Senza la prova che non è possibile ricollocare la dipendente in altri orari non si può risolvere il rapporto di lavoro.
E’ senz’altro censurabile il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, se non viene fornita la prova dell’impossibilità di ricollocare in altro turno la lavoratrice che legittimamente rifiuta di svolgere le sue mansioni in orario notturno. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza numero 23807 del 14 novembre scorso. Il caso. Una lavoratrice, addetta a mansioni di pulizia dei macchinari aziendali con turni notturni, dopo essere stata adibita a turno diurno con orario part-time, in occasione di un periodo di cassa integrazione, rifiutava di tornare all’originario turno notturno e veniva, quindi, licenziata dalla datrice di lavoro per giustificato motivo oggettivo. Il Tribunale accoglieva il ricorso della dipendente, volto a far dichiarare illegittimo il licenziamento, e la Corte d’appello confermava la decisione. La società datrice proponeva, infine, ricorso per cassazione. Legittimo il rifiuto della lavoratrice di svolgere turni notturni. I giudici di merito hanno affrontato la questione partendo dal rifiuto della lavoratrice di tornare a svolgere le sue mansioni sul turno notturno, dopo la cessazione della CIG tale rifiuto è stato giudicato legittimo, ex articolo 11, comma 2, d. lgs. 66/2003, in quanto la lavoratrice era madre di un bambino di età inferiore a tre anni. Per il licenziamento del lavoratore serve la prova dell’impossibilità di adibirlo a mansioni alternative in altro orario. A fronte di tale rifiuto, al fine di poter procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo la società datrice avrebbe dovuto fornire la prova dell’impossibilità di adibire la dipendente a mansioni alternative diurne. Prova che, nel caso di specie, non è stata fornita. La S.C. ritiene di confermare le valutazioni operate dai giudici territoriali, anche perché i motivi di ricorso si rivelano infondati e inammissibili laddove si risolvono in una richiesta di riesaminare nel merito il quadro probatorio.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 maggio – 14 novembre 2011, numero 23807 Presidente Vidiri – Relatore Curzio Fatto e diritto L'Antico forno a legna srl chiede l'annullamento della sentenza della Corte d'appello di Torino, pubblicata il 25 febbraio 2008. La controversia fu proposta dalla dipendente B.G., licenziata dall'Antico forno con missiva del 23 novembre 2005, in cui, premesso che la lavoratrice era stata sempre addetta a mansioni di pulizia dei macchinari aziendali, nell'ambito di squadre con orario di lavoro dalla 22 alle 5.30, e che, in occasione di un periodo di CIG, era stato possibile accordarle il lavoro a tempo parziale nell'ambito dell'orario pomeridiano, si sosteneva che cessata la CIG era stato disposto che a decorrere dal 6 giugno 2005 le operazioni di pulizia dei macchinari venissero svolte anche dalla squadra della B. dalle 22 alle 5.30. La B. aveva dichiarato la sua indisponibilità a svolgere tale turno e alla società non era restato altro che procedere alla risoluzione del rapporto per giustificato motivo oggettivo, essendo stato soppresso il servizio di pulizia dei macchinari aziendali nell'orario 16-22 . Il giudice di primo grado accolse il ricorso della B., madre di un figlio di età minore di tre anni, ritenendo legittimo il suo rifiuto ai sensi dell'articolo 11, secondo comma, del d. lgs. 66 del 2003 e ritenendo che il datore di lavoro non avesse fornito la prova della impossibilità di adibire la ricorrente a mansioni alternative diurne. La società propose appello assumendo che le mansioni di pulizia venivano svolte esclusivamente in turno notturno e che era impossibile ricollocare la lavoratrice allegando che la stessa aveva sempre svolto unicamente mansioni di pulizia e risultava quindi priva della professionalità necessaria per l'assegnazione a compiti diversi in ambito produttivo. La Corte ha ritenuto tali ultimi assunti non condivisibili e comunque non provati. Ha precisato che in relazione alla applicazione della disciplina dettata dall'articolo 11 cit. la valutazione circa la possibilità di ricollocazione non deve fondarsi sulle mansioni in concreto svolte, ma sulla qualifica contrattuale e che, sulla scorta della documentazione in atti emergeva che gran parte dei dipendenti della società occupati in mansioni produttive erano inquadrati come la B. nel V livello. Sul piano probatorio ha poi rilevato che sulla base delle risultanze istruttorie, emergeva che la B., che ordinariamente svolgeva mansioni di pulizia dei macchinari, veniva adibita, comunque, saltuariamente, anche a mansioni produttive, desumendo da ciò che l'azienda abbia valutato il corredo professionale della B. comunque idoneo allo svolgimento dei compiti citati. Ha infine ritenuto che la possibilità di ricollocazione deve, in relazione al contesto normativo specifico, farsi anche carico di un eventuale breve percorso di riqualificazione professionale. La società articola due motivi del ricorso in cassazione entrambi concernenti esclusivamente vizi di motivazione. La lavoratrice si difende con controricorso. La srl ricorrente ha depositato una memoria. Con il primo motivo la società denunzia un vizio di omessa o insufficiente motivazione in relazione al fatto, decisivo e controverso, costituito dalla esistenza/inesistenza, presso la società, di mansioni alternative che fosse possibile assegnare alla lavoratrice al fine di scongiurarne il licenziamento . Si censura la motivazione per non aver esaminato il libro matricola e il prospetto redatto sulla base di esso dai quali risultava che il personale fosse tutto a tempo pieno e indeterminato. Tale esame avrebbe permesso di accertare che l'impossibilità di assegnare alla lavoratrice mansioni alternative. Con il secondo motivo si denunzia vizio di omessa o insufficiente motivazione sull'ulteriore fatto, controverso e decisivo, costituito dalla esistenza/inesistenza, presso la società di mansioni alternative che fosse possibile assegnare alla resistente. Si sostiene che la motivazione appare inidonea per non aver minimamente considerato che, sulla base delle deposizioni rese dai testi la stabile occupazione dei posti di lavoro a tempo pieno e indeterminato già risultante dal libro matricola era ulteriormente confermata dalla sporadicità dell'assegnazione della B. a mansioni produttive. Si censura a tal fine l'omesso esame delle deposizioni testimoniali, posto che sulla base di esse si sarebbe dovuto riconoscere l'impossibilità di assegnare alla prestatrice di lavoro mansioni alternative . I motivi devono essere valutati congiuntamente, perché concernono pretesi vizi di motivazione sullo stesso fatto inesistenza in azienda di mansioni alternative cui assegnare la lavoratrice madre , salvo differenziarsi in relazione al tipo di prova documentale nel primo motivo e testimoniale nel secondo che la Corte d'appello non avrebbe correttamente valutato. I vizi denunziati sono di “omissione” e di “insufficienza” della motivazione su detto fatto. La motivazione, come si evince anche dalla sintesi su riportata, è presente nella sentenza, quindi non può parlarsi di “omissione”. Del resto, contraddittoriamente, la stessa società ricorrente assume poi che la motivazione è insufficiente, ammettendone quindi la sussistenza. Quanto alla sufficienza, in realtà, dietro questo schermo formale, si formulano censure che non attengono alla adeguatezza logica della motivazione sicuramente ampia, completa e coerente , ma al contenuto della stessa. Si chiede invero alla Corte di Cassazione di valutare in modo diverso il quadro probatorio documentale primo motivo e testimoniale secondo motivo , il che attiene al merito della decisione e non attiene al giudizio di legittimità. Il ricorso deve quindi essere rigettato. Le spese, per legge, gravano sulla parte che perde il giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 4.040,00 Euro, di cui 4.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.