Amministratore di condominio: il reato si consuma alla consegna della cassa al successore

In tema di appropriazione indebita commessa da un amministratore condominiale, il delitto si consuma non già con riguardo all’accertamento dei singoli fatti di appropriazione, bensì con riferimento all’atto della consegna della cassa al nuovo amministratore.

L’amministrazione condominiale configura un ufficio privato, assimilabile al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicabilità delle disposizioni sul mandato, ed in particolare dell’articolo 1713 c.c., a norma del quale l’amministratore, una volta conclusa l’attività gestoria, deve assolvere all’obbligo di restituzione di tutte le somme ricevute nel corso della sua gestione. Lo ha stabilito la Seconda sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 18864, depositata il 17 maggio 2012. Il caso. La pronuncia in esame trae origine da una pluralità di condotte appropriative, poste in essere da un amministratore di condominio durante gli anni in cui lo stesso aveva provveduto alla gestione condominiale. Nello specifico, le indebite appropriazioni erano avvenute mediante un largo ricorso al criterio di competenza, in luogo del criterio di cassa, in modo da procedere al rendiconto di somme di volta in volta richieste ed ottenute dai condomini, ma di fatto non spese dall’amministratore in carica, il quale le teneva per sé. L’appropriazione indebita presuppone il possesso della res Come è noto, nozione discriminante per stabilire, in linea di principio, la differenza tra le diverse fattispecie di furto articolo 624 c.p. e di appropriazione indebita articolo 646 c.p. è quella di possesso. Per la dottrina attualmente dominante, il possesso nel diritto penale è un potere di fatto sulla cosa esercitato autonomamente, cioè fuori della sfera di vigilanza diretta di chi abbia sulla cosa un potere maggiore. L’ animus possidendi è dunque dato dalla coscienza e volontà della relazione materiale con la cosa, ovvero dall’intenzione di tenerla presso di sé animus rem sibi habendi . In tale maniera, la detenzione viene a restringersi ai soli casi di potere di fatto esercitato sotto la sfera giuridica di sorveglianza di chi abbia su di essa potere maggiore, come per esempio lo studioso che consulta un libro in biblioteca. Al contrario, come pure nel caso in commento, è da considerarsi possessore e quindi eventuale autore non di furto, ma di appropriazione indebita il mandatario. Deve quindi considerarsi obsoleta e non rispondente alle concrete esigenze di politica criminale la nozione civilisticamente rilevante di possesso articolo 1140 c.c. . Secondo tale impostazione, affinché possa parlarsi di possesso, occorre tanto il potere di fatto sulla cosa che si manifesta in attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o altro diritto reale, quanto l’ animus di comportarsi come titolare di un diritto reale. In mancanza di uno di questi requisiti, si parla di detenzione. In realtà, la concezione privatistica del possesso nel diritto penale è abbandonata da tempo, anche perché porterebbe a soluzioni profondamente contrastanti con la stessa ratio del diritto penale, facendo ravvisare il furto nel caso del mandatario, mentre è ormai ius receptum che, in tali ipotesi, sussista l’appropriazione indebita. e si consuma col compimento di un atto di disposizione uti dominus. La peculiarità della sentenza in esame consiste nell’aver individuato il momento consumativo del reato di appropriazione indebita, commesso da un amministratore di condominio, nell’azione di consegna della cassa all’amministratore subentrante, accompagnata dalla ritenzione di una parte delle somme versate dai singoli condomini e di un libretto di deposito bancario, intestato al condominio. Tali condotte, per la Suprema Corte, comprovano la volontà di non restituire le cose di cui si ha il possesso, e dunque sono necessarie e sufficienti a configurare il reato de quo . Nondimeno, la decisione in commento effettua una importante precisazione, particolarmente rilevante sotto il profilo dell’individuazione del dies a quo ai fini della prescrizione. Ed infatti, poiché – come si è accennato – l’amministratore deve considerarsi equiparato ad un mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, egli sarà tenuto in base alle norme civilistiche che regolano l’istituto del mandato a restituire «tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato» articolo 1713 c.c. . Ne consegue che, sotto il profilo prescrizionale, sono irrilevanti i singoli ammanchi di cassa relativi ai rendiconti annuali, atteso che il momento determinante è unicamente quello della riconsegna finale delle somme percepite, all’atto del «passaggio di consegne» con l’amministratore subentrante.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 3 febbraio – 17 maggio 2012, numero 18864 Presidente Esposito - Relatore Cervadoro Svolgimento del processo In data 4.1.2005, L F. , comproprietaria di un appartamento sito nel condominio di via OMISSIS , presentò denuncia querela nei confronti di S.G. , che aveva ricoperto la carica di amministratore del predetto Condominio dall'aprile 1999 sino al marzo 2004, rilevando che l'amministratore nominato a seguito delle dimissioni del S. non era riuscito a ricostruire compiutamente i movimenti contabili della precedente gestione, essendo emersi a prima vista irregolarità ed ammanchi a seguito di una verifica contabile era stato così accertato che nei rendiconti di esercizio erano stati esposti costi superiori a quelli sostenuti, e che all'amministratore erano state consegnate somme poi versate su libretti, di cui uno mai restituito. Gli esiti di tali accertamenti erano stati oggetto di contestazione nei confronti del S. , tramite lettera raccomandata datata 5.10.2004, ma lo stesso non aveva fornito alcun tipo di spiegazione a riguardo. G S. veniva quindi rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt.81 cpv e 61 numero 7 e numero 11, 646 c.p., perché, nella sua qualità di amministratore del condominio omissis , in esecuzione del medesimo disegno criminoso e in diverse occasioni al fine di procurarsi un profitto si appropriava della somma di Euro 96884,41 nel periodo compreso tra il 1.4.1999 ed il 31.3.2003 e dal 1.4.2003 al 31.3.2004 somma derivante dall'esposizione nella contabilità condominiale di costi superiori a quelli sostenuti dai proprietari del Condominio trattenendo la somma distratta nonostante le richieste della persona offesa. Con l'aggravante di cui all'articolo 61 numero 7 c.p. di aver causato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità. Con l'aggravante di cui all'articolo 61 numero 11 c.p. di aver commesso il fatto con abuso del rapporto di prestazione d'opera. Gallarate, dal 1999 al 2004. Con sentenza del 21.12.2009, il Tribunale di Busto Arsizio, sezione distaccata di Gallarate, all'esito del giudizio celebrato con rito abbreviato, dichiarò G S. responsabile del reato di appropriazione indebita aggravata della somma di Euro 96884,41, e lo condannò alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite L F. e E V. , quest'ultimo nella sua qualità di amministratore del Condominio , danni da liquidarsi in separato giudizio. Avverso tale pronunzia propose gravame l'imputato, e la Corte d'Appello di Milano con sentenza del 26.5.2011, dopo aver acquisito agli arti tutti i documenti allegati all'atto d'appello, rideterminava l'ammontare della distrazione in complessivi Euro 13.374,28 9.402,48 + Euro 3.971,80 somma depositata sul libretto numero 106.490/80 non restituito , e - in parziale riforma della decisione di primo grado - esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 61 numero 7 c.p., riduceva la pena a mesi sei giorni venti di reclusione ed Euro 340,00 di multa, e confermava le statuizioni civili. Ricorre per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo 1 la violazione dell'articolo 606 lett. c c.p.p., per violazione di norma processuale stabilita a pena di nullità ex articolo 178 co. 1 lett c e 180 cpp in relazione all'articolo 487 cpp, in quanto a seguito della costituzione delle parti, all'udienza del 26.5.2011, la Corte territoriale non ha provveduto alla declaratoria di contumacia nei confronti dell'imputato non presente 2 la violazione dell'articolo 606 lett.b ed e c.p.p., per errata interpretazione della legge penale, e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla specifica doglianza di cui all'atto d'appello relativa all'accertamento dei singoli fatti di appropriazione indebita, da considerare già prescritti alla data di pubblicazione della sentenza impugnata. La Corte ha infatti omesso di motivare sullo specifico motivo di impugnazione e, ancor più erroneamente, ha indicato nel giorno 15.1.2004 il tempo della consumazione dell' indebita appropriazione , nonostante la contestazione ex articolo 81 cpv c.p., che sottende la plurima violazione della legge penale, e non una singola violazione costituita dalla sommatoria di più condotte illecite. E quanto al dies a quo”, coincidente con la decorrenza del termine necessario a prescrivere le singole fattispecie, è indiscutibile che tutte le appropriazioni consumate nel periodo 1999-2003 fossero già estinte per intervenuta prescrizione alla data della sentenza impugnata. Chiede pertanto l'annullamento della sentenza. Motivi della decisione 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. È principio costantemente affermato da questa Corte con giurisprudenza assolutamente prevalente, condivisa da questo Collegio, che l'omissione della declaratoria formale di contumacia, in presenza dei presupposti del giudizio contumaciale assenza di un legittimo impedimento dell'imputato , non è causa di nullità della sentenza, in quanto non prevista specificamente dall'ordinamento e non riconducibile al novero delle nullità di ordine generale, considerato che essa non importa alcun effetto pregiudizievole ai fini dell'intervento e dell'assistenza dell'imputato, cui competono comunque i diritti processuali connessi alla situazione di contumacia v. Cass. Sez. V, sent.numero 36651/2008 Rv. 241634 Sez. VI, sent. numero 19273/2006 Rv. 233973 Sez.V numero 46857/2005 Rv. 233045 . A ciò aggiungasi che, anche volendo seguire l'indirizzo giurisprudenziale meno recente e minoritario, secondo il quale l'omissione di formale pronuncia dell'ordinanza dichiarativa della contumacia costituisce nullità a regime intermedio sanabile ex articolo 182 c.p.p., comma 2 v. Cass. Sez.I, sent,numero 2859/2004 Rv. 230650 , il motivo risulterebbe comunque inammissibile, in quanto nessun concreto pregiudizio, derivante dall'omessa pronuncia della contumacia, è stato prospettato dal ricorrente, e secondo quanto prevede l'articolo 182 c.p.p., le nullità a regime intermedio possono essere dedotte solo dalla parte che vi abbia interesse, e si sanano se non rilevate d'ufficio entro i termini indicati dall'articolo 180 c.p.p 2. Il secondo motivo non solo è manifestamente infondato, ma è anche privo della specificità, prescritta dall'articolo 581, lett. c , in relazione all'articolo 591 lett. c c.p.p. per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione. 2.1 La Corte d'Appello, ritenuta l'assoluta necessità di acquisire agli atti tutta la documentazione allegata all'arto di appello del S. , copia integrale dei rendiconti, dei piani di riparto, delle fatture emesse dalla OTIS nei confronti del condominio, dei verbali delle assemblee ed in particolare di quella in data 27.11.2003 avente ad oggetto, tra l'altro, le dimissioni del S. , dei libretti bancari, della fattura numero emessa dal geometra R. , e del modello F24 attestante il pagamento della ritenuta d'acconto , in quanto documenti pertinenti alle specifiche allegazioni della parte civile ed al periodo incriminato, e - precisato che nell'imputazione era stato indicato in complessivi Euro 96884,41 l'oggetto delle condotte appropriative, ma che, espunti dall'elenco in denuncia le voci 6 ed 8 , per le quali era ancora ignoto l'esito degli accertamenti effettuati dalla parte offesa, i pretesi ammanchi di cui alla contestazione dovevano in realtà essere quantificati nella minor somma di Euro 59427,71 - nella sentenza impugnata v. pagg.5-20 ha ricostruito, con estrema precisione, tutta la contabilità del condominio negli anni in contestazione, sulla base non solo delle contestazioni, ma anche di tutti i documenti prodotti dalla difesa del S. e dalle dichiarazioni rese dal medesimo. Tenuto conto delle dichiarazioni dell'imputato, che - in ordine alle varie voci in contestazione - ha ammesso di aver talvolta rendicontato, e quindi richiesto e ottenuto dai condomini, il pagamento di somme mai spese ma ha negato di essersene appropriato, essendo comunque gli importi versati in eccedenza rimasti sul conto bancario del condominio, e quindi in cassa , e di aver quindi redatto i rendiconti, facendo largo uso al criterio di competenza, anziché al criterio di cassa, con conseguente esistenza di spese rendicontate, ma non ancora pagate, la Corte ha ritenuto che l'unico metodo possibile per verificare, se e quando si fosse verificata da parte dell'imputato la denunciata appropriazione delle somme in questione, fosse proprio quello di calcolare l'importo complessivo delle somme pagate dai condomini e l'importo complessivo delle spese effettuate per conto del condominio alla luce degli esiti della riconciliazione bancaria intervenuta il 15.1.2004, al momento della consegna della cassa dal S. al nuovo amministratore V. . Considerato che, a seguito dell'operata ricostruzione della contabilità, era emerso che, alla data del 15.1.2004, sul conto del condominio si sarebbe dovuta trovare depositata la somma di Euro 32.273,17, mentre al momento delle consegne l'imputato aveva versato all'amministratore subentrante quale residuo di cassa la minor somma di Euro 22.870,69, la Corte ha quindi ritenuto che, proprio in quel momento, l'imputato -trattenendo le somme di Euro 9402,48, pari alla differenza di cassa rilevata, e di Euro 3971,80, di cui al libretto di deposito numero 106490/80 ricevuto e non restituito - ebbe a manifestare la volontà di farle proprie il reato unico e non continuato si era pertanto consumato al momento della consegna della cassa, ovvero in data 15.1.2004. Ridimensionata la distrazione totale delle somme in Euro 13.374,28, la Corte ha poi escluso l'aggravante di cui all'articolo 61 numero 7 c.p., e ridotto la pena. Le precise argomentazioni della sentenza d'appello che, nonostante la genericità del motivo di ricorso, si è ritenuto di dover sia pur sinteticamente riportare nel loro integrale sviluppo ai fini dell'esatta individuazione del momento consumativo del reato, non sono suscettibili di censura alcuna in questa sede, in quanto ampiamente e logicamente motivate. 2.2 Sulla base di norme espressamente dichiarate inderogabili dall'articolo 1138 comma 4 cod.civ., l'amministratore del condominio dura in carica un anno articolo 1129 comma 2 cod. civ. e sottopone alla approvazione dell'assemblea il preventivo ed il consuntivo delle spese afferenti all'anno articolo 1135 nnumero 2 e 3 cod. civ. , ragion per cui la gestione viene rapportata alla competenza annuale . Poiché l'amministratore è tenuto anno per anno a predisporre il bilancio preventivo ed a far approvare dall'assemblea il bilancio consuntivo, astrattamente, anno per anno, alla scadenza dell'anno sociale corrispondente alla durata in carica, egli deve rispondere della gestione in ogni caso alla scadenza, sia che essa avvenga alla fine dell'anno, sia che venga anticipata da un provvedimento di revoca, l'amministratore deve dare conto della gestione e restituire tutte le somme che detiene per conto del condominio. Secondo la giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte, l'amministratore del condominio configura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l’amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato Cass.Civ., Sez. II, 12 febbraio 1997, numero 1286 Cass.Civ., Sez. II, 14 dicembre 1993, numero 12304 , e considerato che, ai sensi dell'articolo 1713 cod. civ., il mandatario deve rendere al mandante il conto e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato, l'obbligo di restituzione sorge a seguito della conclusione dell'attività gestoria, salvo che l'estinzione avvenga prima di tale conclusione, e deve essere adempiuta non appena tale attività si è realizzata. Di norma, la restituzione avviene in seguito al rendiconto annuale ma, ove ciò non avvenga anche per meri errori di contabilità o perché devono essere ancora recuperate somme dovute da condomini morosi e riguardanti la precedente gestione o per altre cause , una volta che la gestione si conclude, e in difetto di contrarie disposizioni pattizie, l'amministratore del condominio è tenuto alla restituzione, in riferimento a tutto quanto ha ricevuto nell'esercizio del mandato per conto del condominio, vale a dire tutto ciò che ha in cassa, e ciò indipendentemente dalla gestione alla quale le somme si riferiscono v. Cass.Civ.Sez. II, sent. numero 10815/2000 Rv. 539589 . 2.3 Un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, con riferimento alla fattispecie di spendita di titoli avuti in garanzia v.Cass.Sez.II sent.numero 1119/99, rv. 212976 Sez.II sent.numero 12096/86, rv. 174174 , e a quella di detenzione a titolo di custodia di un libretto al portatore bancario intestato a persona deceduta e di cui il detentore aveva rifiutato la restituzione agli eredi , ha ritenuto che non sempre vi è necessaria coincidenza tra il momento in cui viene posta in essere la condotta di appropriazione e di interversione del possesso, e quello in cui si verifica l'evento di appropriazione, evento che è costituito dalla manifestazione della volontà dell'agente di fare propria la cosa, e ha quindi statuito che il reato di cui all'articolo 646 c.p. si consuma nel momento dell'azione, cioè dell'interversione del titolo del possesso, e si perfeziona con il verificarsi dell'evento costituito dal momento in cui la parte offesa viene posta a conoscenza dell'avvenuta appropriazione in suo danno. L'evento appropriazione, in questi casi, si realizza allorché la parte offesa subisce il danno della mancata restituzione v.Cass.Sez.II, sent. numero 48438/2004 rv. 230354 . 2.4 Nella concreta fattispecie, comunque, così come accertato dal giudice del fatto, in conformità con i principi di diritto dettati da questa Corte, il momento della interversione del possesso è coincidente con quello dell'evento del reato, e si è realizzato all'atto della consegna della cassa al nuovo amministratore, allorché l'imputato, non restituendo l'intero importo delle somme ricevute nel corso della sua gestione, ha manifestato chiaramente la volontà di voler trattenere per sé parte delle somme in questione. Non è al riguardo illogico ritenere, così come deciso dalla Corte territoriale, che la mancata restituzione di volta in volta in seguito ai rendiconti annuali non è dato certo di interversione del possesso, e non è di per sé incompatibile con la conservazione del denaro, del quale non si potuto comunque accertare la dispersione fino alla consegna della cassa, così come rilevato anche dalla ricostruzione della contabilità, sulla scorta dei documenti prodotti e delle stesse dichiarazioni del S. , il quale ha ammesso di aver redatto i rendiconti annuali, facendo largo uso al criterio della competenza, anziché al criterio di cassa, con la conseguente esistenza di spese rendicontate, ma non ancora pagate. Esattamente la Corte ha pertanto ritenuto il reato consumato il 15.1.2004, al momento in cui il S. , dovendo assolvere a seguito della conclusione dell'attività gestoria all'obbligo di restituzione ai sensi dell'articolo 1713 cod. civ., consegnava al nuovo amministratore la cassa del Condominio con un ammanco di Euro 13.374,28. 2.5 Considerato che il reato è stato consumato il OMISSIS , e il termine massimo di prescrizione a seguito di atti interruttivi ai sensi dell'articolo 160 c.p. è di anni sette e mesi sei, appare evidente che, anche a prescindere da eventuali periodi di sospensione, alla data della pronuncia della sentenza d'appello 26.5.2011 il reato non era ancora estinto per prescrizione. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. L'inammissibilità originaria del ricorso comporta il passaggio in giudicato della sentenza di merito, con la conseguente impossibilità di dichiarare l'eventuale, sopravvenuta prescrizione del reato ex articolo 129 cod. proc. penumero . Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende, nonché alla rifusione in favore delle parti civili Condominio e L F. delle spese sostenute dalle predette parti civili per questo grado di giudizio che si liquidano in complessivi Euro 2400,00 oltre IVA, CPA e spese generali.