Ore di lavoro in più? Il contratto di solidarietà rimane valido

Il contratto di solidarietà per le imprese in regime di CIGS rimane legittimo se l’azienda fa svolgere, inavvertitamente, ai propri lavoratori ore in più rispetto a quelle che il Ministero del Lavoro ha autorizzato. A chiarirlo è lo stesso Ministero con l’interpello numero 27/2012 del 13 settembre scorso.

Il caso. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha presentato istanza di interpello al fine di conoscere il parere della Direzione generale per l’attività ispettiva del Ministero del Lavoro in ordine alla riduzione dell’orario di lavoro, effettuata da imprese, rientranti nel campo di applicazione dell’intervento straordinario di integrazione salariale CIGS ex articolo 1, d.l. numero 726/1984, convertito dalla L. numero 863/1984 , che abbiano stipulato contratti di solidarietà difensivi, disciplinati dall’articolo 5, comma 1, l. numero 236/1993. Ore extra? E le conseguenze? Nello specifico, il Consiglio chiede quali siano le conseguenze sanzionatorie qualora l’azienda non rispetti l’accordo predisposto in sede di stipulazione dei contratti di solidarietà in relazione alle modalità di riduzione dell’orario, richiedendo, per esempio, al personale coinvolto l’espletamento di un orario di lavoro superiore a quello concordato nel contratto stesso. Nel documento, la Direzione generale precisa, preliminarmente, che il contratto di solidarietà di cui si discute prevede una riduzione dell’orario di lavoro volta ad evitare, in tutto o in parte, «la riduzione ovvero la dichiarazione di esuberanza del personale». La riduzione non deve essere superiore al 60% dell’orario di lavoro dei lavoratori coinvolti. «Il contratto di solidarietà è considerato idoneo – viene spiegato dalla Direzione - a perseguire il suo scopo quando la percentuale di riduzione di orario concordata tra le parti, parametrata su base settimanale, non superi il 60% dell’orario di lavoro contrattuale dei lavoratori coinvolti nel contratto di solidarietà». Ma c’è una certa flessibilità. Infatti, a fronte di temporanee esigenze del datore di lavoro di incrementare l’attività, «tali da richiedere l’espletamento di una prestazione ulteriore rispetto a quella concordata, comunque non eccedente l’orario di lavoro ordinario», il Ministero del Lavoro accorda la possibilità per le parti di derogare alla riduzione precedentemente determinata in virtù di clausole. In pratica, anche in virtù della nota numero 3558 dell’8 febbraio 2010 dello stesso Ministero, alcuni lavoratori potranno essere coinvolti con una percentuale superiore al 60%, ed altri con una riduzione inferiore. La cosa importante è che la riduzione dell’orario, nella media, rispetti il tetto massimo del 60% di riduzione dell’orario di lavoro contrattuale della platea dei lavoratori coinvolti nel contratto di solidarietà. Basta una comunicazione all’Amministrazione, tranne se è necessaria una maggiore riduzione dell’orario di lavoro. Nell’interpello numero 27/2012, la Direzione generale del Ministero precisa che l’azienda interessata ha l’onere di comunicare al competente Ufficio l’intervenuta variazione di orario. Mentre, se l’impresa deve operare una maggiore riduzione dell’orario di lavoro a fronte di quello originariamente pattuito, allora è indispensabile la stipulazione di un nuovo contratto di solidarietà con la conseguente presentazione di un’ulteriore istanza. Un calcolo errato della media non può inficiare la validità del contratto di solidarietà. Il Ministero ha dunque affermato che in caso di calcolo errato, l’azienda deve contabilizzare e registrare le ore effettivamente prestate dai lavoratori, anche quelle in eccedenza rispetto a quanto autorizzato, versando la relativa contribuzione e corrispondendo la retribuzione dovuta per le ore di lavoro effettivamente prestate dal lavoratore. Infine, il datore di lavoro dovrà comunicare all’INPS le ore di lavoro non prestate per le quali il lavoratore ha diritto all’integrazione salariale. Occorre verificare quali siano le conseguenze del superamento dell’orario concordato nell’ipotesi di mancata previsione in sede contrattuale. Tutto questo, ovviamente, è valido se non si configurano condotte fraudolente, connesse ad una impropria utilizzazione della risorse pubbliche. Un accertamento, questo, che verrà effettuato caso per caso dal personale ispettivo, «verificando con attenzione se sussistano o meno nella fattispecie concreta gli estremi di condotte penalmente rilevanti».

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