Nella valutazione dell’elemento soggettivo, in ipotesi di contraffazione brevettuale, non si può prescindere dal dato oggettivo che le privative industriali sono soggette a un regime di pubblicità legale sicché, in caso di loro violazione, è senz’altro corretto presumere che il contraffattore sia in colpa.
La presunzione di colpa si basa sulla oggettiva conoscibilità della privativa e della sua estensione, dacché la contraffazione si ha, non solo quando vi sia riproduzione letterale dell’insegnamento brevettato, ma anche quando esso venga riprodotto «per equivalenti», ossia con applicazione dell’insegnamento. Lo “sfondamento” delle preclusioni istruttorie previsto dal comma 5, dell’articolo 121 c.p.i., deve ritenersi circoscritto alle sole produzioni documentali, a condizione che la parte interessata abbia compiutamente e tempestivamente allegato i fatti primari inerenti la questione del risarcimento del danno da contraffazione, nel rispetto del principio costituzionalmente sancito dall’articolo 111 Cost Possono, pertanto, essere consentite produzioni documentali anche dopo la maturazione delle decadenze istruttorie in sede di CTU disposta per la liquidazione del danno da contraffazione, purché i documenti di cui si chiede l’acquisizione ineriscano a fatti primari compiutamente allegati dalle parti in causa prima del maturare di tali preclusioni. Il caso. Accadeva che l’attrice Ecodeco evocava in giudizio le società Entsorga e Eco Call, chiedendo l’accertamento della contraffazione, ad opera delle convenute, di un brevetto europeo, di cui Ecodeco era legittima titolare. La privativa aveva ad oggetto un «procedimento per il recupero energetico da rifiuti» che era stata contraffatta da Entsorga, la quale si dichiarava titolare di un procedimento per il trattamento biologico dei rifiuti denominato H.E.B.I.O.T., che in realtà riproduceva l’insegnamento del brevetto appartenente all’attrice. In particolare, gli atti di contraffazione erano consistiti nella realizzazione, su richiesta di Eco Call, di un impianto di trattamento dei rifiuti. Ecodeco lamentava, altresì, il compimento di atti di concorrenza sleale per avere Entsorga pubblicato sul proprio sito internet il disegno di un impianto che, sebbene riferito al procedimento HEBIOT, era in realtà una vera e propria copia del disegno di un impianto realizzato da Ecodeco in attuazione del brevetto. Il risarcimento del danno da contraffazione. Il Tribunale torinese è stato chiamato a verificare la sussistenza del danno subito dalla parte attrice, attraverso la verifica dei presupposti per l’affermazione della responsabilità di tale danno in capo alle convenute e la liquidazione dell’eventuale conseguente danno. Ebbene, il Collegio, disattendendo in toto le eccezioni sollevate dalle convenute, le quali eccepivano la mancata sussistenza dell’elemento soggettivo circa la consapevolezza di violare l’altrui privativa, ha correttamente ritenuto che l’illecito da contraffazione costituisce un tipo rientrante nella generale categoria dell’illecito aquiliano. Procedendo in tal senso, per incorrere nella responsabilità risarcitoria è sufficiente che sia dimostrato che il contraffattore, oltre ad avere riprodotto l’insegnamento contenuto nel brevetto, abbia tenuto tale comportamento quantomeno con colpa. Secondo, infatti, un consolidato orientamento giurisprudenziale, nella valutazione dell’elemento soggettivo, in ipotesi di contraffazione brevettuale, non si può prescindere dal «dato oggettivo che le privative industriali titolate sono soggette a un regime di pubblicità legale sicché, in caso di loro violazione, è senz’altro corretto presumere che il contraffattore sia in colpa». Dunque, il Collegio, facendo proprie le consolidate argomentazioni in dottrina e giurisprudenza, ha correttamente ritenuto che la presunzione di colpa si basa sulla oggettiva conoscibilità della privativa e della sua relativa estensione, dacché la contraffazione si ha non solo quando vi sia riproduzione letterale dell’insegnamento brevettato ma anche quando esso venga riprodotto «per equivalenti». Si tratta, in sostanza, di una ignoranza colpevole, poiché il brevetto è titolo accessibile a chiunque. Danno da lucro cessante? Ecodeco poi chiedeva di essere risarcita del danno conseguente alla contraffazione a titolo di “lucro cessante”, consistito nel non avere potuto lei stessa stipulare il contratto di vendita della tecnologia con la convenuta Eco Call. Ebbene, il Tribunale di Torino, nel caso di specie, rileva la sussistenza di un obiettivo collegamento causale tra la contraffazione mediante vendita e la perdita di “chance”, ritenendo, pertanto, corretto utilizzare, per la liquidazione del danno subito dalla parte attrice, il criterio del “lucro cessante”. La liquidazione del danno. Il Collegio si trova ad affrontare una questione assai spinosa relativa alla corretta lettura del comma quinto dell’articolo 121 c.p.i., in tema di «ripartizione dell’onere della prova» secondo cui «nella materia di cui al presente codice il consulente tecnico d’ufficio può ricevere documenti inerenti ai quesiti posti dal giudice anche se non ancora prodotti in causa, rendendoli noti a tutte le parti .». In particolare, le convenute chiedono se si possa affermare che si tratta di disposizione che consente alle parti, in sede di CTU contabile, di produrre documenti non prodotti entro i termini perentori fissati dal codice di rito. Per il Tribunale piemontese lo “sfondamento” delle preclusioni istruttorie previsto dall’articolo 121 c.p.i. deve ritenersi circoscritto alle sole produzioni documentali, a condizione che la parte interessata abbia compiutamente e tempestivamente allegato i fatti primari inerenti la questione del risarcimento del danno da contraffazione, nel rispetto del principio costituzionalmente sancito dall’articolo 111 Costituzione. Il Collegio fonda la propria convinzione sulla scorta del fatto che il legislatore pur potendo omettere di dettare norme in tema di risarcimento del danno da contraffazione ha, invece, scelto di inserire un’apposita disposizione, ossia l’articolo 125 c.p.i. che, nella versione originaria, disponeva che il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 c.c., tenendo conto, quanto al lucro cessante, degli utili realizzati in violazione del diritto e dei compensi che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto licenza dal titolare del diritto e, ciò, anche in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano. Ebbene, l’esistenza di una autonoma disciplina del risarcimento del danno derivante dalla violazione di una privativa industriale, consente di ritenere che lo speciale regime di acquisizione documentale, si estenda anche alle controversie che hanno ad oggetto la richiesta di accertamento e liquidazione del danno da contraffazione in quanto “materia” disciplinata dal codice della proprietà industriale. Dunque, il Collegio, in maniera compiuta, chiarisce che in base all’articolo 121 comma 5 c.p.i. possono essere consentite produzioni documentali anche dopo la maturazione delle decadenze istruttorie in sede di CTU disposta per la liquidazione del danno da contraffazione, purché i documenti di cui si chiede l’acquisizione ineriscano a fatti primari compiutamente allegati dalle parti in causa prima del maturare di tali preclusioni. Concorrenza sleale per riproduzione fotografica e pubblicizzazione. Come accennato Ecodeco chiedeva al Tribunale torinese l’accertamento nei soli confronti di Entsorga Italia del compimento di atti di concorrenza sleale, consistiti nell’avere a suo tempo offerto al pubblico e reclamizzato l’invenzione tecnologia spacciandola come propria attraverso la diffusione di una brochure, oltre che sul suo sito internet. Secondo il Collegio, tale comportamento integra un atto di concorrenza sleale, ex articolo 2598, n.3 c.c. poiché, in questo modo, il concorrente si appropria indebitamente dei “pregi” dell’altrui attività, visto che in tal modo l’imprenditore «in forme pubblicitarie od equivalenti, attribuisce ai propri prodotti o alla propria impresa pregi . appartenenti all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori» Cass. Sez. I, n.9387/1994 . Tuttavia, il Tribunale, pur accogliendo l’istanza di inibizione avanzata dall’attrice, ha escluso la configurabilità di un danno «in re ipsa» da concorrenza sleale, trattandosi, al contrario, di conseguenza ulteriore e diversa che deve essere allegata e provata secondo le ordinarie regole in materia di risarcimento da fatto illecito.
Tribunale di Torino, sez. IX Civile, sentenza 9 dicembre 2011 – 23 marzo 2012 Presidente Scotti Relatore Contini PER ECODECO Piaccia al Tribunale, respinta ogni diversa domanda, istanza, eccezione e deduzione, così giudicare nel merito accertare e dichiarare che ENTSORGA ITALIA s.r.l. con la condotta descritta nell’atto di citazione notificato il 12 aprile 2006 si è resa responsabile di illeciti di concorrenza sleale a danno di ECODECO inibire la prosecuzione e la ripetizione degli illeciti concorrenziali di cui al punto precedente disporre la pubblicazione della sentenza ai sensi dell’articolo 2600 c.c. condannare in solido le convenute al risarcimento dei danni – tenendo conto del mancato utile di ECODEDO e dell’utile conseguito dai contraffattori e determinandone l’ammontare eventualmente anche in una somma globale stabilita in base agli atti di causa e delle presunzioni che ne derivano ai sensi dell’articolo 125, 1° e 2° comma c.p.e. – derivanti dalla contraffazione del brevetto EP 706839 consistente nella costruzione e nell’esercizio dell’impianto di ECO CALL s.p.a. a VAZZANO Vibo Valentia già accertata dalle sentenze n.1856/2009 di codesto Tribunale e n.873/2010 della Corte d’Appello di Torino condannare la sola ENTSORGA ITALIA s.r.l. al risarcimento degli ulteriori danni, diversi dal quelli considerati nella precedente conclusione, derivanti ad ECODECO s.r.l. dalla contraffazione del brevetto EP 706839 – sempre già accertata dalle sentenze n.1856/2009 di codesto Tribunale e n.873/2010 della Corte d’Appello di Torino – nonché dalla concorrenza sleale, in tutti i casi applicando per la determinazione del danno i criteri dettati dal 1° e 2° comma dell’articolo 125 c.p.i. e dall’articolo 2600 c.c Rigettare tutte le domande e le eccezioni formulate dalle convenute il tutto con vittoria di spese, diritti e onorari di causa. In via istruttoria acquisire i verbali e la documentazione raccolta nelle operazioni di descrizione effettuate presso le convenute ENTSORGA ITALIA s.r.l. e ECO CALL s.p.a. in Tortona, Vazzano e Vibo Valentia, in base al decreto pronunciato dal presidente della Sezione intestata in data 16 marzo 2006, 7207/R.G/C., compresa la documentazione segretata rigettare tutte le istanze istruttorie formulate dalle convenute. PER ENTSORGA ITALIA s.r.l. respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione in via principale assolversi la società conchiudente da ogni domanda risarcitoria della società ECODECO in via di estremo subordine previa rinnovazione della CTU Ranalli e/o, subordinatamente, completamento della medesima in punto determinazione di quanto nell’impianto di Vazzano sia ascrivibile al brevetto ECODECO e quanto no, ovvero, in alternativa, esperimento di apposita CTU al medesimo fine richiamato altresì, per il solo denegato caso di bisogno, il capo di prova testimoniale dedotto dalla conchiudente al n.2 della pregressa fase di giudizio ed in infra trascritto. Liquidarsi il danno nella misura che risultasse effettivamente dovuta, assolvendosi in ogni caso la società conchiudente da ogni maggiore pretesa avversaria fondata sulla CTU Ranalli. Con il favore delle spese. più CPA e IVA. Capo di prova per testi “2 Vero che la società Entsorga ha eliminato dal proprio sito internet il disegno dell’impianto di cui al docomma 10 ECODECO non appena conosciutane, tramite ricorso per descrizione, l’effettiva origine”. Testi Stefania Miranda /c/o Entsorga . PER ECO CALL s.p.a. si chiede che il Tribunale adito voglia accogliere le seguenti conclusioni dichiarare inammissibile e o infondata in fatto e in diritto e, comunque, rigettare la domanda attorea per l’effetto condannare l’attrice ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 96 c.p.comma al risarcimento dei danni da valutarsi in via equitativa da parte del giudice adito in favore della convenuta ECO CALL s.p.a. in via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento della domanda attrice nei confronti della ditta ECO CALL s.p.a., condannare la ENTSORGA ITALIA s.p.a. a manlevare e/o rimborsare, e/o tenere indenne ai sensi e per gli effetti quanto la ECO CALL s.p.a. dovesse essere tenuta a corrispondere all’attrice per sorte capitale, interessi, rivalutazione e spese legali. Condannare l’attrice a spese, competenze ed onorari di giudizio. Emettere ogni altro provvedimento di legge e/o di giustizia In via istruttoria si chiede che il Tribunale, Sezione Specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale voglia disporre la convocazione del CTU e/o invitare il medesimo a fornire chiarimenti in merito alle osservazioni tecniche e critiche sollevate dalla ECO CALL s.p.a. sulle risultanze e modalità di valutazione cui è pervenuto il CTU Ranalli nell’elaborato peritale, attraverso le note redatte dal proprio CTP. rag. commercialista revisore contabile Rosario Gentile, del 18 maggio 2010 e ritualmente depositate in giudizio che ai fini di una più facile consultazione si allegano al presente atto Sintesi dell’oggetto del giudizio ECODECO s.p.a., dopo avere ottenuto il 16 marzo 2006, autorizzazione alla descrizione dell’impianto HEBIOT realizzato da Entsorga ITALIA s.p.a. a Vazzano, ha evocato in giudizio ENTSORGA e ECO CALL s.p.a. chiedendo che venisse accertata la contraffazione, ad opera delle convenute, del brevetto europeo EP 706839 B1 di cui era titolare. La privativa ha ad oggetto un “procedimento per il recupero energetico da rifiuti” ovvero per la produzione di combustibile da rifiuti cosiddetto CDR e, secondo quanto prospettato dalla parte attrice, era stata contraffatta da ENTSORGA ITALIA s.p.a. che si dichiarava titolare di un procedimento per il trattamento biologico dei rifiuti denominato H.E.B.I.O.T. Hig Efficency Biolocical Treatment che in realtà riproduceva l’insegnamento del brevetto. Gli atti di contraffazione erano consistiti nella realizzazione, su richiesta di ECO CALL s.p.a., di un impianto di trattamento dei rifiuti sito in Vazzano provincia di Vibo Valentia . ECODECO ha anche lamentato il compimento di atti di concorrenza sleale per avere ENTSORGA ITALIA pubblicato sul proprio sito internet il disegno di un impianto che, sebbene riferito al procedimento HEBIOT, era in realtà una vera e propria copia del disegno di un impianto realizzato da ECO DECO in attuazione del brevetto, denominato I.T.S. Intelligent Transfer Station , e per condotte asseritamente tenute in Inghilterra e ha infine richiesto di essere risarcita dei danni subiti per effetto della contraffazione e degli atti di concorrenza. ENTSORGA ITALIA si è costituita contestando sotto vari profili la domanda avversaria e chiedendo che venisse accertata la nullità del brevetto azionato, oltre che il rigetto della domanda di contraffazione. In via riconvenzionale ha chiesto che venisse accertato il compimento di atti di concorrenza sleale asseritamente compiuti da ECODECO in Inghilterra ai suoi danni, oltre che la sua condanna ex articolo 96 c.p.c Anche ECO CALL si è costituita chiedendo il rigetto di tutte le domande proposte dalla parte attrice. In via subordinata ha chiesto di essere manlevata da ENTSORGA ITALIA dalla quale aveva acquistato l’impianto di trattamento dei rifiuti, oltre che la condanna dell’attrice ex articolo 96 c.p.c A seguito delle eccezioni e domande riconvenzionali delle parti convenute ECODECO ha esteso la domanda di contraffazione al brevetto italiano n.01300064, con le conseguenti richieste anche in punto risarcimento del danno. Con sentenza non definitiva del 3 – 10 marzo 2009 la Sezione Specializzata del Tribunale di Torino a ha dichiarato il difetto di giurisdizione in ordine alle domande di contraffazione del brevetto relativamente alla frazione inglese e alle contrapposte domande nullità di detta porzione di brevetto oltre che sulle contrapposte domande di concorrenza sleale per fatti posti in essere in Inghilterra b ha dichiarato inammissibile la domanda di nullità del brevetto italiano n.01300064 di cui ECODECO è titolare e ha rigettato la domanda di accertamento della sua contraffazione c ha accertato il compimento di atti di contraffazione brevettuale da parte di ENTSORGA ITALIA s.p.a. e ECO CALL s.p.a. in relazione a EP 706839 d ha inibito alle convenute il compimento di ulteriori atti di commercializzazione della tecnologia H.E.B.I.O.T., fissando una penale e ha disposto la pubblicazione della sentenza. La causa è stata rimessa in istruttoria in relazione alle domande di concorrenza sleale, di risarcimento del danno da contraffazione e di manleva. La sentenza è stata oggetto di immediata impugnazione e la Corte d’Appello di Torino, con sentenza n,. 873/2010 ha rettificato l’entità della penale imposta a ENTSORGA ITALIA s.p.a. e ECOCALL s.p.a. e ha respinto, nel resto, l’appello proposto da queste ultime. Nell’ulteriore corso del giudizio di primo grado è stata disposto il mutamento del Giudice Istruttore, a seguito del trasferimento ad altro ufficio del Giudice titolare. Sentiti i procuratori delle parti all’udienza del 27 ottobre 2009 è stata disposta consulenza tecnica d’ufficio, con ordinanza del 9 novembre 2009, per la determinazione del danno da contraffazione, previa selezione, nel contraddittorio delle parti come da verbale del 16 dicembre 2009 e ordinanza 18 gennaio 2010 della documentazione reperita presso le convenute in sede di descrizione e a suo tempo oggetto di “segretazione” per la protezione delle informazioni riservate. Dopo il deposito della consulenza d’ufficio è stata fissata udienza di precisazione delle conclusioni. La causa è stata trattenuta a decisione all’udienza del 15 giugno 2011. Motivi della decisione La domanda di risarcimento del danno da contraffazione Con sentenza n.873/2010 la Corte d’Appello di Torino ha confermato la decisione del Tribunale che aveva ritenuto il procedimento HEBIOT, venduto da ENTSORGA ITALIA a ECO CALL e da questa installato nello stabilimento di Vazzano, in contraffazione del brevetto EP 706839 di cui ECO DECO è titolare. Oggetto della presente fase del giudizio è, quindi, l’accertamento della sussistenza del danno subito dalla parte attrice, la verifica dei presupposti per l’affermazione della responsabilità di tale danno in capo alle convenute e la liquidazione del danno. Come emerge dalle argomentazioni svolte in comparsa conclusionale, sia ENTSORGA che ECO CALL contestano di dover rispondere del danno da contraffazione difettando in capo a entrambe l’indispensabile elemento soggettivo della consapevolezza di violare l’altrui privativa. Ritiene il Collegio che sulla base di quanto dimostrato in causa in ordine alle modalità con cui la contraffazione è stata posta in essere non possa negarsi che le convenute debbano entrambe, pur con posizioni obiettivamente differenti, ritenersi in colpa. L’illecito da contraffazione costituisce null’altro che una “species” della generale categoria dell’illecito aquiliano e per incorrere nella responsabilità risarcitoria occorre che sia dimostrato che il contraffattore, oltre ad avere riprodotto l’insegnamento contenuto nel brevetto ovvero avere violato altra tipologia di privativa industriale deve avere tenuto tale comportamento quantomeno con colpa e, inoltre, il danno che il titolare della privativa lamenta deve essere causalmente collegato con la violazione della privativa. Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, nella valutazione dell’elemento soggettivo non si può in questa particolare fattispecie prescindere dal dato oggettivo che le privative industriali titolate sono soggette a un regime di pubblicità legale sicché, in caso di loro violazione, è senz’altro corretto presumere che il contraffattore sia in colpa. Del resto se non operasse tale presunzione vi sarebbe una evidente e del tutto ingiustificata disparità di trattamento tra colui che viola una privativa da chiunque conoscibile e colui che compie atti di concorrenza sleale per i quali, ex articolo 2600 ultimo comma c.comma la colpa, una volta accertati gli atti di concorrenza, si presume nonostante l’assenza di un sistema di conoscibilità della portata dell’altrui diritto. Si tratta, in ogni caso, di presunzione relativa che il soggetto accusato di contraffazione ben può vincere, dimostrando che nonostante ogni ragionevole sforzo, egli ignorava l’esistenza della privativa. Ritiene il Tribunale che né ENTSORGA né ECO CALL abbiano superato tale presunzione. Le convenute, come accennato in parte narrativa, hanno svolto nella vicenda ruoli differenti e pertanto le loro posizioni devono essere valutate in modo individuale. ENTSORGA sostiene che nessuna presunzione di colpa a suo carico può essere posta, tenuto conto del fatto che la tecnologia HEBIOT è stata venduta a ECO CALL per la produzione di “compost” attraverso il riciclo dei rifiuti, mentre il brevetto ha ad oggetto un procedimento per la produzione di CDR. Il fatto stesso che la contraffazione sia stata ritenuta “virtuale” per essere l’impianto di Vazzano suscettibile di essere riconvertito alla produzione di CDR secondo l’invenzione indurrebbe ad escludere, secondo la sua prospettazione, che si possa ipotizzare l’esistenza di una ragionevole consapevolezza della contraffazione. Ritiene il Collegio che tali argomentazioni non siano dirimenti. La presunzione di colpa in questa fattispecie si basa sulla oggettiva conoscibilità della privativa e quindi della sua estensione. E’ noto che si compiono atti di contraffazione non solo quando vi sia riproduzione letterale dell’insegnamento brevettato ma anche quando esso venga riprodotto “per equivalenti”, ossia con applicazione dell’insegnamento che per novità e altezza inventiva ha consentito al titolare di ottenerne la brevettazione. Il fatto che in concreto l’accertamento della contraffazione possa essere obiettivamente complesso non comporta che ogniqualvolta si sia in presenza di una contraffazione non letterale si debba escludere, per questo solo fatto, la colpa dell’autore della violazione. La colpa infatti consiste, in generale, in un comportamento scarsamente prudente e scarsamente attento alla valutazione della possibilità che attraverso una determinata azione si possa ledere l’altrui diritto. ENTSORGA allorché ha iniziato a pubblicizzare il procedimento HEBIOT e nel momento stesso in cui lo ha venduto a ECO CALL era consapevole del fatto che esso era potenzialmente idoneo a interferire con la privativa di ECO DECO. Si trattava, infatti, di tecnologia presentata come capace di operare il trattamento anche di rifiuti solidi urbani e non solo la frazione organica di essi come dimostrato dal fatto, pacifico in causa, dell’utilizzo da parte della convenuta di un disegno che pur essendo relativo agli impianti realizzati da ECO DECO, veniva presentato come inerente un “Impianto HEBIOT per compostaggio” v. docomma 10 di p. attrice oltre che dalla documentazione riguardante i contrasti insorti tra le parti in ordine alla pubblicizzazione e vendita anche in altri Paesi europei del sistema HEBIOT. Inoltre, come sottolineato da ECO DECO, dal contratto di fornitura concluso tra le convenute risulta che lo stabilimento munito di tecnologia HEBIOT poteva ricevere e trattare sia la “frazione organica” dei rifiuti sia i rifiuti solidi urbani denominati CDR. Nonostante ciò e nonostante alla data di conclusione del contratto la convenuta potesse conoscere oggetto e portata del brevetto, ENTSORGA ha nondimeno proceduto alla vendita a terzi della tecnologia che è stato accertato in causa essere in contraffazione non letterale del brevetto della società attrice. Anche ECO CALL che, in quanto acquirente della tecnologia contraffatta, concorre nella contraffazione brevettuale non può ritenersi avere superato la presunzione di colpa di cui si è detto. La convenuta ha in proposito affermato che l’assenza di colpa sarebbe dimostrata dal fatto che l’iniziativa economica che aveva condotto alla realizzazione dell’impianto di Vazzano era finalizzata a costituire un centro per il trattamento di rifiuti provenienti da raccolta differenziata umido e fanghi per la produzione di “compost”. Coerentemente con questa impostazione ECO CALL aveva deciso di acquistare da ENTSORGA ITALIA quanto necessario per installare il processo produttivo denominato “scarabeo automatico” ed aveva ottenuto dal Commissario per l’emergenza rifiuti della Regione Calabria, nel marzo 2003, le necessarie autorizzazioni amministrative per la produzione di “ammendante compostato da matrici organiche selezionate ai sensi degli articolo 27 e 28 D.lgs. n.22/97”. Osserva il Tribunale che, come del resto ben evidenziato dalla stessa convenuta, la realizzazione dell’impianto di Vazzano è stata possibile attraverso una “operazione” di rilevante consistenza anche economica che, tra l’altro, si è inserita nel “Patto territoriale per la Provincia di Vibo Valentia” ed il relativo progetto è stato approvato come investimento finanziabile dal CIPE. E’ del resto la stessa convenuta ad affermare di avere speso per “opere edili e costruzione fabbricato industriale” la somma di €3.223.244 sulla questione, oggetto di ampio dibattito in sede di CTU si tornerà in seguito e perciò si può senz’altro affermare che ECO CALL ha proceduto alla scelta del fornitore della tecnologia oggetto di controversia attraverso una approfondita istruttoria nell’ambito della quale sono intervenuti soggetti dotati di specifiche conoscenze nel settore, come ad esempio coloro che hanno operato per consentire a ECO CALL di accedere ai finanziamenti pubblici di cui si è detto. ECO CALL nella fase di scelta del contraente per l’acquisizione della tecnologia da installare nello stabilimento di nuova realizzazione era quindi dotata di elevatissimi strumenti di valutazione degli operatori del settore della tecnologia del riciclo dei rifiuti. In tale contesto appare difficile sostenere che la convenuta abbia deciso di acquistare la tecnologia HEBIOT e di inserirla in un impianto obiettivamente pronto ad essere riconvertito alla produzione di CDR ignorando che essa poteva interferire con una privativa già esistente nello stesso settore. Ove così fosse si tratterebbe di ignoranza colpevole essendo appunto accessibile a tutti il brevetto di cui si controverte ed essendo pressoché sovrapponibile in toto l’impianto necessario a dare attuazione al brevetto e quello in concreto installato a Vazzano per la produzione di compost. Osserva infine il Collegio che al fine che qui interessa, ossia verificare se la convenuta abbia vinto la presunzione di colpa a suo carico, è del tutto irrilevante il fatto che ECO CALL abbia destinato l’impianto alla produzione di compost invece che di CDR ottenendo le relative autorizzazioni, essendo sufficiente rilevare quanto si è fin qui detto, ossia che ECO CALL, pur potendo acquistare una tecnologia destinata alla sola produzione di compost, ha nondimeno optato per un impianto idoneo ad essere riconvertito al riciclo di rifiuti di tipo RSU e alla produzione di CDR, salva l’acquisizione delle relative autorizzazioni in ordine alle quali, per quanto rileva in sede di valutazione della prudenza con cui ha operato ECO CALL, pare sufficiente osservare che non è emersa l’oggettiva impossibilità di ottenerle in futuro. Il nesso causale tra le condotte delle convenute e il danno e la sua liquidazione ECO DECO chiede di essere risarcita del danno conseguito alla contraffazione a titolo di “lucro cessante” consistito nel non avere lei stipulato il contratto con ECO CALL. Le convenute contestano entrambe l’utilizzabilità di tale criterio anche perché sostengono che non si tratta di evento causalmente collegato con la contraffazione, dato che difetterebbero i presupposti per presumere che ECO DECO avrebbe potuto aspirare alla commessa di ECO CALL. Infatti quest’ultima, intendendo realizzare un impianto per il riciclo di rifiuti organici, del tutto verosimilmente non si sarebbe rivolta alla società attrice che opera nel diverso settore del riciclo di RSU. Ritiene il Collegio che, partendo dal dato oggettivo e ormai accertato che l’impianto acquistato da ECO CALL è idoneo, senza effettuare rilevanti trasformazioni e ulteriori investimenti, a riciclare rifiuti non organici RSU a e produrre CDR può senz’altro affermarsi la sussistenza di un nesso causale tra la contraffazione e la perdita quantomeno della chance di accaparrarsi la commessa di ECO CALL. E’ infatti palese che anche la società attrice avrebbe potuto realizzare l’impianto in concreto installato presso la convenuta dato che esso attua pienamente la tecnologia brevettata rispetto alla quale presenta non sostanziali modifiche che infatti possono facilmente essere eliminate per consentire il pieno funzionamento del sistema per la produzione di CDR. Neppure il fatto che ENTOSORGA abbia venduto a ECO CALL solo la tecnologia HEBIOT senza cioè acquisire la commessa relativa alla realizzazione delle strutture “murarie” dell’impianto consente di escludere tale collegamento causale. ENTOSORGA e ECO CALL sottolineano anche allo scopo di contestare la quantificazione del danno da lucro cessante, del quale si dirà in seguito che non vi è una realistica proporzione tra il valore di vendita della tecnologia HEBIOT e il valore dell’investimento che sarebbe stato necessario se ECO DECO si fosse aggiudicata la commessa, dato che la società attrice costruisce gli impianti per la produzione CDR “chiavi in mano” e quindi completi di strutture “murarie”, con le ovvie conseguenze che ne derivano in termini di redditività della commessa stessa e, in concreto, della possibilità realistica di aggiudicarsi una commessa come quella acquisita da ENTSORGA che si è limitata a trasferire a ECO DECO la sola tecnologia HEBIOT. Si deve però osservare che è del tutto pacifico in causa che ECO CALL ha acquisito la tecnologia HEBIOT affrontando contemporaneamente i costi relativi alla realizzazione dell’intero complesso che contiene l’impianto, ed ha pertanto affrontato un investimento comparabile a quello che sarebbe stato necessario nel caso in cui si fosse rivolta alla titolare del brevetto. Non si può per questo escludere l’esistenza del nesso causale sulla semplice comparazione tra il prezzo di vendita di HEBIOT, ossia il valore della commessa per ENTSORGA, e il costo che la commessa avrebbe avuto se ECO CALL avesse stipulato il contratto con ECO DECO perché è certo che la convenuta nel 2003 ha affrontato, per l’impianto di VAZZANO, esborsi che evidentemente non coincidono con il solo costo di HEBIOT. Tale tecnologia del resto, priva delle idonee strutture murarie in cui è inserita, non sarebbe neppure utilizzabile, come risulta dal docomma 7 di parte attrice che descrive le caratteristiche dell’impianto di ECO CALL. Sussiste, quindi, un obiettivo collegamento causale tra la contraffazione mediante vendita di HEBIOT e la perdita di “chance” di ECO DECO di assicurarsi la commessa di ECO CALL ed è pertanto corretto utilizzare, per la liquidazione del danno subito dalla parte attrice, il criterio del “lucro cessante” ossia del mancato conseguimento dell’utile ricavabile dalla vendita della tecnologia di cui al brevetto EP 0 706 839 di parte attrice a ECO CALL. Ciò detto, si può procedere alla liquidazione del danno da lucro cessante. La liquidazione operata dal consulente d’ufficio dr. Ranalli è stata oggetto di rilevanti contestazioni in forza delle quali le parti hanno chiesto la rinnovazione della CTU ovvero il richiamo del consulente per effettuare conteggi supplementari o per rendere alcuni chiarimenti. Le contestazioni si appuntano essenzialmente sulla decisione del consulente di non esaminare ai fini della liquidazione di alcuni documenti prodotti da ECO CALL. Si tratta, in particolare, dei documenti di cui ECO CALL ha chiesto di avvalersi depositandoli, nel corso delle operazioni peritali, con memoria del 21 gennaio 2010 v. pag. 10 CTU e precisamente del “libro cespiti” con il quale la parte convenuta intende dimostrare il reale valore di beni e servizi che, pur facendo parte dell’investimento complessivo per l’impianto di Vazzano, sarebbe a suo avviso corretto scorporare essendo del tutto scollegati da quella parte di investimento che costituisce “contraffazione” si tratta dei costi per automezzi, mobili e arredi, impianti telefonici e allarme, spese notarili e imposte, studi di fattibilità finanziaria, spese opere edili e costruzione fabbricato industriale . Il Consulente ha espressamente preso posizione sulla questione spiegando di non avere esaminato tale documentazione pur avendo comunque valorizzato con criteri equitativi le voci delle immobilizzazioni ritenute estranee alla contraffazione in quanto non si trattava di documentazione avente natura di atto pubblico e perché sulla sua acquisizione non era intervenuto l’espresso assenso dalla controparte. Lamentano le convenute che questa decisione, del tutto arbitraria pur essendo incontestato che tale espresso assenso non sia intervenuto sarebbe in contrasto con il disposto dell’articolo 121 c.p.i. che, secondo la lettura offerta, consentirebbe alle parti di produrre documenti, senza alcuna limitazione, nel corso delle operazioni peritali con il solo limite della loro attinenza al quesito posto dal giudice. Si ritiene invece non dirimente in proposito il richiamo operato dalla parte attrice all’articolo 198 c.p.c ECO DECO sostiene infatti, facendo espresso richiamo a tale disposizione, che il consulente abbia operato correttamente nell’escludere l’esame del documento in questione sul quale non era stato raggiunto il necessario espresso consenso di tutte le parti. Si tratta di norma non pertinente al caso in esame, in quanto disciplina l’esame contabile a fini conciliativi di “documenti contabili e registri”. La questione sollevata da ENTOSORGA ITALIA e ECO CALL impone quindi di verificare la portata dell’articolo 121 c.p.i. “ripartizione dell’onere della prova” il cui quinto comma così dispone “nella materia di cui al presente codice il consulente tecnico d’ufficio può ricevere documenti inerenti ai quesiti posti dal giudice anche se non ancora prodotti in causa, rendendoli noti a tutte le parti .” e in particolare se si possa affermare che si tratta di disposizione che consente alle parti, in sede di CTU contabile disposta in una controversia avente ad oggetto la liquidazione del danno da contraffazione, di produrre documenti non prodotti entro i termini perentori fissati dal codice di rito. Il suo antecedente storico è l’articolo 77 quarto comma R.d. 29 giugno 1939, n.1127 Legge invenzioni come modificato dal decreto 19/3/1996, n.198 che così disponeva articolo 77. - 1 . L'onere di provare la nullità o la decadenza di un brevetto per l'invenzione industriale incombe in ogni caso a chi impugna il brevetto e l'onere di provare la contraffazione incombe al titolare del brevetto. 2. Qualora una parte abbia fornito seri indizi della fondatezza delle proprie domande ed abbia individuato documenti, elementi o informazioni detenuti dalla controparte che confermino tali indizi, essa può ottenere che il giudice ne disponga l'esibizione oppure che acquisisca le informazioni tramite interrogatorio della controparte. Può ottenere altresì che il giudice ordini di fornire gli elementi per l'identificazione dei soggetti implicati nella produzione e distribuzione dei prodotti o dei servizi che costituiscono la contraffazione. 3. Il giudice, nell'assumere i provvedimenti di cui sopra adotta le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate, sentita la controparte. 4. Nella materia di cui al presente decreto, il consulente tecnico d'ufficio può ricevere documenti inerenti ai quesiti posti dal giudice anche se non ancora prodotti in causa. Ciascuna parte può nominare anche più di un consulente. . La norma era stata così modificata in sede di armonizzazione della legislazione nazionale agli accordi TRIPS. Il dibattito dottrinale seguito all’introduzione di tale norma aveva affrontato il problema della sua compatibilità con l’articolo 3 Costituzione per il diverso trattamento del regime delle preclusioni istruttorie documentali, a seconda che il processo avesse o meno ad oggetto una privativa brevettuale. In estrema sintesi i commentatori avevano ritenuto che erano individuabili le ragioni che giustificavano il superamento delle preclusioni istruttorie per la sola produzione di documenti in fase di CTU o in vista del suo espletamento nei procedimenti aventi ad oggetto l’accertamento della validità di un brevetto e la sua contraffazione. Si sottolineava in proposito che nella maggior parte dei casi in questi processi la consulenza tecnica d’ufficio era un passaggio cruciale e dirimente per la decisione e si trattava, in genere, di accertamenti peritali assai complessi come quando ad esempio si dovevano affrontare le problematiche inerenti la ricostruzione dello stato della tecnica alla data di deposito della domanda di brevetto della cui validità si discuteva e veniva quindi evidenziata l’opportunità di evitare che il consulente d0ufficio si trovasse nella impossibilità di esaminare documenti, magari essenziali per stabilire la validità di una privativa o la sua portata, in quanto non tempestivamente acquisiti al processo, cosa che avrebbe potuto influenzare in modo decisivo l’esito della controversia e, in ipotesi, consentire il mantenimento di una privativa priva dei requisiti di brevettabilità. Sono state offerte letture più o meno restrittive di questa nuova disposizione che oscillavano tra la presa d’atto che si trattava di norma che consentiva il superamento delle preclusioni istruttorie documentali del codice di rito e letture più restrittive che ritenevano trattarsi di uno strumento di cooperazione con il CTU nella fase di ricerca dei documenti rilevanti per rispondere al quesito posto dal Giudice. Ma anche i sostenitori della lettura meno restrittiva erano concordi nel ritenere che tale “sfondamento” delle preclusioni istruttorie riguardasse la sola produzione di documenti, fermi restando gli oneri di tempestiva allegazione dei fatti primari posti a base delle domande ed eccezioni che formavano il “thema decidendum” e che anche per i documenti acquisiti in sede di CTU in forza di tale speciale disposizione dovesse essere rispettato il principio del contraddittorio. Il legislatore delegato, consapevole del dibattito sollevato dalla introduzione del nuovo testo dell’articolo 77 Legge invenzioni, dando attuazione ai poteri conferitigli con legge 12.12.2002 n.273, articolo 15, ha scelto di riprodurre quasi alla lettera il testo dell’articolo 77 estendendone la portata agli altri diritti di proprietà industriale. Infatti il codice della proprietà industriale ha accorpato la disciplina sostanziale di tutti i diritti di proprietà industriale v. articolo 1 del c.p.i. e ha introdotto, al capo III del codice dedicato alla “Tutela dei diritti di proprietà industriale” l’articolo 121 che in tema di ripartizione dell’onere della prova riproduce quasi alla lettera il testo dell’articolo 77 Legge Invenzioni come modificato in sede di armonizzazione con gli accordi TRIPS con disposizione questa volta non più limitata ai soli procedimenti in materia brevettuale essendo espressamente riferita alle “materie del presente codice”. Il legislatore delegato, quindi, pur potendo “importare” l’articolo 77 Legge Invenzioni mantenendone l’originaria limitazione alla materia brevettuale ha invece optato per una sua estensione ai processi che hanno ad oggetto tutti i diritti di proprietà industriale. Per stabilire a questo punto se, come sostenuto dalle convenute, possa essere acquisito un documento non prodotto entro i termini processuali in sede di consulenza disposta non già per valutare la validità del brevetto o la sua contraffazione, ma per acquisire tutte le valutazioni necessarie per la liquidazione del danno da contraffazione, occorre anzitutto verificare se si possa affermare che tra le “materie del presente codice” possa dirsi compresa la materia del risarcimento del danno derivante dalla violazione di una privativa industriale. Ritiene il Collegio che vi siano argomenti in tal senso e che possano al contempo essere superati dubbi di costituzionalità della norma così interpretata, sia sotto il profilo dell’articolo 3 che dell’articolo 76 Costituzione. Quanto al principio di cui all’articolo 3 Costituzione si deve osservare che il legislatore delegato pur potendo omettere di dettare norme in tema di risarcimento del danno da contraffazione con un semplice rinvio alle disposizioni contenute nel codice civile ha invece scelto di inserire una apposita disposizione. L’articolo 125 c.p.i. nella versione originaria coeva cioè alla formulazione dell’attuale quinto comma dell’articolo 121 c.p.i. così disponeva “articolo 125 Risarcimento del danno. 1 Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile. Il lucro cessante è valutato dal giudice anche tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto e dei compensi che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto licenza dal titolare del diritto. 2. La sentenza che provvede sul risarcimento del danni può fare, ad istanza di parte, la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano”. La norma, all’esito del tormentato iter che è stato necessario per giungere a tale formulazione poi rimaneggiata nel 2006 in sede di attuazione della direttiva “enforcement” è stata ritenuta da tutti i commentatori come innovativa per la quantificazione del danno da contraffazione, avendo per la prima volta espressamente codificato i criteri dell’utile realizzato dal contraffattore e dei compensi che quest’ultimo presumibilmente avrebbe dovuto pagare se si fosse munito di idonea licenza dal titolare del diritto violato. Anche questa disposizione, così come l’articolo 121 quinto comma cpi, trova la sua ragion d’essere nella valutazione, da parte del legislatore delegato della esistenza di specifiche peculiarità del risarcimento del danno proprie della materia industrialistica che ne giustifica una disciplina apposita. Per quanto attiene la conformità dell’operato del legislatore delegato alla delega che gli era stata conferita, si deve osservare che l’esigenza di introdurre nell’ordinamento disposizioni che tenessero conto dei peculiari aspetti risarcitori in questa materia derivava dallo stesso accordo TRIPS Legge 747/1994 che all’articolo 45 “Risarcimento dei danni” così prevedeva “1. L’autorità giudiziaria ha la facoltà di ordinare all’autore della violazione di pagare al titolare del diritto una somma adeguata per risarcire i danni che quest’ultimo ha subito a causa della violazione di un suo diritto di proprietà intellettuale da parte di un soggetto che ha proceduto a detta violazione consapevolmente o avendo ragionevoli motivi per esserne consapevole. 2 L’autorità giudiziaria ha altresì la facoltà di ordinare all’autore della violazione di pagare al titolare le spese, che possono comprendere anche un appropriato onorario per l’avvocato. Ove opportuno, i membri possono autorizzare le autorità giudiziarie a ordinare il recupero degli utili e/o il pagamento di somme prestabilite anche se l’autore della violazione non ha proceduto a violazione consapevolmente avendo motivi ragionevoli per esserne consapevole”. L’esistenza di una autonoma disciplina del risarcimento del danno derivante dalla violazione di una privativa industriale consente, quindi, di ritenere che lo speciale regime di acquisizione documentale contenuto nell’articolo 121 c.p.i. si estenda anche alle controversie che hanno ad oggetto la richiesta di accertamento e liquidazione del danno da contraffazione in quanto “materia” disciplinata dal codice della proprietà industriale. Tale agevolazione, come osservato in precedenza, non può tuttavia prescindere dal pieno assolvimento, da parte di chi intende avvalersi di tale facoltà, degli oneri di allegazione dei fatti primari inerenti le sue domande o le sue eccezioni, oltre che il rispetto del principio del contraddittorio. Tale necessario rispetto pur essendo ovvio e direttamente ricavabile dall’articolo 111 secondo comma Costituzione, è stato nondimeno sottolineato dal legislatore delegato che ha esplicitamente posto al consulente d’ufficio l’obbligo di rendere noti i documenti prodotti oltre i termini processuali alle altre parti. Ritiene perciò il Collegio che lo “sfondamento” delle preclusioni istruttorie previsto dall’articolo 121 c.p.i. deve ritenersi circoscritto alle sole produzioni documentali, e a condizione che la parte interessata abbia compiutamente e tempestivamente allegato i fatti primari inerenti la questione del risarcimento del danno da contraffazione. Una diversa interpretazione in senso più ampio renderebbe dubbia la compatibilità della disposizione con i principi di cui agli articoli 3 e 76 Costituzione in quanto ammettendo la possibilità di allegare per la prima volta fatti primari dopo il maturare delle preclusioni si darebbe luogo, del tutto ingiustificatamente, a un modello processuale diverso da quello disciplinato dal codice di rito. Chiarito per tutte le ragioni fin qui esposte che in base all’articolo 121 quinto comma c.p.i. possono essere consentite produzioni documentali anche dopo la maturazione delle decadenze istruttorie in sede di CTU disposta per la liquidazione del danno da contraffazione, occorre verificare se il documento di cui ECO CALL ha chiesto l’acquisizione inerisca a fatti primari compiutamente allegati dalla convenuta prima del maturare di tali preclusioni. Si tratta del “libro cespiti” di ECO CALL con cui la convenuta intende dimostrare quale è stato, a suo avviso, l’effettivo valore dei beni e servizi che pur essendo stati acquistati per lo stabilimento di Vazzano sono tuttavia del tutto scollegati dall’acquisto della tecnologia brevettata e proprio per questo del loro valore non si dovrebbe tenere conto in sede di determinazione dell’investimento quale valore – base per il conteggio del danno da “lucro cessante” che ECO DECO assume di avere subito. Non si tratta quindi di un “fatto primario” inerente le difese della convenuta che ha contestato nei suoi presupposti l’esistenza della contraffazione e la configurabilità di un comportamento colposo a suo carico la domanda risarcitoria di ECO DECO. Il documento può quindi essere valutato al fine di verificare la correttezza delle valutazioni operate dal consulente d’ufficio dr. Ranalli sulla consistenza del danno da “lucro cessante” lamentato dalla parte attrice. Ritiene tuttavia il Collegio che da tale documento non dimostri affatto che il valore delle opere connesse alla tecnologia SCARABEO sia pari ad un “ammontare nettamente inferiore ai €3.428.410,36 indicato dal CTU nella relazione finale” v. comparsa conclusionale ECO CALL e che pertanto il suo mancato esame da parte del consulente ne infici le conclusioni. Il consulente d’ufficio, per determinare il guadagno che avrebbe ipoteticamente ricavato ECO DECO dalla aggiudicazione della commessa di ECO CALL per lo stabilimento di Vazzano è partito dal “valore delle immobilizzazioni materiali di ECO DECO così come risultante dal bilancio approvato dalla società chiuso al 31 dicembre 2003” dal quale ha ritenuto di scorporare, del tutto correttamente e conformemente a quanto sostenuto dalle stesse convenute, “il valore delle immobilizzazioni non direttamente ascrivibili all’impianto in quanto tale e, segnatamente il valore del terreno, degli automezzi, del piazzale e delle recinzioni, degli uffici e della macchine da ufficio” v. pag. 12 CTU . Il consulente ha perciò calcolato che a fronte di un investimento di €4.740.721 sul quale non vi sono contestazioni fosse corretto dedurre per le voci sopra indicate l’importo di €1.312.310. Pretendono invece le convenute che dall’importo di €4.740.721 debbano essere scorporate ulteriori voci che ECO CALL raggruppa indistintamente sotto la dicitura “spese edili e costruzione fabbricato industriale realizzato dalla GE.CO. s.r.l. per un valore complessivo di €3.223.244” v. pag. 6 conclusionale ECO CALL . Si tratterebbe infatti di investimenti non connessi alla messa in opera della tecnologia brevettata e quindi impropriamente conteggiati nel “valore dell’investimento”. Tale impostazione del conteggio non può essere condivisa in quanto essa non tiene conto del fatto che, come si è detto, il mancato guadagno di ECO DECO deve essere stimato prendendo in considerazione un valore dell’investimento che tenga conto non solo del prezzo al quale ENTSORGA le ha venduto HEBIOT ma anche degli esborsi affrontati da ECO CALL per mettere in opera tale tecnologia e, tra essi, quelli che sono stati necessari per la realizzazione dell’immobile che ospita l’impianto. Per le ragioni che si sono già evidenziate allorché si è dato conto della sussistenza di un nesso causale tra il comportamento di ECO CALL e il danno che ECO DECO lamenta di avere subito, devono essere compresi anche gli esborsi di ECO CALL per la realizzazione della parte “muraria” dell’impianto. Come risulta dal docomma 7 di parte attrice, infatti, la tecnologia acquistata dalla convenuta se non opportunamente inserita in una apposita struttura muraria ossia in un edificio appositamente realizzato per ospitare l’impianto di riciclo non sarebbe stata neppure utilizzabile, ed infatti costituisce dato in sé non controverso che ECO CALL quando commercializza la tecnologia oggetto del brevetto, lo fa realizzando anche la correlata struttura muraria. Pertanto il consulente anche se avesse tenuto conto del documento che ECO CALL ha chiesto di produrre durante le operazioni peritali non avrebbe potuto scorporare l’importo della voce “spese opere edili e costruzione fabbricato industriale realizzato dalla GE.CO. s.r.l” che dal libro cespiti della convenuta attesta essere stato pari ad €3.223.244. Neppure può tenersi conto, per abbattere il valore di detto investimento, il fatto che esso sia stato, in parte, realizzato da ECO CALL usufruendo di “contributi in c/ impianti” come da corrispondente voce del bilancio ECO CALL essendo in questa sede sufficiente avere accertato che si tratta di fondi che ECO CALL ha e quindi avrebbe destinato all’acquisto di un impianto come quello di cui si controverte e che sarebbero stati versati alla società attrice, in quanto titolare del brevetto. La ricostruzione dell’ipotetico guadagno di ECO DECO è stata poi operata applicando al valore – base dell’investimento €3.428.410,36 un incremento del 15% che tiene conto del fatto che ENTSORGA ha ceduto la tecnologia contraffatta potendo praticare un prezzo inferiore a quello che sarebbe stato praticato dalla titolare del brevetto che per ottenere la privativa ha dovuto, evidentemente, sopportare i relativi costi di ricerca e di brevettazione. Tale correzione del valore dell’investimento non è quindi immotivata ed appare condivisibile. Sul punto si deve osservare, infatti, che le critiche delle convenute si appuntano sul fatto che tale correzione a loro avviso non dovrebbe essere operata, mentre non vi è una indicazione alternativa di una percentuale di correzione ritenuta tecnicamente più corretta. Sul valore dell’investimento così determinato il consulente ha poi conteggiato a la marginalità ricavabile da ECODECO al lordo delle imposte dalla cessione dell’impianto al prezzo complessivo di €3.942.671,91 b la royalty che l’attrice avrebbe conseguito in caso di vendita dell’impianto c i flussi di royalty che la titolare avrebbe percepito sul fatturato della committente attraverso l’impianto. Anche su tali criteri le parti hanno sollevato critiche e contestazioni in ordine alla loro determinazione. Ritiene il Tribunale sufficiente, in ordine a tali questioni, rilevare che a la percentuale di marginalità media ritenuta pari al 21,10% rappresenta un dato realistico, perché ricavata in base ai risultati degli esercizi di ECO DECO inerenti gli anni 2005, 2006, 2007 e 2008 ossia in anni nei quali la parte attrice ha effettivamente svolto attività di realizzazione di impianti e quindi il criterio appare corretto anche se non sono stati esaminati gli esercizi di ECO DECO relativi agli anni in cui l’impianto è stato realizzato b anche la royalty è stata calcolata facendo applicazione di un criterio aderente alla realtà, dato che essa è stata stimata in base all’esercizio chiuso al 31 dicembre 2003, anno in cui l’impianto di Vazzano è stato completato ed è stata capitalizzata solo a partire dal 31 dicembre 2008, anno nel quale è stata accertata tra le parti la contraffazione con la sentenza di primo grado c i flussi di royalty che ECO DECO avrebbe percepito “con riferimento al fatturato conseguito da ECO CALL” sono stai anch’essi determinati sulla base di conteggi realistici, avendo il consulente tenuto conto dei bilanci di esercizio di ECO CALL negli anni dal 2003 al 2008 e della stima prudenziale di tale royalty in misura del 1% su tali fatturati. Condivide per tali ragioni il Tribunale la valutazione operata dal CTU in ordine all’ipotetico guadagno che ECO CALL avrebbe conseguito in assenza della azione di contraffazione posta in essere da ENSTORGA con la vendita di HEBIOT a ECO CALL in complessivi €1.103.239,26. Tale importo, infine, deve essere ulteriomente corretto per tenere adeguatamente conto del fatto che si tratta pur sempre di una ricostruzione controfattuale che non può non tenere conto della possibilità che, per ragioni del tutto slegate dalla contraffazione, ENTSORGA potesse anche non aggiudicarsi la commessa. Tale percentuale di correzione, tenuto conto del fatto che ECO DECO nel 2003 era forse l’unica in Italia in grado di vendere la tecnologia di cui si controverte e dell’entità dell’investimento operato da ECO CALL, deve essere contenuta nella misura del 10%. Per tutte queste ragioni il danno subito da ECO DECO può essere liquidato in complessivi €1.090.000. La somma in questione costituisce debito di valore e pertanto nel rispetto dei criteri consolidati in giurisprudenza a partire da Cass. SS. UU n.1712/95 va assoggettata a rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT F.O.I. famiglie – impiegati operai a partire dal secondo semestre del 2003 alla data odierna e corredata al risarcimento del danno da ritardo degli interessi legali tasso ritenuto complessivamente equo in relazione agli anni oggetto di controversia, sulla somma progressivamente, anno per anno, rivalutata dal giugno 2003. Il conteggio eseguito con lo strumento informatico in dotazione all’ufficio porta al risultato totale della somma di € 1.530.597,04 su cui decorrono gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo. La domanda di manleva ECO CALL ha chiesto di essere manlevata da ENTSORGA in caso di accoglimento della domanda di ECO DECO, in quanto acquirente di “buona fede” della tecnologia HEBIOT v. pag. 21 comparsa di risposta . L’articolo 2055 c.comma “responsabilità solidale” stabilisce che se il fatto è imputabile a più persone tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno, ma nei rapporti interni tra condebitori solidali il diritto di regresso è commisurato alla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Negli stessi limiti può essere esercitata l’azione di manleva quando essa, come nel caso in esame, si fonda non su un’obbligo di garanzia contrattualmente assunto, ma sulla asserita esistenza di colpa esclusivamente in capo al contraffattore, ossia ENTSORGA ITALIA che pertanto dovrebbe in definitiva sopportare tutte le conseguenze che derivano dalla commercializzazione di tecnologia brevettata. Come osservato in precedenza l’assunto di ECO CALL di essere totalmente esente da colpa è risultato privo di fondamento, tenuto conto sia del fatto che l’illecito è consistito nell’acquisto di tecnologia oggetto di una privativa soggetta a pubblicità e quindi da chiunque conoscibile sia delle concrete modalità con cui l’acquisto di tale tecnologia è avvenuto. E’ stato osservato che l’acquisto operato da ECO CALL, per la sua rilevanza economica e per le elevate conoscenze tecniche che esso implica, non può essere ritenuto di “buona fede” ossia in uno stato di ignoranza della consapevolezza di ledere l’altrui diritto. Neppure però si può ritenere che il comportamento di ECO CALL e di ENTSORGA ITALIA abbiano avuto lo stesso livello di gravità, dato che la presunzione di colpa che deriva dalla conoscibilità del brevetto è necessariamente più forte a carico di chi come ENTSORGA si inserisce con la sua attività produttiva nello stesso settore tecnologico in cui opera il titolare della privativa. Si ritiene pertanto equo e aderente alle concrete modalità dei fatti oggetto del presente processo, suddividere la concorrente responsabilità, per quanto rileva ai fini di quanto previsto dall’articolo 2055 secondo comma c.comma e del diritto di ECO CALL di essere manlevata dal rivenditore di HEBIOT, nella misura del 90% a carico di ENTSORGA e del 10% a carico della acquirente. Pertanto ENTSORGA ITALIA dovrà tenere indenne ECO CALL in misura del 90% di quanto quest’ultima sarà tenuta a sborsare a ECO DECO in conseguenza della presente sentenza per capitale, interessi e spese. La domanda di concorrenza sleale. Come accennato in parte narrativa ECO DECO ha chiesto, nei soli confronti di ENTSORGA ITALIA, accertarsi il compimento di atti di concorrenza sleale, consistiti nell’avere a suo tempo offerto al pubblico e reclamizzato la procedura di trattamento biologico dei rifiuti denominata H.E.B.I.O.T. attraverso la diffusione di una brochure avente le caratteristiche di cui al doc.8 di p. attrice, oltre che sul suo sito internet come da docomma 9 di p. attrice . In particolare lamenta l’attrice che la brochure ha come allegato alla pag. 19 un disegno tecnico dal titolo “impianto HEBIOT per compostaggio” che riproduce il disegno “originale” contenuto nella tavola 2 del novembre 2002 di ECO DECO per FERTILVITA s.r.l. inerente la realizzazione di un centro integrato per il trattamento e la valorizzazione di R.S.U., R.S.A. e frazioni derivanti dalla raccolta differenziata” v. docomma 11 di parte attrice . Lo stesso disegno era stato, inoltre, pubblicato da ENSORGA anche sul suo internet. Quest’ultima circostanza, come risulta dalla comparsa conclusionale ENTSORGA v. pag. 6 è pacifica, avendo la convenuta confermato la pubblicazione che, secondo la sua difesa, era avvenuta in assenza di colpa, dato che il disegno proveniva da un suo fornitore la Lindez Recycling nel mese di novembre 2001. Esso era stato rimosso subito dopo la notifica del ricorso per descrizione. Tale comportamento integra evidentemente atto di concorrenza sleale, ex articolo 2598, n.3 c.comma in quanto così facendo ENTOSRGA ITALIA s.r.l. ha rivendicato la titolarità della soluzione impiantistica per H.E.B.I.O.T. pur non essendo l’autrice del disegno di cui si è detto. Si tratta infatti di comportamento con il quale il concorrente si appropria indebitamente dei “pregi” dell’altrui attività, visto che in tal modo l’imprenditore “in forme pubblicitarie od equivalenti, attribuisce ai propri prodotti o alla propria impresa pregi . appartenti all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori” v. Cass. Sez. I, 10 novembre 1994, n.9387 Trib. Torino. Sez. IX, 11 marzo 2010 in tema di riproduzione fotografica e pubblicizzazione di impianti . Come stabilito dall’articolo 2600 ultimo comma c.p.comma “accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume”. ENTSORGA, per superare tale presunzione, ha affermato che nel 2001, allorché aveva pubblicato il disegno in questione, ignorava totalmente che si trattasse di un disegno di ECO DECO, avendolo ricevuto da terzi. La questione della provenienza del disegno appare in questo caso inidonea ad escludere la sussistenza dell’elemento della colpa. Si tratta infatti di disegno che è stato utilizzato per descrivere la propria tecnologia H.E.B.I.O.T. e quindi la sua pubblicazione nella consapevolezza che si trattava di tavola non proveniente dalla stessa ENTSORGA costituisce di per sé prova del suo comportamento colposo, per non avere accertato quale fosse la sua reale provenienza. Deve quindi essere inibito l’ulteriore compimento da parte della convenuta di atti di concorrenza sleale consistenti nella appropriazione di caratteristiche tecniche della tecnologia brevettata da ECO DECO e, in particolare, nella pubblicazione di disegni tecnici ad essa inerenti. Non può tuttavia essere accolta la domanda di ECO DECO di ottenere il risarcimento del danno in conseguenza di tali atti. Il danno da concorrenza sleale non è, infatti, “in re ipsa” trattandosi di conseguenza ulteriore e diversa rispetto alla distorsione delle ordinarie regole della concorrenza che deve essere allegata e provata secondo le ordinarie regole in materia di risarcimento da fatto illecito v. motivazione di Cass. Sez. I, 26 marzo 2009, n.7306 . Sul punto l’attrice ha allegato che tale comportamento avrebbe comportato una errata informazione al pubblico secondo cui ECO DECO non avrebbe l’esclusiva sul brevetto di cui si è detto avrebbe facilitato o determinato contatti tra ENTSORGA e altri potenziali clienti ECO DDECO e avrebbe infine arrecato un danno all’immagine commerciale di ECO DECO. Si deve però rilevare che, anche dando per accertato che questi siano stati, in definitiva, gli effetti prodotti dal comportamento anticoncorrenziale di ENTSORGA, deve però escludersi che si possa configurare, in via autonoma, una voce di danno diversa da quella costituita dal lucro cessante per mancato conseguimento della commessa di ECO CALL in relazione all’impianto di VAZZANO. Non risulta infatti neppure allegato che ECO DECO abbia, in conseguenza delle vicende oggetto della presente controversia, ridotto le proprie royalty, ovvero perso altro occasioni contrattuali ovvero investito risorse ulteriori rispetto a quelle ordinariamente programmate per correggere, anche attraverso adeguata comunicazione pubblicitaria, gli effetti negativi che possono essere scaturiti dalle pubblicazioni di cui si è detto. Le spese Le spese, secondo le regole generali cui non vi sono motivi per derogare, seguono la soccombenza. Per la loro liquidazione si deve rilevare che l’articolo 9 D.l. 24 gennaio 2012, n.1, entrato in vigore lo stesso giorno, ha disposto l’abrogazione delle tariffe professionali e previsto che nel caso in cui un organo giurisdizionale proceda a liquidare il compenso di un professionista, debba fare riferimento ai parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante. Tale decreto non è stato ancora adottato e pertanto appare equo, in sede di liquidazione, continuare a utilizzare come parametro di valutazione la tariffa professionale anche se ormai abrogata che, per in quanto sistematicamente applicata per lungo tempo, costituisce un indice oggettivo e adeguato per valutare e valorizzare le prestazioni di avvocato svolte nel presente procedimento. Ciò premesso le parti convenute devono essere condannate a rimborsare alla parte attrice le spese di lite che si liquidano in €9.450, oltre a IVA e CPA come per legge e successive occorrende. In considerazione della parziale reciproca soccombenza ricorrono giusti motivi per dichiarare compensate le spese di lite tra ENTSORGA ITALIA e ECO CALL in misura del 50%. Il restante 50% di tali spese, liquidato in €16.147,28 oltre a IVA e CPA e successive occorrende dovrà essere rimborsato da ENTSORGA ITALIA a ECO CALL. Le spese di CTU come liquidate al dr. RANALLI con decreto in data 7 aprile 2010 devono, infine, essere poste definitivamente a carico delle parti soccombenti in ragione del 50% ciascuna. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione respinte 1 accerta il compimento da parte di ENTSORGA ITALIA s.r.l. di atti di concorrenza sleale a danno di ECO DECO s.p.a. e per l’effetto 2 inibisce alla convenuta l’ulteriore pubblicizzazione delle caratteristiche tecniche del procedimento oggetto del brevetto EP 706839 e in particolare del disegno tecnico prodotto dalla parte attrice documenti 10 e 11 3 condanna ENTSORGA ITALIA s.r.l. e ECO CALL s.p.a. in solido tra loro al risarcimento dei danni da contraffazione brevettuale con il pagamento in favore di ECODECO s.r.l. della somma di €1.530.597,04 con gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo 4 condanna ENTSORGA ITALIA s.r.l. a manlevare ECO CALL s.p.a. in misura del 90% da tutto quanto la stessa sia tenuta a versare a ECO DECO s.r.l. in base al punto 3 del dispositivo della presente sentenza, per capitale, interessi e spese 5 condanna ENTSORGA ITALIA s.r.l. e ECO CALL s p.a. in solido a rimborsare a ECO DECO s.r.l. le spese di lite che si liquidano in €9.010, oltre a IVA e CPA come per legge e successive occorrende 6 condanna ENTSORGA ITALIA s.r.l. a rimborsare a ECO CALL s.p.a. le spese di lite in misura di €13.952,75 di cui €8,5 per spese esenti , oltre a IVA e CPA e successive occorrende 7 pone definitivamente a carico delle convenute, in ragione del 50% ciascuna, le spese di CTU come liquidate con decreto del 7 aprile 2010.