A piedi a lavoro? Troppo stancante, meglio la moto. Ma senza copertura per l’infortunio

Legittima la scelta del dipendente di utilizzare il mezzo privato per compiere il tragitto casa-lavoro. Ma, anche alla luce della distanza, di appena due chilometri, percorribile a piedi, è da negare la copertura assicurativa in caso di incidente subìto andando in azienda.

Duemila metri ecco la distanza che separa casa e lavoro. Due chilometri da percorrere, per giunta, di mattina presto, per arrivare puntuali alle 7 in azienda. E a complicare la situazione anche un sistema di trasporto pubblico che, almeno a livello di orari, lascia a desiderare Così si spiega la scelta del dipendente di utilizzare la propria moto per ‘coprire’ i fatidici due chilometri. Scelta legittima sì, ma che ha alcuni strascichi poco piacevoli Cassazione, sentenza numero 6725, sezione Lavoro, depositata oggi . Imprevisto. Mattinata assolutamente sfortunata per un lavoratore, che, recandosi a lavoro col proprio motociclo, è vittima di un incidente, causato da «una autoveicolo che aveva cambiato bruscamente direzione di marcia, senza effettuare alcuna segnalazione». Ripercussioni fisiche negative evidenti, per l’uomo, che, però, punta a vedersi ‘coperto’ dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Ma tale prospettiva viene smentita, non solo dall’Istituto ma anche dai giudici. Chiara la linea di pensiero, emersa sia in Tribunale che in Corte d’Appello «la scelta di usare il mezzo privato» non era «necessitata», soprattutto tenendo conto del tragitto, ossia appena due chilometri da percorrere da casa a lavoro. Indennizzo? Ritenti Ma, ad avviso dell’uomo, è completamente erronea l’ottica adottata dai giudici rispetto alla «indennizzabilità dell’infortunio in itinere subito dal lavoratore nel percorrere, con mezzo proprio, la distanza fra la propria abitazione ed il luogo di lavoro». Per una ragione semplicissima obiettivo, per il lavoratore, è «raggiungere in maniera riposata e distesa i luoghi di lavoro, in modo da assicurare un più profondo apporto alla organizzazione produttiva». E, in questo caso, l’ipotesi di percorrere due chilometri «a piedi» avrebbe comportato «un affaticamento» destinato a ripercuotersi, sottolinea l’uomo, «sull’attività lavorativa». Senza dimenticare, poi, i problemi legati all’utilizzo del trasporto pubblico e il fatto che come dipendente egli «era rimborsato per l’uso del motoveicolo proprio durante l’orario di lavoro, a chilometraggio, dal datore di lavoro». Queste osservazioni critiche, però, non vengono ritenute fondate dai giudici della Cassazione, i quali ricordano che il nodo gordiano, in merito alla «copertura assicurativa» per l’«infortunio in itinere», è costituito dal cosiddetto «rischio elettivo», ossia il «comportamento del lavoratore, che lo ha determinato». Ebbene, considerando acclarato che «l’infortunio si è verificato» lungo la strada che collega abitazione e lavoro, è altrettanto evidente che «il tragitto era percorribile a piedi», evidenziano i giudici, oppure «utilizzando un mezzo di trasporto pubblico», senza necessità quindi di dover ricorrere all’impiego del proprio veicolo privato. Di conseguenza, la scelta compiuta dal lavoratore è stata fondata su ragioni «legittime» ma che «non assumono uno spessore sociale tale da giustificare un intervento di carattere solidaristico a carico della collettività». Per questo, è assolutamente legittima la decisione dell’Inail di negare la «copertura assicurativa».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 29 gennaio - 18 marzo 2013, numero 6725 Presidente De Renzis – Relatore Tricomi Svolgimento del fatto 1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza numero 6749/08, depositata il 19 dicembre 2008, rigettava l’impugnazione proposta da A.C. nei confronti dell’INAIL, in ordine alla sentenza emessa dal Tribunale di Torre Annunziata il 27 ottobre/24 novembre del 2005. 2. L’A. che aveva adito il Tribunale, premettendo di essere dipendente delle Terme di Stabia, esponeva quanto segue. In data 15 settembre 1997, nel percorrere il Corso Garibaldi, in Castellammare di Stabia, a bordo del proprio motoveicolo, al fine di raggiungere il posto di lavoro, aveva subito, seguendo l’abituale percorso, un incidente con un autoveicolo che aveva cambiato bruscamente direzione di marcia senza effettuare alcuna segnalazione. In conseguenza di tale evento aveva riportato lesioni plurime a carico dell’arto inferiore sinistro, fratture scomposte e lesioni tendinee, con necessìtà di fissatori. Affermava di aver avuto necessità di utilizzare il mezzo privato per poter raggiungere in tempo, entro le ore 7,00, il posto di lavoro, distante circa 2 Km dalla propria abitazione, in assenza di altri mezzi idonei di collegamento, essendo prevista la prima corsa dell’autobus di linea alle ore 7,20 e che, anche durante l’orario di lavoro, utilizzava il proprio motoveicolo per conto dell’azienda che lo rimborsava secondo chilometraggio effettuato. Inutilmente aveva chiesto la costituzione in via amministrativa di una rendita da infortunio, pertanto, aveva convenuto in giudizio l’INAIL chiedendo la condanna dello stesso al pagamento dell’indennità dovuta per legge, oltre accessori. 3. Il Tribunale aveva rigettato la domanda. 4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello, ricorre l’A. prospettando un motivo di ricorso. 5. Resiste con controricorso l’INAIL, che ha depositato memoria in prossimità dell’udienza. Motivi della decisione Con l’unico motivo di ricorso, l’A. deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2 del T.U. numero 1124 del 1965 e dell’articolo 41 c.p. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione articolo 360, numero 3 e numero 5, cpc . Espone il ricorrente che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ai sensi dell’articolo 2 D.P.R. numero 1124 del 1965, l’indennizzabilità dell’infortunio “in itinere”, subito dal lavoratore nel percorrere, con mezzo proprio, la distanza fra la propria abitazione ed il luogo di lavoro, postula a la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l’evento, nel senso che tale percorso costituisca per l’infortunato quello normale per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione b la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito ed attività lavorativa, nel senso che il primo non sia dal lavoratore percorso per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda c la necessità dell’uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, considerati i suoi orari di lavoro e quelli dei pubblici servizi di trasporto. La Corte d’Appello aveva ritenuto l’insussistenza del temo requisito ed aveva affermato che la scelta del ricorrente di usare il mezzo privato non fosse necessitata. Tuttavia, il giudice di secondo grado, nel valutare se il comportamento del lavoratore fosse giustificato da un’esigenza funzionale alla prestazione lavorativa e se sussistesse “rischio elettivo”, avrebbe dovuto fare riferimento al criterio della ragionevolezza e non a quello dell’imposizione, tenuto conto altresì, dell’esigenza di raggiungere in maniera più riposata e distesa i luoghi di lavoro, in modo da assicurare un più profondo apporto alla organizzazione produttiva nel quale il lavoratore è inserito. La Corte d’Appello riteneva che, in ragione del tragitto, la scelta dell’uso privato non fosse necessitata, con ciò non tenendo conto che la percorrenza di due Km a piedi che richiede almeno 30 minuti comporta un affaticamento che si ripercuote dannosamente sull’attività lavorativa. Tanto, senza considerare che la legittimità dell’uso del mezzo proprio andava individuata in relazione ad un criterio di normalità-razionalità che teneva conto degli standards comportamentali esistenti nella società civile rispondenti a valori guida dell’ordinamento, quali un più intenso legame con la comunità familiare ed un rapporto con l’attività lavorativa e con quanto vi è connesso, diretto ad una maggiore efficienza delle prestazioni lavorative. Inoltre, vizio di motivazione era ravvisabile, nella verifica circa la specificità dell’attività lavorativa quale elemento determinante l’uso del mezzo privato. Infine, rileva il ricorrente, il giudice del merito avrebbe dovuto ammettere la prova testimoniale articolata nel ricorso introduttivo del giudizio vertente sulla circostanza che la prima corsa di autobus partiva alle h. 7.00, e sulla circostanza che il ricorrente era rimborsato per l’uso del motoveicolo proprio durante l’orario di lavoro, a kilometraggio, dal datore di lavoro . 2. Il motivo non è fondato e deve esser rigettato. Occorre premettere che, come questa Corte ha più volte affermato ex multis, Cass. numero 6288 del 2011 , il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex articolo 360, numero 5, cpc, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Tanto premesso, questa Corte Cass., numero 16282 del 2005, numero 19496 del 2009, numero 2624 del 2012 ha già affermato - e qui ribadisce - che il “rischio elusivo” configurato come l’unico limite alla copertura assicurativa di qualsiasi infortunio, in quanto ne esclude l’essenziale requisito della “occasione di lavoro”, assume, con riferimento all’“infortunio in itinere”, una nozione più ampia, rispetto all’infortunio che si verifichi nel corso della attività lavorativa vera e propria, in quanto comprende comportamenti del lavoratore infortunato di per sé non abnormi, secondo il comune sentire, ma semplicemente contrari a norme di legge o di comune prudenza. La sentenza impugnata non si discosta dal principio di diritto enunciato, laddove nega la copertura assicurativa al dedotto infortunio incontrovertibilmente in itinere - in dipendenza della configurazione, come rischio elettivo appunto, del comportamento del lavoratore che lo ha determinato - all’esito di accertamento di fatto che, peraltro, risulta incensurabile, sotto il profilo del vizio di motivazione articolo 360 cpc, numero 5 . Invero, la denuncia di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione ai sensi dell’articolo 360 cpc, numero 5 - vizio nel quale si traduce anche la mancata ammissione di un mezzo istruttorio cfr., Cass. numero 9290 del 2004 , nonché l’omessa od erronea valutazione di alcune risultanze probatorie cfr. Cass. numero 3004 del 2004, numero 3284/2003 - non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio. Un siffatto riesame, come si è detto, non è tuttavia consentito in questa sede di legittimità, posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà dì controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti con la conseguenza che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. L’accertamento di fatto della sentenza impugnata non è inficiato da vizio di motivazione. Non è controverso che il dedotto infortunio si è verificato mentre l’attuale ricorrente percorreva la strada che conduce dalla propria abitazione alle Terme di Stabia. Anche a volere ammettere che lo stesso ricorrente avesse la necessità di utilizzare il mezzo proprio per l’assenza di soluzioni alternative al detto uso, la decisione impugnata risulta, tuttavia, adeguatamente sorretta dal concorrente accertamento che, in ogni caso, il tragitto era percorribile a piedi ovvero utilizzando un mezzo di trasporto pubblico. Infatti, alla luce del principio di diritto enunciato, tanto basta - per configurare, nella dedotta fattispecie, il “rischio elettivo” - e per rigettare, di conseguenza, il ricorso. In tema di infortunio “in itinere”, il requisito della “occasione di lavoro” implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio, indipendentemente dal grado maggiore o minore di questo, assumendo il lavoro il ruolo di fattore occasionale del rischio stesso ed essendo il limite della copertura assicurativa costituito esclusivamente dal “rischio elettivo”, intendendosi per tale quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attività lavorativa, ponendo casi in essere una causa interattiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento. La valutazione dell’inerenza del rischio all’attività lavorativa ed alle sue modalità costituisce un apprezzamento di fatto di competenza del giudice del merito che, nella specie, con motivazione coerente ai principi di diritto enunciata e priva di salti logici, è pervenuto alla conclusione che il lavoratore non avesse diritto a copertura assicurativa, essendo stata la scelta del mezzo personale dettata da ragioni che, seppure legittime, non assumono uno spessore sociale tale da giustificare un intervento di carattere solidaristico a carico della collettività. La Corte d’Appello rilevava, in particolare, come il prospetto degli orari degli autobus di linea esibito in prime cure non consentiva di appurare le circostanze dedotte relativamente all’impossibilità di fare uso degli stessi per raggiungere il posto di lavoro per l’inizio del turno lavorativo, sicché, non essendo contestato che il tragitto fosse di due Km, non poteva ritenersi che la scelta di fare uso del mezzo privato fosse necessitata. La Corte d’Appello rilevava, altresì, che mancava la prova documentale relativa alla circostanza dell’abituale rimborso delle spese da parte dell’azienda per il kilometraggio effettuato nell’interesse della stessa durante l’orario. Tali circostanze, come accertate dal giudice di merito, non hanno costituito, peraltro, nel prospettare le odierne censure, oggetto di circostanziata doglianza con riferimento ad elementi probatori di riscontro. Va, altresì, rilevato che la Corte d’Appello deduceva la genericità dei capi di prova, articolati anche in relazione a profili valutativi non di competenza dei testi, anche in ragione della mancanza di ogni principio di prova in qualche modo favorevole all’appellante. Circa l’applicabilità dei principi richiamati dal ricorrente in relazione alla necessità di avere riguardo agli standars comportamentali esistenti nella società civile rispondenti a valori guida dell’ordinamento, individuati in un più intenso legame con la comunità familiare ed in un rapporto con l’attività lavorativa diretto ad una maggiore efficienza delle prestazioni di lavoro con una riduzione del conflitto tra le stesse ed il tempo libero, occorre rilevare che con accertamento di merito che si sottrae ai denunciati vizi per coerenza e congruità, la Corte d’Appello rilevava come non fosse stata articolata prova idonea a consentire di vagliare la preminenza di esigenze che, nei limiti di ragionevolezza, concorressero con le altre finalità con le stesse contrastanti, di raggiungimento del luogo di lavoro con mezzi di trasporto pubblico, quali particolari esigenze dietetiche o di ricongiunzione con il nucleo familiare in connessione con la congruità del tempo utilizzabile per detta finalità che non ne vanificasse, per la sua esiguità, il perseguimento in concreto. 3. Il ricorso deve esser rigettato. 4. Nulla spese, ratione temporis, atteso che le modifiche apportate dall’articolo 42, comma 11, d.l. numero 269 del 2003, convertito in l. numero 326 del 2003, alla disciplina delle spese nelle controversie previdenziali articolo 152 disp. att. cod. proc. civ,, nel testo originario risultante dalla sentenza della Corte costituzionale numero 114 del 1994 non sono applicabili ai giudizi di merito e a quello di cassazione introdotti anteriormente al 2 ottobre 2003 data di entrata in vigore del predetto decreto legge . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.