Imputato identificato grazie al DNA acquisito dopo una rapina all’estero: condannato

Non è inutilizzabile, in mancanza della violazione di un divieto di legge, l’accertamento sull’identità dell’indagato compiuto mediante ricorso ai dati relativi al DNA contenuti negli archivi informatici della Polizia giudiziaria.

Così ha statuito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 15577/21 depositata il 26 aprile. La Corte di Appello di Bologna confermava la sentenza di condanna emessa dal GIP del Tribunale di Piacenza nei confronti di un imputato accusato dei delitti di ricettazione di un’auto e di rapina, avvenuta a danno di un istituto di credito. Entrambi i Giudici del merito avevano confermato l’identificazione del rapinatore grazie alla corrispondenza tra il suo profilo genetico, acquisito nell’agosto del 2011 in occasione del suo arresto in Slovenia per un’altra rapina, e il profilo genetico ricavato dal RIS di Parma da un guanto rinvenuto all’ interno dell’auto utilizzata per allontanarsi dalla banca. Il difensore dell’imputato ricorre in Cassazione avverso la sentenza di condanna, lamentando l’illegittimità dell’aver ritenuto rilevante – quale termine di raffronto per il DNA, tratto da materiale biologico rinvenuto nell’auto – una trascrizione del codice genetico attribuitagli e detenuta dal Reparto investigativo dei Carabinieri. La difesa denuncia dunque l’inutilizzabilità di tale accertamento generico. La Suprema Corte, superando la doglianza mossa dal difensore del ricorrente evidenzia come il DNA prelevato dalla polizia slovena, sia riconducibile con certezza all’imputato poiché la sentenza di condanna comminata a seguito della rapina in Slovenia, non solo è passata in giudicato, ma è stata espressamente riconosciuta in Italia su richiesta dello stesso imputato. I Giudici inoltre, a ulteriore riprova della commissione del delitto da parte dell’imputato, sottolineano la mancanza nel procedimento sloveno delle relative contestazioni in ordine alla ritualità e la legittimità del prelievo e della conservazione del DNA. Viene dunque rimarcata dalla Suprema Corte la rilevanza della condotta posta in essere dall’imputato che smentirebbe le eccezioni sollevate dalla difesa. Il ricorrente non avrebbe inoltre indicato il divieto che sarebbe stato violato nel caso di specie e che avrebbe determinato l’inutilizzabilità della prova acquisita. A riguardo occorre precisare che l’inutilizzabilità si riferisce alle prove acquisite “in violazione dei divieti” stabiliti dalla legge, dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione e dei principi fondamentali delle fonti comunitarie, immediatamente cogenti. La Corte di Cassazione ricorda inoltre che la sanzione dell’inutilizzabilità delle prove non colpisce le prove che sono in sé legittime e che sono state solo irritualmente acquisite. Alla luce di tali principi, la Corte Suprema rigetta il ricorso.

Corte di cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 gennaio – 26 aprile 2021, numero 15577 Presidente Gallo – Relatore Pacilli Ritenuto in fatto Con sentenza del 22 novembre 2019 la Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa l’8 maggio 2018 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Piacenza, con cui R.E. è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i delitti di ricettazione di un’autovettura e di rapina, perpetrata il 28 marzo 2011 presso l’istituto di credito omissis , agenzia di omissis . Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto la violazione dell’articolo 191 c.p.p. e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta utilizzabilità dell’accertamento tecnico genetico, effettuato dal R.I.S. di Parma. Entrambi i giudici del merito sarebbero pervenuti all’identificazione dell’imputato in virtù della corrispondenza tra il suo profilo genetico, acquisito nell’agosto 2011, all’atto del suo arresto in Slovenia per un’altra rapina, e il profilo genetico estrapolato dal RIS di Parma da un guanto rinvenuto all’interno di un’autovettura, che sarebbe stata utilizzata dai rapinatori per allontanarsi dal luogo dell’evento. Il profilo genetico, utilizzato per la comparazione, sarebbe stato estrapolato a distanza di anni e sarebbe perciò inutilizzabile. La Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che l’eccezione non era stata tempestivamente sollevata ed avrebbe erroneamente considerato che la difesa aveva implicitamente ammesso la riconducibilità del guanto all’imputato, avendo questi ritenuto di non assoluta necessità qualsivoglia ulteriore accertamento sul D.N.A., poiché il rapinatore non utilizzava i guanti nella rapina. Secondo la Corte d’appello, la sentenza di riconoscimento della pronuncia slovena attesterebbe in via definitiva ed irrevocabile che il D.N.A., acquisito dalla polizia slovena e poi inserito negli archivi Interpol, è quello dell’appellante ma nel procedimento sloveno la colpevolezza del R. non fu supportata da alcuna indagine genetica. Il prelievo del D.N. A. fu effettuato dalla polizia all’atto dell’arresto e non si saprebbe come e quando il prelievo venne effettuato e come il campione venne conservato nel corso degli anni. L’unico riferimento, che sarebbe dato avere, è un modulo Interpol che, ricevuto dal RIS di Parma e mai acquisito agli atti, sarebbe rinvenibile nel fascicolo del Pubblico ministero. All’odierna udienza è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all’esito, questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti. Considerato in diritto 1. Il ricorso non merita accoglimento. La Corte d’appello ha evidenziato che il D.N.A., prelevato dalla polizia slovena nelle indagini concernenti la rapina di Portorose, appartiene con certezza all’imputato, poiché la sentenza di condanna, che ha attribuito tale rapina a R.E. cui fu appunto prelevato il D.N. A. , non solo è passata in giudicato ma è stata espressamente riconosciuta in Italia su richiesta dello stesso R. che, conseguentemente, sta scontando la relativa pena in Italia . La Corte territoriale ha rimarcato, inoltre, che non risultava che nel procedimento sloveno fossero state contestate la ritualità e la legittimità del prelievo e della conservazione del D.N.A. per di più, l’odierno ricorrente ha chiesto il riconoscimento della sentenza di condanna slovena evidentemente perché le prove assunte nel relativo procedimento erano state tutte ritualmente e legalmente effettuate, compresa l’acquisizione e la conservazione del suo D.N.A. e ciò spiega non solo l’inserimento di tale D.N.A. nella banca dati dell’Interpol ma anche la detenzione in Italia dell’imputato , per effetto della menzionata pronuncia di condanna. La Corte d’appello ha ritenuto, quindi, raggiunta la certezza che l’imputato si trovava sull’auto utilizzata di rapinatori, atteso che il D.N.A., prelevato dalla polizia slovena, corrisponde a quello rinvenuto sul guanto, lasciato nell’anzidetta auto. Siffatte argomentazioni sfuggono ad ogni rilievo. Deve osservarsi che la motivazione della sentenza impugnata è esente da vizi, sindacabili in questa sede, laddove ha evidenziato che l’imputato ha chiesto il riconoscimento della sentenza slovena in Italia, con ciò, dunque, riconoscendo che le operazioni, svolte per l’individuazione del profilo genetico in quella sede e per la conservazione del D.N.A., erano rituali. Ne consegue che la doglianza, sollevata nel presente procedimento in ordine all’irritualità del prelievo e della conservazione del D.N.A., risulta smentita dalla stessa condotta dell’imputato. Deve poi rilevarsi che questa Corte ha già avuto modo di affermare Sez. 5, numero 4430 del 5/12/2006, Rv. 235969 che non è inutilizzabile, in mancanza della violazione di un divieto di legge, l’accertamento sull’identità dell’indagato, compiuto mediante ricorso ai dati relativi al D.N.A. contenuti negli archivi informatici della Polizia giudiziaria. Si è ritenuto, infatti, che non cade sotto alcun divieto la capacità organizzativa e la messa in serie, da parte della PG, dei dati conoscitivi singolarmente acquisiti nelle diverse indagini, data la latitudine degli articolo 55 e 348 c.p.p Nel caso in scrutinio resta, ad ogni modo, insuperabile il rilievo che il ricorrente non ha indicato qual è il divieto che sarebbe stato violato e che avrebbe determinato l’inutilizzabilità della prova acquisita. Al riguardo occorre premettere che, ai sensi dell’articolo 191 c.p.p., l’inutilizzabilità si riferisce alle prove acquisite in violazione dei divieti , stabiliti dalla legge, oppure, come sottolineato anche dalla giurisprudenza di questa Corte SS.UU. 13 luglio 1998 , in violazione dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione e, può aggiungersi, dei principi fondamentali delle fonti comunitarie, immediatamente cogenti. Invece, la sanzione dell’inutilizzabilità non colpisce le prove che sono in sé legittime e che sono state solo irritualmente acquisite Sez. 2, numero 49198 del 15/10/2019, Rv. 277933 . Nella specie, il ricorrente ha lamentato l’illegittimità dell’avere fatto ricorso quale termine di raffronto per il D.N.A., tratto da materiale biologico rinvenuto nell’auto utilizzata per la rapina - ad una trascrizione del codice genetico attribuitagli e detenuta dal Reparto investigativo dei Carabinieri. Non risulta però indicato il divieto, che con tale procedura, sarebbe stato infranto. Deve inoltre rilevarsi che, contrariamente a quanto censurato in ricorso, la motivazione della sentenza impugnata non è apparente ma è coerente con le risultanze probatorie e dà conto del fatto che i guanti non erano stati utilizzati direttamente nel compimento della rapina ma erano rimasti all’interno dell’anzidetta autovettura. Inoltre, l’accertamento compiuto in merito alla comparazione del D.N.A., rinvenuto sui guanti, con il D.N.A. estrapolato dalla polizia slovena è regolarmente confluito nel processo mediante l’escussione a dibattimento dell’autore degli accertamenti stessi, in linea con i principi enunciati da questa Corte Sez. 2, numero 41414 del 30/5/2019, Rv. 277223 , secondo cui gli accertamenti sul D.N.A., espletati ai sensi dell’articolo 360 c.p.p., possono essere utilizzati in dibattimento attraverso la lettura della relazione nella sola parte relativa alle operazioni di estrazione del D.N.A., se considerate in relazione al caso concreto irripetibili, mentre necessitano dell’escussione del consulente per quanto riguarda, invece, la decodificazione dell’impronta genetica e la comparazione tra tale impronta ed il profilo in precedenza acquisito, trattandosi in questo caso di attività ripetibili. 2. Il rigetto del ricorso comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.