Concordato lateranense firmato a Roma il 18 ottobre 1984 e reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, numero 121 , disposizioni le quali - con riferimento alla dichiarazione di efficacia, nella Repubblica italiana, delle sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici - contengono un espresso richiamo agli articolo 796 e 797 cod. proc. civ., e risultano connotate, in forza del principio concordatario accolto dall'articolo 7 Cost. che implica la resistenza all'abrogazione di norme pattizie, perciò suscettibili di modifica, in difetto di accordo delle parti contraenti, solo con leggi costituzionali , da una vera e propria ultrattività cfr. Cass. numero 11020/2005 e numero 24990/2010 . A questa ricostruzione esegetica il ricorrente non contrappone convincenti argomenti di smentita che inducano alla sua rivisitazione. L'infondatezza della censura comporta per l'effetto il rigetto del motivo. Tutto ciò premesso, il ricorso devesi rigettare senza provvedere al governo delle spese del presente giudizio in assenza d'attività difensiva dell'intimata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.