La possibilità, per il marito, di accedere al conto corrente online intestato alla coniuge e di porre in essere operazioni viene meno qualora la stessa abbia revocato al consorte la delega per le suddette operazioni, con la conseguenza che tale attività, se posta in essere, configura il delitto di cui all’articolo 615-ter c.p. Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico .
Così la Corte di Cassazione con sentenza numero 14627/18, depositata il 30 marzo. Il caso. La Corte d’Appello di Cagliari, in conferma della sentenza emessa dal Tribunale della medesima città, condannava l’imputato per accesso abusivo al sistema informatico dell’istituto di credito presso cui la moglie era titolare di un conto corrente. I Giudici di merito rilevavano la sussistenza del reato di cui all’articolo 615-ter c.p. Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico in considerazione della stampa degli estratti conti effettuata dall’imputato, ai fini della relativa allegazione nella causa civile di separazione, nonostante l’avvenuta revoca di delega alle operazioni online relative al conto corrente della moglie. Avverso la pronuncia della Corte distrettuale l’imputato ricorre per cassazione denunciando come egli avesse posto in essere l’attività contestata utilizzando i codici per accedere al conto corrente senza incorrere in restrizione alcuna da parte dell’istituto di credito. Il ricorrente, inoltre, invoca la causa di giustificazione ex articolo 51 c.p L’accesso abusivo e la causa di giustificazione. Il Supremo Collegio sottolinea come le contestazioni mosse al ricorrente si riferiscono non già al conto corrente cointestato bensì a quello di cui era titolare la sola moglie, risultando «pacifica la circostanza che vede priva sia della sottoscrizione della moglie che del timbro della banca la copia di una presunta autorizzazione rilasciata all’imputato con riguardo al suddetto conto personale della donna». Ciò posto, la Suprema Corte evidenzia come la causa di giustificazione ex articolo 51 c.p. «non può operare sino a consentire intromissioni indebite nella sfera di riservatezza di una controparte processuale la condotta di cui si adduce l’irrilevanza penale, per essere scriminata, deve pur sempre costituire una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto che si pretende aver esercitato». La Corte pertanto dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 dicembre 2017 – 30 marzo 2018, numero 14627 Presidente Fumo – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il difensore di D.C. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma di una precedente sentenza di condanna dello stesso imputato, emessa dal Tribunale di Cagliari, in ordine al delitto di cui all’articolo 615-ter, comma 1, cod. penumero secondo l’ipotesi accusatoria, il D. avrebbe realizzato un accesso abusivo al sistema informatico della Banca di Credito Sardo, consultando i dati relativi ad un conto intestato alla moglie C.A. e per il quale gli era stata revocata la delega ad operare on line quindi, dopo averne preso visione, aveva stampato i relativi estratti conto fino alla data del omissis , che in seguito aveva prodotto nella causa civile di separazione . La difesa del ricorrente deduce carenze motivazionali della sentenza impugnata, segnalando che dalla documentazione versata in atti emerge la sua perdurante autorizzazione ad accedere non solo al sistema informatico dell’istituto di credito, ma anche all’area riservata afferente il conto della C. . Ergo, anche la chiavetta genera codici , che gli era stata consegnata all’atto della sottoscrizione del contratto di conto corrente, doveva considerarsi da lui lecitamente detenuta ed utilizzabile. Nell’interesse del D. si lamenta altresì la violazione dell’articolo 51 cod. penumero , giacché la condotta avrebbe dovuto intendersi funzionale all’esercizio delle facoltà difensive nell’ambito del procedimento di separazione giudiziale. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, per genericità e manifesta infondatezza delle ragioni di doglianza. Quanto al primo motivo, il ricorrente insiste nel prospettare la tesi di una sua ancora effettiva possibilità di legittimo accesso via web al conto corrente della coniuge, senza confrontarsi in alcun modo con la diffusa analisi dedicata dalla Corte territoriale alla documentazione prodotta analisi da cui si evince che di conti ve ne erano due, uno al quale si riferiva, fra l’altro, l’unica chiavetta genera codici di cui vi è traccia in atti intestato ad entrambi i coniugi e l’altro di cui era titolare la sola C. . Ed è a questo secondo conto corrente che si riferisce il capo d’imputazione, con tanto di espresso richiamo al numero omissis , del tutto diverso da quello - omissis , relativo al conto cointestato - risultante dai documenti di cui la difesa sostiene l’omessa disamina . Altrettanto pacifica è la circostanza v. pag. 11 della motivazione della sentenza impugnata che vede priva sia della sottoscrizione della C. che del timbro della banca la copia di una presunta autorizzazione rilasciata all’imputato con riguardo al suddetto conto personale della donna. Con riguardo alla tesi della presunta ravvisabilità della causa di giustificazione ex articolo 51 cod. penumero , parimenti già confutata dai giudici di merito, deve osservarsi che la norma in parola non può operare sino a consentire - a chi invochi una pur lata estensione del diritto di difesa - intromissioni indebite nella sfera di riservatezza di una controparte processuale la condotta di cui si adduce l’irrilevanza penale, per essere scriminata, deve pur sempre costituire una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto che si pretende aver esercitato v. Cass., Sez. VI, numero 14540 del 02/12/2010, Pafadnam, nonché Cass., Sez. V, numero 52075 del 29/10/2014, Lazzarinetti . 2. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. penumero , segue la condanna del D. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla sua volontà v. Corte Cost., sent. numero 186 del 13/06/2000 - a versare in favore della Cassa delle Ammende la somma di Euro 2.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti. Data la natura peculiare del reato in rubrica, commesso in ambito di rapporti familiari, la Corte - ai sensi dell’articolo 52 d.lgs. 30 giugno 2003, numero 196 ritiene doveroso disporre l’omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, dell’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti del processo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’articolo 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.