Non v’è dubbio che una delle più importanti novità introdotte dalla legge numero 247/12, contenente, com’è noto, le norme relative alla riforma della professione forense, è quella relativa all’osservanza del principio della tipizzazione della condotta per le norme che hanno rilevanza disciplinare.
La nuova concezione formale dell’illecito disciplinare. Prova ne sia che l’articolo 3, comma 3, della suddetta legge numero 247/12, prevede che « il codice deontologico stabilisce le norme di comportamento che l’avvocato è tenuto ad osservare in via generale e, specificamente, nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte, con altri avvocati e con altri professionisti. Il codice deontologico espressamente individua tra le norme in esso contenute quelle che, rispondendo alla tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio della professione, hanno rilevanza disciplinare. Tali norme, per quanto possibile, devono essere caratterizzate dall’osservanza del principio della tipizzazione della condotta e devono contenere l’espressa indicazione della sanzione applicabile». Il legislatore è quindi arrivato, anche se non può essere sottovalutato l’inciso per quanto possibile, contenuto nella norma di cui sopra, a concepire, anche in sede disciplinare, la cosiddetta legalità formale dell’illecito, così come avviene nel diritto penale per il reato cfr., sul concetto di concezione formale del reato e contrapposizione tra legalità formale e legalità sostanziale, F. Mantovani, “Diritto penale”, Padova, 1988, pag. 50 e segg. . La scelta operata dal legislatore è davvero importante visto che il codice deontologico attualmente in vigore non è caratterizzato dal principio di tipicità. L’articolo 60 del suddetto codice deontologico, pur caratterizzato dalla rubrica relativa al titolo come “norma di chiusura”, in realtà sancisce il principio di atipicità dell’illecito deontologico. Tant’è vero che tale norma stabilisce quanto segue «le disposizioni specifiche di questo codice costituiscono esemplificazioni dei comportamenti più ricorrenti e non limitano l’ambito di applicazione dei principi generali espressi». Appare quindi evidente che il legislatore, con l’introduzione del principio di tipizzazione della condotta rilevante ai fini deontologici, pretende una precisa evoluzione di tutto il sistema della responsabilità disciplinare degli avvocati che dovrà essere modificato così da passare dall’atipicità odierna alla tipicità delle condotte rilevanti. Ne discende, in maniera evidente ed immediata, che vi è la precisa volontà di garantire maggiormente l’avvocato che, a differenza odierna, in futuro potrà conoscere quali specifici comportamenti siano da considerarsi illecito disciplinare è bene peraltro segnalare che nel codice deontologico, attualmente vigente, si trovano già esempi di condotte che sono, seppur in maniera succinta, già specificate, si pensi, per esempio, all’articolo 37 in tema di conflitto di interessi o all’articolo 40 in tema di obbligo di informazione . Tipizzazione per quanto possibile e indicazione della sanzione. Come abbiamo visto poc’anzi l’articolo 3 della nuova legge professionale dell’avvocato, oltre a stabilire il principio di tipizzazione della condotta e vedremo, tra poco, in che cosa consiste , dispone che le norme disciplinari dovranno espressamente contenere l’indicazione della sanzione applicabile. Anche quest’ultima è novità di non poco conto visto e considerato che nessuna delle norme del codice deontologico attualmente vigente prevede una sanzione ed è rimessa alla discrezionalità dell’organo giudicante sia la qualificazione del fatto, sia la gravità disciplinare del medesimo, sia infine la scelta della pena da applicare tra quelle previste la nuova legge, modificando la precedente, prevede quattro sanzioni e precisamente avvertimento e censura, di natura non interdittiva e sospensione e radiazione, di natura interdittiva . Con l’introduzione del principio di tipicità della condotta il primo dato concreto che si deve considerare è quello relativo alla circostanza in forza della quale, allorquando si sarà proceduto alla modifica del codice deontologico, l’illecito disciplinare dell’avvocato sarà ciò e soltanto ciò che è previsto dal codice stesso come tale. Quindi, in altre parole, vi saranno norme che dovranno delineare ipotesi specifiche di condotta disciplinarmente rilevante con la conseguenza che l’illecito disciplinare diventerà fatto tipico astrattamente previsto dalla norma. Una vera e propria traslazione sul piano deontologico di quanto già previsto da numerosi decenni in ambito penale. Difficile pensare che qualcuno possa non capire la differenza tra nuovo e vecchio sistema disciplinare il nuovo illecito dell’avvocato sarà costruito con l’indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie che si vuol sanzionare e pertanto saranno soddisfatte quelle esigenze di garanzia e di certezza che, a ben vedere, sono proprie del diritto di difesa. Per essere ancora più concreti si pensi, ad esempio, a come si dovrà intervenire sull’articolo 20 del codice deontologico forense. Quest’ultima norma prevede il divieto di uso di espressioni sconvenienti e offensive, espressioni che l’avvocato deve evitare di usare negli scritti in giudizio, nell’attività professionale in genere, sia nei confronti dei colleghi, che nei confronti dei Magistrati, delle controparti e dei terzi. Orbene, non v’è dubbio che la norma, che tra l’altro è già abbastanza specifica nella sua attuale formulazione, dovrà specificare in futuro che cosa si debba intendere per espressione sconveniente oppure per espressione offensiva. Non solo, siccome la norma in questione è attualmente applicabile indipendentemente dalle disposizioni civili e penali, si dovrà specificamente indicare quali dovranno essere le caratteristiche della portata più ampia del rilievo deontologico rispetto alle norme processuali e sostanziali si pensi, ad esempio, alla disposizione dell’articolo 89 c.p.c. e anche alla disposizione dell’articolo 598 c.p. . Un intervento non di scarso rilievo tenuto conto che la norma, sempre, ovviamente, quella attualmente in vigore, esclude ogni esimente anche per ritorsione, provocazione, o reciprocità nel caso delle offese. E’ infine possibile che in un caso come quello dell’articolo 20 si debba arrivare anche a graduare la sanzione poiché non v’è dubbio che l’espressione offensiva è ontologicamente più grave dell’espressione semplicemente sconveniente. L’onere di tipizzazione della condotta dovrà pertanto coniugarsi anche con questi aspetti più puramente sanzionatori. Il concetto di tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio della professione. Come abbiamo notato in precedenza l’articolo 3, comma 3, della nuova legge professionale si richiama espressamente al principio di tutela del pubblico interesse al corretto esercizio della professione, tant’è vero che l’onere di tipizzare le condotte parrebbe riguardare le sole norme che sono da porsi in relazione al pubblico interesse stesso. Ciò significa, in altre parole, che la tipizzazione delle condotte in sede disciplinare riguarderà solo questo specifico nucleo di norme. Peraltro tale indicazione non pare limitare più di tanto la volontà del legislatore di modificare il sistema disciplinare, poiché le norme del codice deontologico, nella stragrande maggioranza, sono tutte caratterizzate da finalità pubblica e comunque finalizzate al corretto esercizio della professione forense. Semmai una precisa limitazione alla riforma del sistema deve individuarsi in quell’inciso, già richiamato, per cui la tipizzazione dovrà avvenire per quanto possibile. Il legislatore, quindi, ammette implicitamente che la sfera deontologica è così particolare tanto da essere impossibile una completa tipizzazione delle condotte. In alcuni casi, infatti, l’avvocato dovrà comunque ritenersi obbligato ad osservare quei principi generali di dignità e decoro che sono corollari necessari della professione forense e che potranno essere oggetto di valutazione disciplinare a prescindere da una specifica indicazione del dato riguardante l’indicazione specifica degli elementi relativi alla condotta. Vero è che ciò può rappresentare una diminuzione delle garanzie difensive, ma è altrettanto vero che l’esperienza, relativa a circa 80 anni di applicazione della vecchia legge professionale e delle vecchie norme integrative sull’ordinamento, ha dimostrato come la professione forense, proprio per la sua peculiarità, è legata al rispetto di principi generali, quali, ad esempio, la dignità e il decoro sopra richiamati, in maniera inequivocabile. Brevi considerazioni conclusive. A parere di chi scrive la nuova legge professionale è senz’altro condivisibile laddove stabilisce l’osservanza del principio di tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante ed è anzi auspicabile che la tipizzazione venga prevista il più possibile. Intanto perché, come abbiamo visto poco sopra, ciò rappresenta senz’altro un ampliamento delle garanzie difensive per l’avvocato che dovesse trovarsi nella non facile situazione di incolpato dinanzi al nuovo Consiglio Distrettuale di Disciplina. Secondariamente perché non può negarsi la funzione importante ed unica dell’avvocato che svolge un ruolo di fondamentale importanza nell’ambito dell’esercizio della giurisdizione e proprio per questo motivo l’atipicità del codice deontologico forense in vigore lasciava, almeno in certi casi, perplessi circa la reale effettività di garanzie difensive dell’incolpato. Infine perché queste ultime saranno accompagnate dall’obbligo di prevedere, per ogni fattispecie disciplinarmente rilevante, l’indicazione della sanzione applicabile. Non resta quindi che attendere gli esiti della rivisitazione del codice deontologico e verificare, in concreto, se l’occasione, davvero unica, offerta dal legislatore, sarà sfruttata in maniera adeguata. Credo che molti avvocati si aspettino proprio un intervento significativo che consenta di garantire maggiormente il diritto di difesa in sede disciplinare.