E' il Fisco a dover provare l'inesistenza delle fatture

Spetta all’ufficio provare l’inesistenza delle fatture. Ciò si verifica quando l’ufficio fornisce elementi che dimostrino in modo certo e diretto che l’operazione commerciale non è mai avvenuta.

Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 17959 del 24 luglio 2013. Il caso. Una società ha presentato istanza di rimborso per l’IVA relativa al periodo di imposta 2004. La predetta domanda è stata rigettata dal fisco che, dopo aver chiesto chiarimenti sulle fatture portate in detrazione, ha notificato quattro avvisi di accertamento con cui ha determinato una maggiore imposta. Il fisco, a causa del mancato trasferimento dei beni acquistati dalla società,rimasti nel magazzino in comune della società cedente e di quella cessionaria – le quali hanno avuto lo stesso amministratore – ha considerato le fatture false, ovvero relative ad operazioni inesistenti. La società ha impugnato con successo il provvedimento innanzi la competente Commissione tributaria provinciale il giudice del gravame ha accolto l’appello del fisco Secondo il giudice del gravame , in particolare, in tema di rettifica delle dichiarazioni ai fini IVA, l’Amministrazione, malgrado la regolarità formale della contabilità, ben poteva accertare l’infedeltà delle dichiarazioni medesime anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici. Doveva, poi, essere il contribuente a fornire la prova contraria Nella fattispecie sussistevano indizi chiari, precisi e concordanti che facevano presumere la falsità dell’operazione e, di conseguenza, delle fatture. A fronte degli elementi offerti dall’Ufficio in ordine alla fittizietà delle operazioni, la società contribuente non aveva fornito alcuna prova contraria, nessun elemento che potesse smentire l’assunto del fisco circa la falsità delle fatture. Al Fisco l’onere della prova. Nel ricorso in Cassazione la società ha sostenuto che l’onere della prova non grava sul contribuente ma sull’Amministrazione finanziaria. È quest’ultima, infatti, che - qualora voglia disconoscere il diritto alla detrazione IVA - è tenuta a provare la fittizietà delle operazioni fatturate. Gli Ermellini hanno con la pronuncia citata accolto il ricorso della società contribuente. I giudici di legittimità hanno precisato che il diritto alla detrazione non sorge per la mera corresponsione dell’imposta, necessitando che a monte vi sia anche un’operazione effettiva. La Corte ha chiarito che non compete al contribuente provare che l’operazione sia effettiva, avendo egli, quale unico dovere, la tenuta delle scritture e dei documenti contabili, i cui dati sono esposti nella dichiarazione fiscale. È l’ufficio, invece, che deve fornire elementi oggettivi che dimostrino in modo certo e diretto che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere. Tale prova potrà essere raggiunta anche in presenza di presunzioni semplici sarà poi il giudice di merito ad attribuire rilevanza a tali presunzioni, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento. Dovrà valutare singolarmente e complessivamente tutti gli elementi dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio. E, solo qualora ritenga gli elementi forniti dall’Amministrazione dotati di gravità, precisione e concordanza, il giudice dovrà valutare la prova contraria fornita dal contribuente. Infatti, una volta che il fisco abbia fornito oggettivi elementi di prova, anche indiziari, circa l’inesistenza dell’operazione o l’inattendibilità della fattura addotta dal contribuente a base della richiesta di detrazione, sarà poi il contribuente medesimo a dover offrire la prova circa la verità ed inerenza dell’operazione medesima. Qualora l’Amministrazione contesti la fittizietà dell’operazione, non è onere del contribuente fornire la prova dell’effettiva esistenza dell’operazione, ma deve essere il fisco a provare la fittizietà delle operazioni fatturate. Non spetta al contribuente provare che l'operazione è effettiva, ma spetta all'Amministrazione, che adduce la falsità del documento e quindi l'esistenza di un maggior imponibile, provare che l'operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 17 ottobre 2012 - 24 luglio 2013, numero 17959 Presidente Pivetti – Relatore Conti Svolgimento del processo La F.P. s.r.l., esercente l’attività di costruzione motocicli e motoveicoli, aveva presentato istanza rimborso del credito IVA relativo all’anno 2004 al concessionario per la riscossione G.L. per un importo di euro 526.020,00, successivamente modificato in euro 512.118,00, sulla base di due fatture emesse nell’anno 2000 dalla I.M. spa, relative la prima alla cessione beni destinati alla rivendita acquistati dalla T. C. sas fattura numero 147222 – poi divenuta T. srl, alla quale era subentrata la F.P. s.r.l. – e l’altra l’affitto del magazzino ricambi concesso dalla stessa I.M.- poi divenuta F. spa,in fallimento- fattura numero 147221 . L’Ufficio, dopo avere vanamente chiesto documenti chiarificativi sulle fatture a causa del mancato trasferimento dei beni acquistati, rimasti nel magazzino in comune della società cedente e di quella cessionaria che avevano lo stesso amministratore T. L. e gli stessi soci, sospendeva il rimborso e, successivamente, emetteva 4 avvisi di accertamento con i quali era stata determinata una maggiore imposta, disconoscendo l’esistenza d un credito IVA di euro 468.696,00 ed irrogata la sanzione di euro 1.041.418,13 relativi agli anni 2000/2004. La CTP di Bologna accoglieva, previa riunione, il ricorso proposto in proprio da T. L. e quello avanzato dalla Curatela della società F.P. s.r.l ed annullava gli avvisi di accertamento. Con sentenza pubblicata il 1.5 gennaio 2010 la CTR dell’Emilia Romagna ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e notificato alla F.P. s.r.l. in fallimento ed al T Il giudice di appello, premessa l’ammissibilità dell’impugnazione, riteneva la legittimità dell’attività dell’Amministrazione finanziaria che poteva, in tema di rettifica delle dichiarazioni ai fini IVA, accertare l’infedeltà, malgrado la regolarità formale della contabilità, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici, in esito alle quali era poi il contribuente a dovere fornire la prova contraria, non potendo questi limitarsi a dichiarazioni o negazioni, contrarie all’ assunto del fisco. Aggiungeva che l’Ufficio aveva evidenziato una pluralità di indizi chiari, precisi e concordanti che escludevano la veridicità dei due contratti – di vendita e di locazione – pure precisando che la curatela del fallimento F., nel depositare relazione integrativa, non aveva fatto emergere le modalità di pagamento delle due fatture, sicché le rettifiche operate trovavano conferma nella previsione contenuta nell’art. 54 comma 2 DPR numero 633/1972, alla stregua del quale era il contribuente ad essere tenuto a dimostrare la prova contraria rispetto alle presunzioni, anche semplici, offerte dall’Amministrazione circa l’infedeltà della dichiarazione e l’incompletezza, in esattezza e non veridicità della documentazione. Chiariva, ancora, che né i mastrini, né l’ulteriore documentazione prodotta dalla curatela del fallimento era sufficiente a dimostrare la veridicità e regolarità delle operazioni fatturate, in quanto il contratto di locazione del magazzino non aveva data certa ed il contratto di cessione di merce era stato prodotto in bozza senza indicazione della merce. D’altra parte, né il pagamento né la movimentazione della merce avrebbero potuto avvalorare l’esistenza delle operazioni fatturate stante la commistione degli incarichi societari e l’impossibilità di smentire in sede di procedura fallimentare le varie scritture contabili salvo l’accertamento giudiziale della simulazione. Nemmeno l’esistenza della merce a marchio I. nel deposito TNT era idonea a comprovare la veridicità dell’operazione, posto che l’unico elemento certo era rappresentato dal valore di tale merce ammontante ad euro 193.809,82, decisamente inferiore a quello dell’importo della fattura relativa alla cessione di merce pari ad euro 2.452.977,00, pur considerando la svalutazione effettuata dalla F. pari ad euro 1.171.004,00. Evidenziava, ancora, che anche nei confronti della curatela dovevano valere, anche se in misura attenuata, gli effetti previsti dall’ art. 32 comma 3 del DPR 600 in caso di mancata risposta al questionario e che gli elementi offerti dall’ Ufficio-mancanza di movimentazione merci, mancanza di prova sull’adempimento dell’ obbligazione dell’ acquirente essendosi sostenuto dal T. L. che parte del prezzo sarebbe stato pagato in contanti e parte in compensazione , disarmonia nelle varie denunzie fiscali e nei bilanci nella valutazione delle merci rimanenze iniziali e finali , esistenza di parte della F. spa di numerose ed ingenti cessioni di beni in favore della F.P. – escludevano che la merce rinvenuta presso il depositario TNT, peraltro di modesto valore, potesse dimostrare la veridicità dell’ operazione, in mancanza di bolle di consegna che avrebbero potuto confermare il trasferimento della merce alla TNT e l’epoca in cui tale trasferimento sarebbe avvenuto. Secondo la CTR non poteva essere condivisa la particolare rilevanza data dal giudice di primo grado alla perizia giurata di stima dei beni aziendali della società L. T. e C. redatta dal reg.T. F., all’epoca peraltro anche Presidente del Collegio sindacale I., alle fatture della I., alle scritture contabili delle due società, all’ammissione al passivo dei crediti vantati dalle due società l’una verso l’altra, al verbale del collegio sindacale I. ed alla svalutazione della merce acquistata a causa del fallimento I Ma su tali punti l’Ufficio aveva offerto validi chiarimenti,insistendo su quanto aveva già dedotto ed evidenziando il valore meramente indiziario della perizia che indicava fatti riferiti dall’amministratore della società, l’assenza di prova circa il contratto di locazione, l’esistenza di numerose vendite di rilevante importo fra le due società, il contrasto fra i dati risultanti dalla documentazione contabile e le risultanze dichiarate dal curatore del fallimento F. nonché l’avvenuta svalutazione delle rimaneze finali da parte della F. fin dal bilancio del 2002. Orbene, proseguiva il giudice di appello, la sentenza di primo grado andava riformata perché, a fronte degli elementi offerti dall’Ufficio in ordine alla fittizietà delle operazioni ed al carattere simulato del contratto di locazione, la ricorrente non aveva fornito alcun elemento per smentire I’assunto dell’Amministrazione circa l’inesistenza dei rapporti posti a fondamento delle due fatture, né era riuscita a dimostrare la veridicità del rapporto sostanziale posto a fondamento delle due fatture, Avverso la ricordata sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la curatela della F.P. s.r.l., affidandolo a due motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.La parte ricorrente ha poi tempestivamente depositato memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo la Curatela del fallimento F. ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 19 D.P.R. numero 633/1072, lamentando che il giudice di appello aveva escluso il diritto alla detrazione dell’ IVA relativa alle due fatture emesse dalla I. sulla base di circostanze dedotte dall’Ufficio assolutamente irrilevanti, non previste dalla legge ed in ogni caso contrastate dagli ulteriori elementi addotti dalla curatela medesima. Senza poi considerare che il citato art. 19 riconduceva il diritto alla detrazione a precisi presupposti, pienamente comprovati dalla stessa curatela ed invece non adeguatamente considerati dalla CTR che, ad onta delle condivisibili argomentazioni esposta dalla CTP che aveva accolto i ricorsi, aveva attribuito al contribuente un onere di documentazione ulteriore rispetto alla produzione delle fatture relative a prestazioni inerenti l’attività imprenditoriale della cessionaria regolarmente documentate nelle contabilità dell’emittente e della società cessionaria, così discostandosi dall’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, nemmeno potendosi invocare, a sostegno dell’indetraibilità, il mancato pagamento parziale delle fatture stesse, risultando anzi il riconoscimento in sede fallimentare del credito della F. ulteriormente dimostrativo dell’esistenza dell’operazione. Il motivo è infondato. Ed invero, è pacifico fra le parti che gli avvisi di accertamento emessi a carico della F.P. s.r.l. e dell’amministratore unico – riprodotti dalla controricorrente – quando la società era in bonis riguardavano, per quel che qui importa, il mancato riconoscimento del credito per rimborso IVA relativo a due fatture emesse dalla I. spa per cessione materiale e affitto di immobile. Lo stesso giudice di appello ha dato atto che negli avvisi di accertamento si era dato atto che non erano pervenuti, benché richiesti, i documenti relativi alle predette fatture, riguardando il credito richiesto la cessione di merci mai trasferite dalla cedente alla cessionaria società, queste ultime, aventi peraltro il medesimo domicilio fiscale dell’ acquirente e del venditore e pure accomunate dall’avere lo stesso Amministratore e gli stessi soci. Sulla base di tali elementi, l’Ufficio aveva rettificato il reddito alla stregua dell’art. 54 comma 2 DPR numero 633/1972, disconoscendo gli acquisti di materiale documentati dalla fattura numero 147221 e 147222, nonché il credito IVA relativo alle stesse fatture per gli anni 2000, 2001, 2003 e 2004 . Tali premesse appaiono necessarie per comprendere che il tema d’indagine sollecitato al giudice di merito – di primo e di secondo grado – era quello relativo all’esistenza o meno delle operazioni negoziali risultanti dalle due fatture emesse dalla I. spa per la vendita di merce e per la locazione del magazzino. In tale prospettiva, la doglianza della parte ricorrente volta a sostenere che la CTR, disattendendo i ricorsi proposti, avrebbe fatto scorretta applicazione dell’art. 19 d.p.r. numero 633/1972 è destituita di giuridico fondamento, non potendo certo condividersi l’assunto che intenderebbe desumere dal comma 1 dell’art. 19 del DPR numero 633/1972 il diritto del cessionario alla detrazione della fattura relativa a beni acquistati nell’esercizio dell’impresa. Ed infatti, una volta che l’amministrazione ha contestato in modo specifico i dati emergenti dalle scritture contabili del contribuente evidenziando obiettivi elementi dai quali desumere l’inattendibilità delle scritture e fatture utilizzate dal contribuente, per come si avrà modo di meglio specificare esaminando il secondo motivo di gravame, deve escludersi il diritto del contribuente ad ottenere la detrazione dell’IVA sulla base delle scritture stesse, allo stesso spettando un preciso onere di dimostrare la sussistenza, l’entità e l’inerenza del credito fatto valere in detrazione. La prospettiva ora esposta è stata, del resto, confermata da questa stessa Corte, laddove ha ritenuto che la disposizione del D.P.R. numero 633 del 1972, art. 19 secondo la quale è detraibile dall’ ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa” , in considerazione del particolare meccanismo che presiede al funzionamento dell’ IVA” va letta in coerenza con quanto prescritto dagli articolo 17 e 20 della sesta direttiva del Consiglio CEE numero 77/388 e del principio affermato dalla Corte di Giustizia CEE con sentenza 13 dicembre 1989 causa C-342/87 nel senso che il diritto alla detrazione non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, che l’imposta sia effettivamente dovuta e, cioè, corrispondente ad operazione effettivamente soggetta all’IVA Cass., trib. 16 luglio 2003 numero 11110 5 giugno 2003 numero 8959 2 settembre 2002 numero 12758 26 ottobre 2001 numero 13222 27 giugno 2001 numero 8786 ” – Cass. numero 5912 del 2C10-. Sulla base di tali principi, ai quali il Collegio intende dare continuità, deve escludersi che il giudice di appello sia incorso nel prospettato vizio di violazione di legge. Ed è appena il caso di aggiungere che la doglianza appena esaminata, nella parte in cui pone in discussione gli esiti motivazionali del giudice di appello, ipotizzando la piena dimostrazione del carattere non fittizio delle operazioni negoziali e dell’erroneità della motivazione in quanto non conforme al materiale probatorio versato agli atti, si indirizza verso profili di illegittimità sussumibili nell’art. 360 comma 1 numero 5 c.p.c. che la stessa Curatela si è ben guardata dall’ipotizzare nella detta doglianza e che, per l’effetto, non possono essere esaminati dal Collegio. Con il secondo motivo di ricorso la Curatela lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 2697 cod. civ., in relazione agli articolo 19, 21 e 54 D.P.R. numero 633/1972. Lamenta in particolare la Curatela che il giudice di appello, richiamando un principio giurisprudenziale espresso da questa Corte epperò successivamente superato in sede di nomofilachia, aveva ritenuto di addossare sul contribuente l’onere di comprovare l’esistenza del diritto alla detrazione per l’IVA relativa alle due fatture, senza invece avvedersi che detto onere doveva ritenersi a carico dell’Amministrazione, tenuta a comprovare la fittizietà delle operazioni fatturate. Rilevava, ancora, che l’ufficio si era limitato a contestare gli elementi addotti dalla curatela a sostegno dell’ esistenza delle operazioni, senza dedurre alcun positivo elemento idoneo ad asseverare l’inesistenza delle stesse e, ancora, che le allegazioni dell’Amministrazione erano state comunque puntualmente e dettagliatamente contestate dalla stessa ricorrente. Anche tale motivo di ricorso è giuridicamente infondato. Ad onta di quanto postulato dalla parte ricorrente, il giudice di appello si è integralmente e puntualmente confortato all’orientamento espresso da questa Corte a proposito dell’onere della prova in tema di fatture per operazioni inesistenti. Più volte questa Corte ha avuto modo di affrontare il tema dell’onere della prova che governa le ipotesi di operazioni per fatture inesistenti e ritiene qui di offrire, anche in chiave nomofilattica, alcune linee di indirizzo nel solco della giurisprudenza già formatasi in questa Sezione sul tema. Orbene, in caso di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, si deve ritenere che non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva. La tenuta delle scritture e dei documenti contabili i cui dati vengono utilizzati dal contribuente ed esposti nella dichiarazione fiscale, non onera, infatti, il contribuente anche alla ulteriore indicazione degli elementi probatori attestanti la effettiva corrispondenza alla realtà dei dati indicati in fattura, trascritti nei registri obbligatori e riportati nella dichiarazione annuale. Incombe, invece, sull’amministrazione che adduce la falsità del documento e quindi l’inesistenza di un maggiore imponibile l’onere di dimostrare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere. Tale prova è raggiunta dall’Amministrazione allorché questa fornisca aggettivi elementi per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni anche solo parzialmente fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati, ovvero la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione prova che può essere data anche attraverso i verbali relativi ad ispezioni seguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti” in possesso dell’Ufficio – v. Cass. numero 9108/2012. E’, infatti, l’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, numero 633 ad assumere rilevanza centrale ai fini che qui interessano, sancendo che le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte da tali risultanze,dati e notizie a norma dell’art. 53 o anche sulla base di presunzioni semplici, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove certe” – Cass. numero 9784/2010. Appare allora corretto ritenere che proprio in relazione al contenuto precettivo della disposizione appena evocata, le presunzioni semplici costituiscono, ai rilevati fini, una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. Va semmai ulteriormente evidenziato che se il fatto od i fatti indizianti allegati dalla Amministrazione finanziaria, unitariamente considerati, rivestono i caratteri della presunzione semplice nessun ulteriore dato probatorio occorrerà ai fini del raggiungimento della prova, non essendo richiesta la acquisizione a conforto” di ulteriori elementi presuntivi o probatori”. Ciò perché le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza ed infine scegliere tra gli elementi probatori sottoposti al suo esame quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. E’ anzi qui solo il caso di rammentare che in tema di presunzioni, vale il principio secondo cui non occorre che la relazione tra fatto noto e fatto ignoto presenti carattere di certezza, ma basta che abbia contenuto di ragionevole certezza, essendo sufficiente che all’ accertamento del fatto ignoto si pervenga dalla considerazione di un fatto noto attraverso un processo logico deduttivo basato sull’id quod prelumque accidit-Cass. numero 3846/1980 Cass. numero 3402/1983 Cass. numero 497/1981,Cass. 3721/1985. Una volta che l’amministrazione abbia fornito oggettivi elementi di prova, anche indiziari, in ordine all’ inesistenza dell’ operazione o all’inattendibilità della scrittura addotta dal contribuente a base della richiesta di detrazione, sarà il contribuente a dovere offrire la prova circa la verità ed inerenza dell’operazione medesima-v. Cass. numero 12802/2011, – Cass. numero 5282/2011. Ne consegue che il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla fondatezza dell’atto impositivo, sarà tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 e ss. e 2697, secondo comma, cod. civ. Orbene, dall’esame complessivo della motivazione della sentenza qui esaminata, è dato rilevare senza ombra di dubbio che la CTR ha dapprima correttamente sussunto la fattispecie posta al suo vaglio nel corretto alveo normativo, specificamente richiamando l’art. 54 DPR 633/1972 e, successivamente, evocando la giurisprudenza di legittimità che riconosce rilevanza a tutti gli elementi – anche inquadrabili nel rango delle presunzioni semplici – raccolti alla stregua di quanto precisato dallo stesso art. 54 per contestare l’inesistenza dell’operazione indicata dal contribuente mediante le fatture, ha verificato se il contribuente avesse offerto elementi idonea dimostrare la veridicità del rapporto sostanziale posto a fondamento dell’emissione delle due fatture, ritenendo di non poter ritenere dimostrato quanto sostenuto dalla curatela del fallimento F Proprie seguendo le coordinate delineate dalla giurisprudenza di questa Corte, pure espressamente richiamate attraverso il rinvio a Cass. numero 15299/2008 ed a Cass. numero 4932/2009 a proposito del valore degli elementi indiziari che l’Amministrazione doveva offrire per rendere possibile la rettifica ex art. 54 DPR numero 633/1972 v. pag. 9 sent. , il giudice di appello ha, con giudizio di fatto insindacabile in questa sede e nemmeno posto in discussione dalla ricorrente quanto alla congruità delle argomentazioni svolte, dapprima considerato che gli elementi offerti dall’Ufficio in ordine al carattere simulato tanto della vendita di merce che del contratto di locazione del magazzino ove la stessa merce era rimasta depositata – segnatamente a mancanza di movimentazione merci b mancanza di prova sull’adempimento dell’obbligazione dell’acquirente c disarmonia fra le varie denunzie fiscali e nei bilanci in ordine alla valutazione delle merci-integravano il rango di indizi gravi, precisi e concordanti- cfr. pag. 9 sentenza Emergevano quindi indizi chiari, precisi e concordanti che escludevano la veridicità dei due negozi con la conseguente rettifica della dichiarazione”-, per poi accertare che gli elementi documentali offerti dalla curatela non erano stati in grado di incrinare il valore delle presunzioni evocate dall’Ufficio-cfr. pag. 10 della sent. impugnata Nel corso del giudizio la curatela ha fornito altri documenti, di per sé non idonei a superare la prova della regolarità delle due operazioni [ .] v. anche pag. ll sent. impugnata Ciò non toglie, comunque che la ricorrente curatela, che agiva in sostituzione della F.P. s.r.l., non è riuscita a dimostrare la veridicità del rapporto sostanziale posto a fondamento della emissione delle due fatture v., ancora, pag.12 sent. In sostanza manca del tutto la prova dell’ effettività dell’ acquisto di merce di cui alla fattura 14722/2000”.Tale inidoneità è stata esplicitata dal giudice di appello, allorché questi ha integralmente condiviso le controdeduzioni rese dall’Ufficio che la CTR, dopo averle compiutamente indicate alle pagg.12, 13 e 14, ha ritenuto convincenti – cfr .pag. 15 sent. impugnata Nel caso che ci occupa la Curatela del Fallimento F.P. non ha documento in modo convincente l’avvenuto pagamento della fattura 141222 stante i rilievi di cui all’ atto di appello sopra indicati e che qui devono considerarsi integralmente richiamati. L’assenza di un contratto di locazione di data certa e la esistenza negli stessi locali sia della merce appartenente alla cedente I. che della cessionaria dimostrano la simulazione dell’atto. Appaiono sotto questo aspetto di grande rilevanza gli elementi ampiamente illustrati dall’Ufficio in ordine agli stessi organi statutari delle due società, alla localizzazione delle merci acquistate con la fattura 141222[ .] – . Sulla base di tale motivazione, la CTR ha concluso ritenendo che nessun elemento era stato fornito dalla ricorrente per smentire la tesi dell’Ufficio sull’inesistenza dei rapporti posti a fondamento delle due fatture.” Così facendo la decisione della CTR si sottrae alla critica di arbitrarietà mossa dalla parte della ricorrente sul presupposto che l’ impianto accusatorio dell’ Ufficio è stato fin dall’ origine il risultato di un’induzione arbitraria fondata su meri indizi del tutto inidonea a sostenere la pretesa” – cfr. pag. 25 ricorso-aveva pienamente rispettato i paradigmi giurisprudenziali sopra ricordati, a nulla rilevando il richiamo ivi operato ad alcuni precedenti di questa Corte – ad. es. Cass. numero 13482/2008 – non in linea con i principi sopra riportati, sui quali si incentra la doglianza per asseverare un error in iudicando della CTR che, come si è visto, non è mai occorso se si guarda all’assolutamente regolare percorso motivazionale seguito dal giudice del gravame. Ed infatti, la CTR non ha ritenuto che gli elementi offerti dalla curatela e sui quali il primo giudice aveva fondato l’accoglimento dei due ricorsi – perizia giurata di stima della società T.L. e c. sas, fatture della I., scritture contabili delle due società, ammissione al passivo dei crediti vantati dalle due società l’uno verso l’altra, verbale del collegio sindacale I., svalutazione della merce acquistata a causa del fallimento I. – integrassero la prova circa l’esistenza delle operazioni negoziali richiamate dalle due fatture ed ha, sul punto, richiamato i chiarimenti offerti dall’Ufficio, in particolare evidenziando che a dalla perizia di stima, effettuata peraltro dal Presidente del collegio sindacale della I., era emerso che la corrispondenza della merce in magazzino al 28/2/2001 era la stessa acquistata con fattura I. per come dichiarato dall’ amministratore della società – circostanza che rendeva la perizia un mero indizio b l’affitto dei locali non aveva trovato conferma in assenza di documentazione formale della locazione c non poteva ritenersi decisivo, quanto alla movimentazione merce, il contratto con la T. del quale non risultava la data certa e dal quale non risultava indicata la tipologia di merce deposita, senza dire che l’esistenza di plurime cessioni effettuate dalla F. in favore della F. a partire dal 28.2.2001, rendeva verosimile che parte di quella merce fosse stata depositata presso la TNT e non corrispondesse a quella della fattura del 2000 d quanto alle scritture contabili, al libro giornale ed ai mastrini della società, i dati dalle stesse risultanti quanto ai rapporti di acquisto con la I. erano discordanti rispetto a quelli indicati dal curatore dei fallimento F. I. che indicavano un credito relativo alla fattura 14722 di euro 2.479.206,83, a fronte del credito di euro 3.326.923,56 indicato nelle scritture prodotta dal contribuente.Discordanza che permaneva con riferimento al pagamento della stessa fattura 14722 relativa ai ricambi che la ricorrente aveva indicato essere avvenuto nella misura di euro 1.900.859,28-parte in contanti, parte per compensazione ed in parte a mezzo Banca – a fronte di un credito di euro 2.479.206,83 indicato dal curatore del Fallimento F. e i pagamenti indicati dalla contribuente come riferibili alla detta fattura per euro 200.000,00 dell’ 8.1.2000 e di euro 80.000,00 del 31.7.2000 si riferivano a bonifici della I.D. a favore della I. spa, quelli a mezzo banca non erano accompagnati da documentazione giustificativa del pagamento della fatture e quelli per compensazione si riferivano anche ad una fattura diversa da quella relativa ai ricambi, riguardando una compensazione annotata a libro giornale tra soggetti riconducibili al medesimo centro decisionale che aveva arbitrariamente deciso di svalutare il proprio credito verso la F In definitiva, il giudice di appello riteneva che il coacervo di elementi offerti dall’Amministrazione, unitamente all’assenza di bolle di consegna della merce e del contratto di locazione, tutti univocamente orientati a confermare la fittizietà delle operazioni e la simulazione del contratto di locazione, non fossero stati efficacemente superati dalla curatela ricorrente, la quale non aveva fornito elementi per smentire l’assunto dell’ Amministrazione circa l’inesistenza dei rapporti posti a fondamento delle due fatture. Resta solo da chiarire che la diversa ricostruzione e ponderazione degli elementi probatori che la curatela ha diffusamente esposto nel ricorso non può essere in alcun modo scrutinata da questa Corte, non essendo stati prospettati vizi motivazionali in ordine alla congruità dell’iter motivazionale seguito dalla CTU sussumibili, com’è noto, nel paradigma di cui all’art. 360 comma 1 numero 5 c.p.c Senza dire che spetta solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova. Ciò che esonera la Corte dalla relativa verifica di congruità in assenza di prospettati vizi sussumibili nell’art. 360 comma 1 numero 5 c.p.c. Il ricorso va per l’effetto rigettato, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Respinge il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidandole in euro 12.000,00, oltre spese prenotate a debito.