La parte, anche se deceduta, può essere considerata ancora in vita nell’ambito del processo. Questo in applicazione del principio di ultrattività del mandato alle liti che è stato ripreso nella sentenza in commento per legittimare l’impugnazione per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento promossa dal difensore della parte defunta in favore degli eredi.
Sul tema la Cassazione con ordinanza numero 21190/18 depositata il 27 agosto. Il fatto. La Corte d’Appello di Bari ha accolto parzialmente il gravame proposto dall’interessata avverso la sentenza di prime cure che, nel riconoscerle il diritto all’indennità di accompagnamento sin dalla data di presentazione della domanda amministrativa aveva condannato l’INPS al pagamento delle spese di lite in favore del procuratore. La Corte territoriale aveva accolto il motivo di gravame relativo alla liquidazione delle spese «in ragione della necessità di fare applicazione dello scaglione tariffario corrispondente alla moltiplicazione per dieci annualità dell’importo della pensione oggetto di domanda ai sensi dell’articolo 13, comma 2, c.p.c.». Contro tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione nei confronti degli eredi dell’interessata deceduta nel 2009. Con il primo motivo il ricorrente lamenta che visto l’evento del decesso della parte avvenuto durante il giudizio di primo grado, al momento del giudizio di appello il mandato reso in favore dell’avvocato era estinto con conseguente nullità della sentenza. Parte deceduta, ma ancora in vita nell’ambito del processo. Secondo la Cassazione la doglianza è infondata. Infatti, ricordano gli Ermellini, le Sezioni Unite Civili SS.UU. numero 15295/14 hanno affermato che «in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato». In questo modo si stabilizza la posizione giuridica della parte rappresentata in tutte le fasi del rapporto processuale. Tanto premesso, precisano le Sezioni Unite, tale posizione può essere modificata se nella fase di impugnazione «si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex articolo 300, comma 4, c.p.c.». In applicazione di tale principio il procuratore, originariamente munito di procura alle liti valida per tutti i gradi di processo, è stato legittimato a proporre impugnazione in rappresentanza della parte che anche se deceduta va considerata nell’ambito processuale ancora in vita. Quindi nella fattispecie in esame, secondo il Supremo Collegio, deve ritenersi valido il ricorso in appello proposto in favore della parte deceduta. Liquidazione delle spese. Infine la Corte ha analizzato il secondo motivo di ricorso con il quale il ricorrente contesta l’applicazione del criterio di individuazione del valore della causa ai fini della liquidazione delle spese in caso di giudizi relativi a prestazioni alimentari e a rendite. Secondo la Cassazione tale doglianza è fondata ed, in conclusione, i Giudici di legittimità hanno indicato il corretto scaglione tariffario da applicarsi al caso di specie, al quale dovrà attenersi il giudice del rinvio.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 19 aprile – 27 agosto 2018, numero 21190 Presidente D’Antonio – Relatore Calafiore Fatto e diritto Rilevato che Con sentenza numero 7744 del 2011, la Corte d’appello di Bari ha accolto in parte l’appello proposto da S.T. avverso la sentenza di primo grado che, nel riconoscerle il diritto all’indennità di accompagnamento sin dalla data ai presentazione della domanda amministrativa, aveva condannato l’INPS al pagamento delle spese di lite liquidate in Euro 800,00 in favore del procuratore antistatario in particolare, la Corte territoriale ha rigettato il capo dell’impugnazione volto ad ottenere la riforma della sentenza impugnata relativamente alla condanna dell’Inps agli interessi anatocistici, accogliendo l’ulteriore motivo relativo alla liquidazione delle spese, liquidate in complessivi Euro 1224,00, in ragione della necessità di fare applicazione dello scaglione tariffario corrispondente alla moltiplicazione per dieci annualità dell’importo della pensione oggetto di domanda ai sensi dell’articolo 13, secondo comma, cod. proc. civ. avverso tale sentenza, ricorre in cassazione, con due motivi, l’INPS nei confronti degli eredi di S.T. , deceduta sin dal omissis , senza che di ciò fosse stata data comunicazione durante il processo tali eredi sono rimasti intimati Considerato che il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1722 numero 4 cod. civ., nonché degli articolo 75, 83, 84, 116 e 300 cod. proc. civ., dal momento che la parte ricorrente era morta durante il giudizio di primo grado per cui, al momento della proposizione dell’appello, il mandato reso in favore dell’avvocato Oscar Lojodice era estinto con conseguente nullità della sentenza il secondo motivo ha per oggetto la violazione e o falsa applicazione dell’articolo 13, comma 2, cod. proc. civ., dell’articolo 6, comma 1, delle tariffe forensi approvate con D.M. numero 127 del 2004, in relazione all’articolo 360, primo comma, numero 3 cod.proc.civ., in ragione del fatto che il valore della controversia - al fine dell’individuazione dello scaglione tariffario applicabile alla fattispecie-doveva calcolarsi nei limiti degli importi riconosciuti e cioè di una annualità e sei mensilità dell’indennità di accompagnamento e non nella misura ritenuta dalla sentenza impugnata di dodici mensilità moltiplicate per dieci annualità, come ritenuto da numerose sentenze di questa Corte che avevano ritenuto applicabile l’articolo 13, comma secondo, cod. proc. civ. nei limiti delle somme effettivamente dovute il primo motivo e infondato, posto che le sezioni unite ai questa morte, con la sentenza numero 15295 del 4 luglio 2014 seguita da ultimo da Cass. numero 8953 del 2018 , hanno affermato che “in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata rispetto alle altre parti ed al giudice nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione” tale posizione - hanno osservato le Sezioni Unite - è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex articolo 300, quarto comma, cod. proc. civ. dal principio di diritto, le Sezioni Unite hanno fatto derivare la legittimazione del procuratore, originariamente munito di procura alle liti valida anche per gli ulteriori gradi del processo, a proporre impugnazione ad eccezione del ricorso per cassazione, per la proposizione del quale è richiesta la procura speciale in rappresentanza della parte che, pur deceduta o divenuta incapace, va considerata nell’ambito del processo ancora in vita e capace il richiamato principio della ultrattività del mandato di difesa nell’ambito del processo di cognizione consente, nel caso di specie, di ritenere valido il ricorso in appello proposto in favore della parte deceduta, non essendo, inoltre, stato riprodotto il testo della procura e dovendosi ritenere insussistenti limiti alla validità nel grado di appello della procura stessa a fronte dell’accoglimento del ricorso da parte della Corte di appello il secondo motivo è, invece, fondato laddove si contesta l’applicazione del criterio di individuazione del valore della causa ai fini della liquidazione delle spese, non essendosi la sentenza impugnata attenuta ai principio espresso da questa Corte con la sentenza a SS.UU. numero 10454 del 2015 seguita da numero 18962 del 2015 , secondo la quale, le prestazioni di assistenza sociale hanno natura alimentare, in quanto fondate esclusivamente sullo stato di bisogno del beneficiario, a differenza delle prestazioni previdenziali, che presuppongono un rapporto assicurativo e hanno più ampia funzione di tutela. Pertanto, nelle controversie relative a prestazioni assistenziali, il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese di giudizio si stabilisce con il criterio previsto dall’articolo 13, primo comma, cod. proc. civ. per le cause relative alle prestazioni alimentari, sicché, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni dunque, il criterio per determinare il valore della causa quanto ai giudizi relativi a prestazioni alimentari e a rendite, come chiarito da questa Corte con le citate sentenze, è distintamente previsto dall’articolo 13 cod. proc. civ., rispettivamente al primo e al secondo comma nel primo comma si prevede che nelle cause per le prestazioni alimentari periodiche se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni il secondo comma prevede che nelle cause relative a rendite perpetue, se il titolo è controverso, il valore si determina cumulando venti annualità nelle cause relative a rendite temporanee o vitalizie, cumulando le annualità domandate fino a un massimo di dieci nel caso di specie, a prescindere dalla limitazione dei ratei concretamente pretesi in ragione dell’avvenuto decesso della parte ricorrente, è evidente che, in applicazione del principio ora riferito, il valore della controversia va individuato nel valore corrispondente a due annualità dell’importo mensile di Euro 472, considerato dalla sentenza impugnata, e cioè in Euro 11.328 con conseguente assoggettamento della controversia al corrispondente valore tariffario ex D.M. numero 127 del 2004, relativo allo scaglione che va da Euro 5.200,01 ad Euro 25.900, come richiesto dall’Istituto ricorrente la sentenza va, dunque, cassata in relazione al secondo motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà a liquidare le spese del primo grado ai giudizio in applicazione dello scaglione tariffario sopra indicato, oltre che alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.