Immissioni maleodoranti dalla stazione di servizio: il proprietario del fondo vicino sia più tollerante!

L’azione di manutenzione è diretta a tutelare il potere di fatto esercitato su una cosa, e non la titolarità del corrispondente diritto reale che invece rileva nel giudizio petitorio , sicché, al fine dell’accoglimento di tale azione, è necessario accertare se le turbative denunciate attentino all’integrità del possesso, determinando un apprezzabile modificazione o limitazione del suo precedente esercizio.

Ne consegue che, in caso di azione di manutenzione volta a reprimere l’inosservanza da parte del vicino delle distanze legali, la sussistenza della dedotta molestia deve essere valutata in rapporto alla situazione possessoria preesistente e, quindi, allo stato di fatto esistente prima dell’intervento indicato come lesivo del possesso. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella pronuncia numero 8731 del 15 aprile 2014. Il caso. Il titolare della nuda proprietà di un immobile nonché il titolare del diritto di abitazione sullo stesso adivano l’Autorità Giudiziaria al fine di far cessare le immissioni di odori, gas ed esalazioni provenienti dalla vicina area adibita a servizio di distribuzione di carburanti. Nella specie, la domanda veniva formulata a seguito dei lavori di demolizione e ripristino degli impianti eseguiti dalla società che gestiva la stazione di servizio, nella quale era stata edificata una nuova costruzione a meno di un metro dal confine, con conseguenti immissioni di gas e fumo che avevano alterato le normali condizioni di stabilità dell’area. I ricorrenti, pertanto, chiedevano la condanna alla cessazione delle molestie mediante demolizione della costruzione eretta in violazione delle distanze e adozione di ogni misura opportuna per eliminare o attenuare le immissioni, nonché al risarcimento dei danni. La domanda veniva rigettata sia in primo che in secondo grado, sicché gli attori si rivolgevano alla Corte di Cassazione. L’aumento di volumetria integra una “nuova costruzione”. I ricorrenti censurano la sentenza di merito per aver ritenuto che la nuova costruzione realizzata dal convenuto in violazione delle distanze legali, pur avendo una superficie di ingombro ed una volumetria maggiori rispetto a quella preesistente, non concretasse una molestia possessoria in danno degli esponenti. La censura muoveva altresì dal presupposto che la violazione delle distanze legali nelle costruzioni integra una molestia al possesso del fondo finitimo, contro la quale è data azione di manutenzione a prescindere dalla concreta compressione dell’esercizio del possesso sul fondo confinante. La Suprema Corte, pur condividendo l’assunto per cui, in materia urbanistica, l’aumento di superficie e di volumetria è sufficiente a rendere l’intervento edilizio non riconducibile al paradigma normativo della “ristrutturazione” o della “ricostruzione”, bensì a quello della “nuova costruzione” – come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento di tale intervento – rigetta il motivo di ricorso. I presupposti dell’azione di manutenzione. Invero, a giudizio della Suprema Corte, sebbene sia data al possessore azione di manutenzione ex articolo 1170 c.c. in presenza di una violazione delle distanze legali tra costruzioni, costituendo la stessa attentato alla libertà del fondo finitimo, al fine dell’accoglimento di tale azione è necessario accertare se le turbative denunciate attentino all’integrità del possesso, determinando un apprezzabile modificazione o limitazione del suo precedente esercizio. Ciò in quanto l’azione di manutenzione è diretta a tutelare il potere di fatto esercitato su una cosa, e non la titolarità del corrispondente diritto reale, che invece rileva nel giudizio petitorio. Pertanto, in caso di azione di manutenzione volta a reprimere l’inosservanza da parte del vicino delle distanze legali, la sussistenza della dedotta molestia deve essere valutata in rapporto alla situazione possessoria preesistente. Nella specie, il nuovo fabbricato eretto dal convenuto, pur presentando una maggiore superficie di ingombro ed una maggiore volumetria rispetto a quello preesistente, era stato posizionato ad una distanza dal confine superiore rispetto a quella in cui si trovava la precedente costruzione, sicché doveva escludersi che per effetto della nuova opera si fosse verificata, sotto il profilo della distanza, una apprezzabile compromissione della pregressa situazione possessoria. Le immissioni non superano la normale tollerabilità. Del pari priva di pregio si è mostrata l’ulteriore censura sollevata dai ricorrenti relativamente alla decisione della Corte di merito di respingere la tutela possessoria invocata in base ad un’acritica adesione alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, che avrebbe ritenuto le immissioni di odori, gas ed esalazioni rientranti entro i limiti della ordinaria tollerabilità. Invero, la Corte d’Appello, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ha motivatamente escluso che, in condizioni di ordinario esercizio, sia le operazioni di rifornimento degli autoveicoli, sia le operazioni di riempimento della cisterna, determinassero immissioni di vapori di benzina avvertibili all’olfatto nelle immediate vicinanze, sicché, a fronte dell’accertamento delle oggettive caratteristiche dell’impianto compiuto dall’ausiliario, motivatamente la sentenza impugnata aveva ritenuto le dichiarazioni testimoniali rese in giudizio inidonee a fondare l’affermazione della sussistenza di immissioni nel fondo degli appellanti eccedenti la normale tollerabilità.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 febbraio - 15 aprile 2014, numero 8731 Presidente Oddo – Relatore Matera Svolgimento del processo Con ricorso ex articolo 1170 c.c. datato 6-4-1998 l'av. C.C. e M.L. , premesso di essere rispettivamente titolari della nuda proprietà e del diritto di abitazione dell'edificio situato in OMISSIS e del giardino prospiciente confinanti con un'area del Comune adibita a servizio di distribuzione di carburanti, lamentavano che nel corso del 1997 la Esso s.p.a. aveva intrapreso lavori di demolizione e ripristino degli impianti, installando una nuova pensilina, sostituendo alcuni serbatoi di stoccaggio del carburante, installandone uno nuovo ed edificando una nuova costruzione a meno di un metro dal confine e che, per effetto di tali opere, le immissioni provocate da gas e fumo e dalle costanti esalazioni provenienti dalle vetture e dalla evaporazione degli idrocarburi alteravano le normali condizioni di stabilità dell'area, costringendo la M. e i suoi familiari a tenere sigillate le finestre e impedendole di fruire dell'area adibita a giardino. I ricorrenti, pertanto, chiedevano la condanna della Esso alla cessazione delle molestie arrecate al loro possesso, mediante demolizione della costruzione eretta in violazione delle distanze e adozione di ogni misura opportuna per eliminare o attenuare le immissioni, nonché al risarcimento dei danni. Nel costituirsi, la società Esso contestava ogni addebito. Con sentenza in data 2-8-2002 il Tribunale di Belluno, Sezione Distaccata di Pieve di Cadore, rigettava la domanda. Avverso la predetta decisione proponevano appello il C. e la M. . Con sentenza in data 5-4-2007 la Corte di Appello di Venezia rigettava il gravame. La Corte territoriale, aderendo alle valutazioni espresse dal primo giudice, rilevava, quanto alla dedotta violazione delle norme sulle distanze, che la nuova costruzione realizzata dal convenuto, pur avendo una superficie d'ingombro maggiore rispetto a quella preesistente, era stata posizionata ad una distanza sia pur di poco superiore a quella in cui si trovava la precedente costruzione e che, pertanto, doveva escludersi la configurabilità di un'apprezzabile compromissione della pregressa situazione possessoria. Quanto alle dedotte molestie possessorie per immissioni, il giudice del gravame escludeva, sulla base delle risultanze dell'espletata consulenza tecnica d'ufficio, che in condizioni di ordinario esercizio sia le operazioni di rifornimento degli autoveicoli, sia le operazioni di riempimento della cisterna, determinassero immissioni di vapori di benzina avvertibili all'olfatto nelle immediate vicinanze. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso il C. e la M. , sulla base di tre motivi. La Esso Italiana s.r.l. ha resistito con controricorso. In prossimità dell'udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo i ricorrenti lamentano l'omessa, insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione, in ordine all'affermazione secondo cui la nuova costruzione realizzata dal convenuto in violazione delle distanze legali, pur avendo una superficie di ingombro ed una volumetria maggiori rispetto a quella preesistente, non concreta una molestia possessoria in danno degli esponenti, essendo rimasta sostanzialmente invariata la distanza dal confine rispetto alla precedente costruzione. Nel premettere che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, il nuovo manufatto risulta posizionato ad una distanza minore, e non maggiore, rispetto al precedente fabbricato, sostengono che, trattandosi di nuova costruzione, la violazione delle distanze deve essere valutata con riferimento al nuovo fabbricato e che il fatto che la distanza dal confine della nuova costruzione sia sostanzialmente analoga a quella del fabbricato preesistente non vale ad escludere che tale nuova costruzione comporti una molestia al possesso del fondo dominante. Fanno presente, in particolare, che il maggiore ingombro del nuovo fabbricato dipende anche dalla circostanza che il lato a minore distanza da quella legale rispetto al confine è attualmente più lungo, risultando così pregiudicati dall'intervento edilizio di controparte punti di confine che non erano mai stati interessati dalla compressione per violazione della distanza. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli articolo 873, 1170 c.c. e 31 l. 5-8-1978 numero 457. Deducono che la violazione delle distanze legali nelle costruzioni integra una molestia al possesso del fondo finitimo, contro la quale è data azione di manutenzione, anche a prescindere dalla concreta compressione dell'esercizio del possesso sul fondo confinante. Sostengono che non rileva, in contrario, il fatto che nella specie preesistesse un manufatto posto nella medesima posizione, dal momento che l'intervento edilizio realizzato dalla convenuta non si è concretato in una semplice ristrutturazione o ricostruzione , bensì in una nuova costruzione , che ha raddoppiato le superfici e volumetrie della precedente sagoma d'ingombro. I due motivi, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, devono essere disattesi. È ben vero che, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza, in materia urbanistica, anche alla luce dei criteri di cui all'articolo 31, primo comma lettera d , della legge 5 agosto 1978, numero 457, la semplice constatazione dell'aumento di superficie e di volumetria è sufficiente a rendere l'intervento edilizio non riconducibile al paradigma normativo della ristrutturazione o della ricostruzione , bensì a quello della nuova costruzione , come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento di tale intervento v. per tutte Cass. Sez. Unumero 19-10-2011 numero 21578 . È altresì certo che le violazioni delle distanze legali tra costruzioni - al pari di qualsiasi atto del vicino idoneo a determinare situazioni di fatto corrispondenti all'esercizio di una servitù - sono denunciabili ex articolo 1170 c.c. con l'azione di manutenzione nel possesso, costituendo attentati alla libertà del fondo di fatto gravato, e, pertanto, turbative nell'esercizio del relativo possesso tra le tante v. Cass. 29-11-2004 numero 224214 Cass. 24-11-2003 numero 17868 Cass. 25-3-1998 numero 3147 . Deve, tuttavia, rilevarsi che, poiché l'azione di manutenzione è diretta a tutelare il potere di fatto esercitato su una cosa, e non la titolarità del corrispondente diritto reale - che invece rileva nel giudizio petitorio -, al fine dell'accoglimento di tale azione è necessario accertare se le turbative denunciate attentino all'integrità del possesso, determinando un'apprezzabile modificazione o limitazione del modo del suo precedente esercizio. Ne consegue che, in caso di azione di manutenzione volta a reprimere l'inosservanza da parte del vicino delle distanze legali, la sussistenza della dedotta molestia deve essere valutata in rapporto alla situazione possessoria preesistente e, quindi, allo stato di fatto esistente prima dell'intervento indicato come lesivo del possesso. Nella specie il giudice del gravame, con motivazione immune da vizi logici e con apprezzamento in fatto non censurabile in questa sede, ha accertato che il nuovo fabbricato eretto dal convenuto, pur presentando una maggiore superficie di ingombro ed una maggiore volumetria rispetto a quello preesistente, è stato posizionato ad una distanza dal confine superiore, sia pur di poco, rispetto a quella in cui si trovava la precedente costruzione. Correttamente, pertanto, alla luce degli enunciati principi, la sentenza impugnata ha escluso che per effetto della nuova opera si sia verificata, sotto il profilo della distanza, una apprezzabile compromissione della pregressa situazione possessoria, che risulta, anzi, leggermente migliorata. Non sussistono, di conseguenza, le violazioni di legge e i vizi di motivazione denunciati con i motivi in esame. Deve, piuttosto, rilevarsi che le deduzioni svolte dai ricorrenti per sostenere che la nuova costruzione del convenuto è posta a distanza dal confine inferiore a quella in cui sorgeva il vecchio fabbricato, si sostanziano in mere censure di merito, che mirano ad ottenere una diversa valutazione delle emergenze processuali rispetto a quella compiuta dal giudice di appello, non consentita in sede di legittimità. L'ulteriore affermazione dei ricorrenti, secondo cui il nuovo fabbricato si estende sul confine per una lunghezza maggiore rispetto a quello preesistente, introduce una questione che dalla lettura della sentenza impugnata e dello stesso ricorso non risulta essere stata dedotta con i motivi di appello e che, pertanto, implicando la necessità di nuove indagini di fatto, non può essere fatta valere in questa sede. 2 Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono dell'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostengono che la Corte di Appello ha respinto la tutela possessoria invocata in relazione alle immissioni di odori, gas ed esalazioni oltre i limiti della ordinaria tollerabilità, in base ad un'acritica adesione alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, che ha immotivatamente ritenuto prevalenti rispetto alle testimonianze acquisite. Il motivo non è meritevole di accoglimento. La Corte di Appello ha motivatamente disatteso il motivo di gravame concernente le molestie possessorie per immissioni, escludendo, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, che, in condizioni di ordinario esercizio, sia le operazioni di rifornimento degli autoveicoli, sia le operazioni di riempimento della cisterna, determinino immissioni di vapori di benzina avvertibili all'olfatto nelle immediate vicinanze. A fronte dell'accertamento delle oggettive caratteristiche dell'impianto compiuto dall'ausiliario, la sentenza impugnata ha ritenuto le dichiarazioni rese dai testi D.V.G. e L.S. , facenti riferimento ad un odore molto forte , ma non costante né continuo, percepibile specie in periodo estivo, inidonee a fondare l'affermazione della sussistenza di immissioni nel fondo degli appellanti, provenienti dall'impianto di distribuzione carburanti, eccedenti la normale tollerabilità. Il giudizio espresso al riguardo dal giudice del gravame, essendo sorretto da argomentazioni immuni da vizi logici, si sottrae al sindacato di questa Corte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova Cass. 14-10-2010 numero 21224 Cass. 5-3-2007 numero 5066 Cass. 21-4-2006, numero 9368 Cass. 20-4-2006, numero 9234 Cass. 16-2-2006, numero 3436 Cass. 20-10-2005 numero 20322 . 3 Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dalla società resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.