Licenziato, ma comunque messo meglio dell’ex moglie: assegno divorzile confermato

Brutto colpo per l’uomo, che perde il lavoro. Confermato, però, l’obbligo di contribuire al mantenimento dell’ex moglie. Intatta la sproporzione dei redditi dei due ex coniugi, con lei impossibilitata, con i propri mezzi, addirittura ad avere un tenore di vita dignitoso.

Durissimo colpo per l’uomo, che perde il lavoro. Nonostante ciò, egli deve comunque far fronte all’obbligo di versare il previsto contributo mensile in favore dell’ex moglie. Unica concessione, da parte dei giudici, la riduzione dell’assegno, passato da 600 euro a 450 euro. Cassazione, ordinanza numero 14501, sez. VI Civile, depositata oggi Assegno. Procedura conclusa viene ufficializzata la «cessazione degli effetti civili del matrimonio». E sulle spalle dell’uomo viene caricato l’onere di versare un «contributo mensile di 600 euro» in favore della ex moglie e uno di «400 euro in favore della figlia, convivente con la madre e non ancora indipendente economicamente». Secondo l’uomo, però, è stato ignorato un fatto decisivo il «licenziamento dal suo posto di lavoro», con conseguente peggioramento delle proprie «condizioni economiche». Allo stesso tempo, ancora l’uomo sostiene che l’ex moglie «non aveva diritto all’assegno divorzile, in considerazione del suo patrimonio immobiliare, delle sue condizioni economiche e della durata estremamente breve del matrimonio, durato solo alcuni mesi». Tali obiezioni, però, permettono all’uomo solo di ottenere una riduzione dell’«assegno divorzile», portato a «450 euro mensili». E tale cifra viene ‘cristallizzata’, ora, dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali ritengono prevalente, rispetto al «licenziamento» subito dall’uomo, la precaria posizione patrimoniale dell’ex moglie. Quest’ultima, difatti, è impossibilitata a «procurarsi, con i propri mezzi economici, non solo un tenore di vita tendenzialmente corrispondente a quello goduto in costanza di matrimonio», ma anche, addirittura, «un tenore di vita dignitoso». Inoltre, concludono i giudici, la «forte sproporzione dei redditi dei due ex coniugi» non può certo essere riequilibrata dalle «condizioni patrimoniali» della donna.

Corte di Cassazione, sez. Vi Civile – 1, ordinanza 18 febbraio – 26 giugno 2014, numero 14501 Presidente Di Palma – Relatore Bisogni Rilevato che in data 28 novembre 2013 è stata depositata relazione ex articolo 380 bis che qui si riporta senza modifiche sostanziali 1. Il Tribunale di Vallo della Lucania, con sentenza numero 78/11 del 4 febbraio 2011, in sede di definizione del giudizio per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha posto a carico di G.D.R. il contributo mensile di 600 euro in favore di G.A. e di euro 400 in favore della figlia G. convivente con la madre e non ancora indipendente economicamente. 2. Ha proposto appello D.R. rilevando che le sue condizioni economiche erano fortemente peggiorate nelle more del giudizio di divorzio a seguito del licenziamento dal suo precedente posto di lavoro, che la A. non aveva diritto a un assegno divorzile in considerazione del suo patrimonio immobiliare e delle sue condizioni economiche e della durata estremamente breve del matrimonio durato solo alcuni mesi, che la figlia G. non era anch'essa in condizione di dover ricevere un assegno di mantenimento e di veder pagate dal padre le sue spese straordinarie o subordinatamente tale assegno poteva essere ridotto a 260 euro mensili. 3. L'appello è stato parzialmente accolto dalla Corte di appello che ha ridotto a 450 euro mensili l'assegno divorzile lasciando invece immutata la misura dell'assegno di mantenimento della figlia G. 4. Propone ricorso per cassazione G.D.R. affidandosi ad un unico motivo di impugnazione con il quale deduce la violazione dell'articolo 5 comma 6, della legge numero 898/1970 come modificato dall'articolo 10 della legge numero 74/1987. 5. Si difende con controricorso G.A. Ritenuto che 6. Il motivo è inammissibile in quanto riproduce le deduzioni in fatto già ampiamente esaminate dai giudici di merito che hanno riscontrato, per un verso, l'impossibilità per la A. di procurarsi con i propri mezzi economici non solo un tenore di vita tendenzialmente corrispondente a quello goduto in costanza di matrimonio ma anche un tenore di vita dignitoso, e, per altro verso, la forte sproporzione dei redditi dei due ex coniugi senza che le condizioni patrimoniali della A. possano considerarsi tali da riequilibrarla. Rimane pertanto del tutto indeterminata la censura relativa alla violazione di legge che appare in ogni caso insussistente in quanto la Corte distrettuale ha fatto piena applicazione dei principi giurisprudenziali invocati dallo stesso ricorrente. 7. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l'impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per il rigetto del ricorso. La Corte condivide tale relazione e pertanto ritiene che il ricorso vada respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in euro 2.200, di cui 200 per spese, disponendo che il pagamento delle spese sia eseguito a favore dello Stato articolo 133 D.P.R. numero 115/02 . Dispone altresì che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 del decreto legislativo numero 196/2003. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.