La Consulta eleva la soglia di punibilità a 103.291,38 euro

Con la sentenza numero 80 del 2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 10 ter, d.lgs. numero 74/2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’Imposta sul Valore Aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, a 103.291,38 euro, ravvisando la violazione del principio di uguaglianza ex articolo 3 Cost.

La disciplina censurata. L’articolo 10 ter, d.lgs. numero 74/2000, rubricato «Omesso versamento di Iva», è stato introdotto nel luglio 2006 insieme all’articolo 10 quater, a sua volta rubricato «Indebita compensazione» articolo 35, d.l. numero 223/2006, convertito, con modificazioni, dalla l. numero 248/2006 in base alla norma incriminatrice oggetto del vaglio di costituzionalità, è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni «chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo» vale a dire entro il 27 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento ex articolo 6, comma 2, l. numero 405/1990 per un ammontare superiore a 50mila euro per ciascun periodo d’imposta. Come ricordato dalla Corte Costituzionale, l’introduzione di tale disciplina rientra nella strategia di revisione del sistema penale tributario finalizzata ad estendere l’intervento repressivo dalla sola fase dell’autoliquidazione del tributo a quella della riscossione del debito di imposta indicato nella dichiarazione annuale mediante versamento diretto. Vi è una irragionevole disparità di trattamento rispetto al reato di omessa dichiarazione ante 2011 ? Le questioni di costituzionalità sono state sollevate assumendo quale tertium comparationis il reato di omessa dichiarazione ex articolo 5, d.lgs. numero 74/2000 tale disciplina è stata modificata con effetto dal 17 settembre 2001 articolo 2, d.l. numero 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. numero 148/2011 abbattendo la soglia di punibilità da 77.468,53 euro a 30.000 euro. Secondo il Giudice a quo, con riferimento alle violazioni anteriori al 17 settembre 2011 l’articolo 10 ter violerebbe il principio di uguaglianza ex articolo 3 Cost. determinando una irragionevole disparità di trattamento fra il soggetto che, essendo tenuto a versare l’Iva per un importo compreso tra 50.000 euro e 77.468,53 euro, abbia omesso la dichiarazione annuale, e il soggetto che, trovandosi nelle medesime condizioni, abbia presentato regolarmente la dichiarazione annuale e non abbia tempestivamente versato il tributo ivi liquidato il primo contribuente non sarebbe punibile a causa del mancato raggiungimento della soglia di punibilità di 77.468,53 euro prevista per l’omessa dichiarazione dall’articolo 5 d.lgs. numero 74/2000 nel testo anteriore al 17 settembre 2011, mentre il secondo contribuente sarebbe perseguito ai sensi dell’articolo 10 ter del medesimo decreto, pur avendo posto in essere una condotta meno lesiva degli interessi erariali. Il difetto di coordinamento tra le soglie di punibilità crea sperequazioni sanzionatorie. La Consulta dichiara la fondatezza della questione sollevata, rilevando il difetto di coordinamento tra la soglia di punibilità rilevante ai fini del reato di omesso versamento dell’IVA ex articolo 10 ter, d.lgs. numero 74/2000 e quella relativa ai delitti di omessa dichiarazione ex articolo 5, d.lgs. numero 74/2000 e dichiarazione infedele ex articolo 4, d.lgs. numero 74/2000, «difetto di coordinamento foriero di sperequazioni sanzionatorie che, per la loro manifesta irragionevolezza, rendono censurabile l’esercizio della discrezionalità pure spettante al legislatore in materia di configurazione delle fattispecie astratte di reato». Anteriormente alle modifiche del 2011, l’articolo 5, d.lgs. numero 74/2000 statuiva la punibilità dell’omessa dichiarazione a condizione che l’imposta evasa fosse superiore, «con riferimento a taluna delle singole imposte», a 77.468,53 euro. Secondo il Giudice delle leggi tale soglia di punibilità comportava una conseguenza palesemente illogica nel caso in cui l’IVA dovuta fosse compresa tra 50.000 euro e 77.468,53 euro, poiché «veniva trattato in modo deteriore chi avesse presentato regolarmente la dichiarazione Iva, senza versare l’imposta dovuta in base ad essa, rispetto a chi non avesse presentato la dichiarazione, evadendo del pari l’imposta». La Corte Costituzionale osserva inoltre che una discrasia analoga sussisteva con riferimento al delitto di dichiarazione infedele ex articolo 4, d.lgs. numero 74/2000, la cui soglia di punibilità stata abbassata da 103.291,38 euro a 50.000 euro con effetto dal 17 settembre 2011 articolo 2, d.l. numero 138/2011 nel caso in cui l’imposta evasa si fosse collocata nell’intervallo tra 50.000 euro e 103.291,38 euro, il contribuente che avesse presentato una dichiarazione in veritiera non sarebbe stato punibile per mancato superamento della soglia, mentre sarebbe stato perseguibile il contribuente che avesse esposto fedelmente il proprio debito nella dichiarazione e non avesse poi versato tale importo. Le sperequazioni sanzionatorie sono irragionevoli. Secondo la Consulta, il vulnus del principio di uguaglianza trova conferma nel raffronto tra le pene edittali, più gravi per l’omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele reclusione da uno a tre anni rispetto all’omesso versamento dell’Iva reclusione da 6 mesi a 2 anni il contribuente che occulta materia imponibile presentando una dichiarazione infedele o non presentando alcuna dichiarazione «tiene una condotta certamente più “insidiosa” per l’amministrazione finanziaria – in quanto idonea ad ostacolare l’accertamento dell’evasione e, nel secondo caso, a celare la stessa esistenza di un soggetto di imposta – rispetto a quella del contribuente che, dopo aver presentato la dichiarazione, omette di versare l’imposta da lui stesso autoliquidata», perché in questo modo egli «rende la propria inadempienza tributaria palese e immediatamente percepibile dagli organi accertatori». In buona sostanza, il Collegio ritiene che sia «trattato in modo deteriore chi – coeteris paribus – ha tenuto il comportamento maggiormente meno trasgressivo». Questa lettura trova conferma nelle modifiche legislative operate con il d.l. numero 138/2011 per le fattispecie successive alla data di entrata in vigore del decreto 17 settembre 2011 , in conseguenza delle quali le soglie di punibilità dell’omessa dichiarazione e della dichiarazione infedele sono state ridotte ad importi inferiori 30.000 euro o pari 50.000 euro a quello relativo all’omesso versamento dell’Iva, a sua volta rimasto inalterato. La Consulta eleva la soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’Iva ante 2011 a 103.291,38. Per rimuovere la lesione del principio di uguaglianza con riferimento alle fattispecie anteriori al 17 settembre 2011, la Corte Costituzionale ritiene necessario allineare la soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’IVA alla più alta fra le soglie di punibilità delle violazioni in rapporto alle quali si manifesta l’irragionevole disparità di trattamento, vale a dire a quella relativa alla dichiarazione infedele 103.291,38 euro .

Corte Costituzionale, sentenza 7 – 8 aprile 2014, numero 80 Presidente Silvestri – Redattore Frigo Sentenza nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, numero 74 Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, numero 205 , promossi dal Tribunale di Bologna con ordinanza del 13 giugno 2013 e dal Tribunale di Bergamo con ordinanza del 17 settembre 2013, rispettivamente iscritte ai nnumero 211 e 274 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, nnumero 41 e 52, prima serie speciale, dell’anno 2013. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2014 il Giudice relatore Giuseppe Frigo. Ritenuto in fatto 1.1.– Con ordinanza del 13 giugno 2013, il Tribunale di Bologna ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, numero 74 Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, numero 205 , nella parte in cui, limitatamente ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto IVA , dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 50.000 ma non ad euro 77.468,53. Il giudice a quo rileva come la norma censurata punisca con la pena indicata dall’articolo 10-bis del d.lgs. numero 74 del 2000 chiunque non versa, nei limiti ivi previsti, l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. Per la configurabilità del reato è dunque necessario, da un lato, che l’omesso versamento sia di importo superiore a 50.000 euro per ciascun periodo d’imposta soglia di punibilità prevista dal richiamato articolo 10-bis dall’altro, che detta imposta risulti dovuta in base alla dichiarazione annuale, regolarmente presentata. Per converso, l’articolo 5 del d.lgs. numero 74 del 2000, prima della sua modifica ad opera dell’articolo 2, comma 36-vicies semel, lettera f , del decreto-legge 13 agosto 2011, numero 138 Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo , convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, numero 148, puniva con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presentasse, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, «quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro 77.468,53». Dal raffronto tra le due disposizioni emergerebbe una irragionevole disparità di trattamento fra il soggetto che – essendo tenuto a versare l’IVA per un importo compreso nell’intervallo tra le due soglie superiore, cioè, a 50.000 euro, ma non a 77.468,53 euro – non abbia presentato la relativa dichiarazione annuale al fine di evadere l’imposta, e il soggetto che, trovandosi nelle medesime condizioni, abbia presentato regolarmente la dichiarazione senza tuttavia versare l’imposta entro il termine indicato dalla norma denunciata il 27 dicembre dell’anno successivo . Nel primo caso, infatti, il contribuente resta esente da pena, non risultando raggiunta la soglia di punibilità prevista dall’articolo 5 del d.lgs. numero 74 del 2000 per l’omessa dichiarazione nel secondo, incorre invece in responsabilità penale, anche per i fatti commessi entro il 17 settembre 2011, in ragione del superamento della soglia di 50.000 euro, prevista dalla norma censurata per l’omesso versamento. Tale assetto risulterebbe chiaramente lesivo del principio di eguaglianza, sancito dall’articolo 3 Cost., determinando il paradossale risultato di riservare un trattamento meno favorevole a chi ha tenuto la condotta meno lesiva degli interessi del fisco. La conclusione troverebbe conferma nella modifica apportata all’articolo 5 del d.lgs. numero 74 del 2000 dal citato d.l. numero 138 del 2011, che ha ridotto ad euro 30.000 la soglia di punibilità relativa all’omessa presentazione della dichiarazione annuale, portandola così al di sotto di quella prevista per l’omesso versamento dell’IVA. Siffatta modifica trova, tuttavia, applicazione solo in rapporto ai fatti commessi dopo il 17 settembre 2011, e dunque non elimina la disparità di trattamento riscontrabile con riguardo ai fatti realizzati entro detta data. La questione risulterebbe, per altro verso, «all’evidenza» decisiva «in ordine alle determinazioni sulla penale responsabilità dell’imputato», non essendo possibile «altrimenti la definizione del giudizio». 1.2.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o manifestamente infondata. Ad avviso della difesa dello Stato, la questione sarebbe manifestamente inammissibile, non avendo il rimettente descritto in alcun modo la vicenda concreta sottoposta al suo vaglio, limitandosi ad affermare la rilevanza in modo apodittico. Nel merito, la questione sarebbe comunque manifestamente infondata, dovendosi escludere che, nel frangente, la discrezionalità legislativa in tema di configurazione degli illeciti penali sia stata esercitata in modo manifestamente irragionevole o arbitrario, tenuto conto del fatto che l’articolo 10-ter del d.lgs. numero 74 del 2000 mira a rafforzare la tutela dell’interesse del fisco alla riscossione dei tributi con riferimento all’IVA, parte del cui gettito deve essere riversata all’Unione europea. L’accoglimento della questione comporterebbe, d’altra parte, sia pure per un ambito di tempo limitato, la caducazione parziale del regime sanzionatorio introdotto dalla norma censurata, in contrasto con il principio, reiteratamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, per cui non spetta alla Corte «rimodulare le scelte punitive del legislatore». 2.1.– Con ordinanza del 17 settembre 2013, il Tribunale di Bergamo ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 Cost., questione di legittimità costituzionale del medesimo articolo 10-ter del d.lgs. numero 74 del 2000, nella parte in cui prevede una soglia di punibilità inferiore a quelle stabilite, rispettivamente per i delitti di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione, dagli articolo 4 e 5 del medesimo decreto legislativo, prima delle modifiche introdotte dal d.l. numero 138 del 2011. Il giudice a quo premette di essere investito del processo penale nei confronti di una persona imputata del delitto previsto dalla norma censurata, per avere omesso, nella sua qualità di legale rappresentante di due distinte società in nome collettivo, di versare nel termine stabilito l’IVA risultante dalla dichiarazione per l’anno 2008, pari ad euro 87.475, quanto alla prima società, e ad euro 58.431 quanto alla seconda. Circostanze, queste, che sarebbero state confermate dall’istruttoria dibattimentale. Il rimettente dubita, peraltro, della legittimità costituzionale dell’articolo 10-ter del d.lgs. numero 74 del 2000, rilevando come la norma denunciata riservi al fatto da essa sanzionato un trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto a quello prefigurato per i più gravi illeciti di cui agli articolo 4 e 5 del medesimo decreto legislativo. Prima delle modifiche introdotte dal d.l. numero 138 del 2011, le disposizioni ora citate prevedevano, infatti, che la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione fossero penalmente rilevanti solo nel caso di superamento di una soglia, riferita all’imposta evasa, rispettivamente di euro 103.291,38 e di euro 77.468,53. Da ciò sarebbe derivata – e deriverebbe tuttora, posto che, nella specie, in ragione della data del commesso reato, occorre tenere conto della disciplina anteriore alla novella legislativa del 2011 – una conseguenza paradossale. Infatti, se l’imputato, quale legale rappresentante della seconda delle due società, in luogo di presentare regolarmente la dichiarazione IVA e non versare l’imposta dovuta in base ad essa euro 58.431 , avesse omesso di presentare la relativa dichiarazione, non si sarebbe reso responsabile di alcun reato, non risultando superata la soglia di punibilità prevista dall’articolo 5 del d.lgs. numero 74 del 2000. Analogamente, se l’imputato, quale legale rappresentante dell’altra società, anziché presentare regolarmente la dichiarazione IVA e non versare l’imposta dovuta in base ad essa euro 87.475 , avesse presentato una dichiarazione infedele volta ad occultare il debito di imposta, non sarebbe incorso in responsabilità penale, rimanendo la violazione al di sotto della soglia di rilevanza prevista dall’articolo 4 del d.lgs. numero 74 del 2000 e ciò a prescindere dall’ulteriore condizione prevista dalla lettera b del comma 1 di tale articolo . In questo modo, le condotte più insidiose, in quanto atte ad ostacolare l’accertamento tributario, sarebbero rimaste non punibili, contrariamente a quella, «più trasparente», del soggetto che, rappresentando regolarmente la propria posizione fiscale, abbia omesso il versamento dell’imposta da lui stesso dichiarata come dovuta. Un simile regime normativo si porrebbe inevitabilmente in contrasto con l’articolo 3 Cost., per violazione del principio di eguaglianza tanto è vero che lo stesso legislatore ha poi ridotto i limiti di rilevanza penale delle violazioni evocate in comparazione con il d.l. numero 138 del 2011, portandoli ad euro 50.000, quanto all’ipotesi di cui all’articolo 4 del d.lgs. numero 74 del 2000, e ad euro 30.000, quanto all’ipotesi di cui all’articolo 5. La questione risulterebbe, altresì, rilevante nel giudizio a quo, giacché il suo accoglimento comporterebbe il proscioglimento dell’imputato. 2.2.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata sulla base di argomentazioni analoghe, mutatis mutandis, a quelle svolte, nel merito, in riferimento all’ordinanza di rimessione del Tribunale di Bologna. Considerato in diritto 1.– Il Tribunale di Bologna dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, numero 74 Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, numero 205 , nella parte in cui, limitatamente ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto IVA , dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 50.000 ma non ad euro 77.468,53. Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe l’articolo 3 della Costituzione, determinando una irragionevole disparità di trattamento fra il soggetto che – essendo tenuto a versare l’IVA per un importo compreso nell’intervallo tra i predetti valori – non abbia presentato la relativa dichiarazione annuale al fine di evadere l’imposta, e il soggetto che, trovandosi nelle medesime condizioni, abbia presentato regolarmente la dichiarazione senza tuttavia versare l’imposta entro il termine stabilito. Nel primo caso, infatti – ove si tratti di violazione anteriore al 17 settembre 2011 – il contribuente resta esente da pena, stante il mancato raggiungimento della soglia di punibilità di 77.468,53 euro, prevista per l’omessa dichiarazione dall’articolo 5 del d.lgs. numero 74 del 2000, prima della modifica operata dall’articolo 2, comma 36-vicies semel, lettera f , del decreto-legge 13 agosto 2011, numero 138 Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo , convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, numero 148. Nel secondo caso, invece – benché si tratti di condotta meno lesiva degli interessi del fisco – il contribuente incorre in responsabilità penale, anche per i fatti commessi sino al 17 settembre 2011, in ragione del superamento della soglia di punibilità di 50.000 euro, prevista dalla norma censurata per l’omesso versamento dell’IVA. 2.– Il citato articolo 10-ter del d.lgs. numero 74 del 2000 è ritenuto in contrasto con l’articolo 3 Cost. anche dal Tribunale di Bergamo, nella parte in cui prevede, per l’omesso versamento dell’IVA, una soglia di punibilità inferiore a quelle stabilite per la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione dagli articolo 4 e 5 del medesimo decreto legislativo, prima delle modifiche apportate dal d.l. numero 138 del 2011 rispettivamente, euro 103.291,38 ed euro 77.468,53 . Secondo il rimettente, la norma denunciata violerebbe il principio di eguaglianza, assoggettando il contribuente che, dopo avere regolarmente presentato la dichiarazione annuale IVA, ometta il versamento dell’imposta, ad un trattamento paradossalmente deteriore rispetto a quello riservato al contribuente che non presenti la dichiarazione o presenti una dichiarazione infedele, occultando il debito di imposta condotte, queste ultime, più insidiose, in quanto implicanti, oltre all’evasione di imposta, anche un ostacolo all’accertamento tributario. 3.– Le ordinanze di rimessione sollevano questioni analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione. 4.– La questione sollevata dal Tribunale di Bologna è manifestamente inammissibile. Il giudice a quo, infatti, ha totalmente omesso di descrivere la fattispecie concreta sulla quale è chiamato a pronunciarsi, affermando la rilevanza della questione in termini meramente assertivi ex plurimis, ordinanze numero 192, numero 150 e numero 99 del 2013 . 5.– La questione sollevata dal Tribunale di Bergamo è fondata. La norma incriminatrice di cui all’articolo 10-ter del d.lgs. numero 74 del 2000, che delinea il reato di «omesso versamento di IVA», è stata introdotta – al pari di quella di cui al successivo articolo 10-quater che punisce il delitto di «indebita compensazione» – dall’articolo 35, comma 7, del decreto-legge 4 luglio 2006, numero 223 Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale , convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, numero 248. L’intervento si colloca nel quadro del processo di parziale revisione della strategia politico-criminale sottesa alla riforma penale tributaria realizzata dal d.lgs. numero 74 del 2000 strategia consistente nella focalizzazione dell’intervento repressivo preminentemente sulla fase dell’“autoaccertamento” del debito di imposta, ossia della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Ponendosi sulla scia della previsione punitiva di cui all’articolo 10-bis del d.lgs. numero 74 del 2000, aggiunto dall’articolo 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, numero 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2005 » – con cui era stato reintrodotto il delitto di omesso versamento di ritenute da parte del sostituto di imposta, soppresso dalla riforma del 2000 – la norma incriminatrice che qui interessa mira infatti a colpire, con specifico riferimento all’IVA, i fenomeni di evasione che si realizzino nella fase successiva a quella di determinazione della base imponibile vale a dire, nella fase di riscossione dell’imposta. In questa prospettiva, la norma sottoposta a scrutinio stabilisce che «la disposizione di cui all’articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo» e cioè – in forza dell’articolo 6, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, numero 405, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 1991 » – entro il 27 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento. Il richiamo della norma censurata all’articolo 10-bis dello stesso d.lgs. numero 74 del 2000, oltre ad individuare il trattamento sanzionatorio reclusione da sei mesi a due anni , vale ad estendere alla violazione in esame la soglia quantitativa di punibilità stabilita dalla disposizione richiamata per l’omesso versamento di ritenute «nei limiti ivi previsti» . L’omesso versamento dell’IVA costituisce, di conseguenza, reato solo se di «ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta». 6.– Per il modo in cui è strutturata, la previsione punitiva protegge, dunque, l’interesse del fisco alla riscossione dell’imposta così come “autoliquidata” dallo stesso contribuente. Come chiaramente si desume dalla lettera della norma, presupposto per la sua applicazione è, infatti, che il soggetto di imposta abbia presentato la dichiarazione annuale ai fini dell’IVA, dalla quale risulti un saldo debitorio superiore a 50.000 euro, senza che sia seguito il pagamento, entro il termine previsto, della somma ivi indicata come dovuta. A fronte di ciò, emerge, peraltro, un evidente difetto di coordinamento tra la soglia di punibilità inerente al delitto che interessa e quelle relative ai delitti in materia di dichiarazione di cui agli articolo 4 e 5 del d.lgs. numero 74 del 2000 dichiarazione infedele e omessa dichiarazione difetto di coordinamento foriero di sperequazioni sanzionatorie che, per la loro manifesta irragionevolezza, rendono censurabile l’esercizio della discrezionalità pure spettante al legislatore in materia di configurazione delle fattispecie astratte di reato ex plurimis, sentenze numero 68 del 2012, numero 273 e numero 47 del 2010 . Anteriormente alle modifiche legislative di cui poco oltre si dirà, l’articolo 5 del d.lgs. numero 74 del 2000 richiedeva, per la punibilità dell’omessa dichiarazione consistente nel fatto di chi, «al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte» , che l’imposta evasa fosse superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro 77.468,53. Ciò comportava una conseguenza palesemente illogica, nel caso in cui l’IVA dovuta dal contribuente si situasse nell’intervallo tra le due soglie eccedesse, cioè, i 50.000 euro, ma non i 77.468,53 euro . In tale evenienza, infatti, veniva trattato in modo deteriore chi avesse presentato regolarmente la dichiarazione IVA, senza versare l’imposta dovuta in base ad essa, rispetto a chi non avesse presentato la dichiarazione, evadendo del pari l’imposta. Nel primo caso, il contribuente avrebbe dovuto rispondere del reato di omesso versamento dell’IVA, stante il superamento della relativa soglia di punibilità nel secondo sarebbe rimasto invece esente da pena, non risultando attinto il limite di rilevanza penale dell’omessa dichiarazione. Analoga discrasia era ravvisabile in rapporto alla dichiarazione infedele consistente nel fatto di chi, fuori dei casi previsti dagli articolo 2 e 3 del d.lgs. numero 74 del 2000, «al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi» , la cui punibilità presupponeva, ai sensi dell’articolo 4, che l’imposta evasa risultasse superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro 103.291,38. Laddove, infatti, l’IVA da versare si collocasse tra l’uno e l’altro limite di rilevanza 50.000 e 103.291,38 euro , fruiva di un miglior trattamento il contribuente che presentasse una dichiarazione inveritiera non punibile per mancato superamento della relativa soglia , rispetto al contribuente che esponesse invece fedelmente la propria situazione in dichiarazione, salvo poi a non versare l’imposta di cui si era riconosciuto debitore. La lesione del principio di eguaglianza insita in tale assetto è resa manifesta dal fatto che l’omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele costituiscono illeciti incontestabilmente più gravi, sul piano dell’attitudine lesiva degli interessi del fisco, rispetto all’omesso versamento dell’IVA e ciò, nella stessa considerazione del legislatore, come emerge dal raffronto delle rispettive pene edittali reclusione da uno a tre anni, per i primi due reati da sei mesi a due anni, per il terzo . Il contribuente che, al fine di evadere l’IVA, presenta una dichiarazione infedele, tesa ad occultare la materia imponibile, o non presenta affatto la dichiarazione, tiene una condotta certamente più “insidiosa” per l’amministrazione finanziaria – in quanto idonea ad ostacolare l’accertamento dell’evasione e, nel secondo caso, a celare la stessa esistenza di un soggetto di imposta – rispetto a quella del contribuente che, dopo aver presentato la dichiarazione, omette di versare l’imposta da lui stesso autoliquidata omissione che può essere dovuta alle più varie ragioni, anche indipendenti da uno specifico intento evasivo, essendo il delitto di cui all’articolo 10-ter a dolo generico . In questo modo, infatti, il contribuente rende la propria inadempienza tributaria palese e immediatamente percepibile dagli organi accertatori sicché, in sostanza, finisce per essere trattato in modo deteriore chi – coeteris paribus – ha tenuto il comportamento maggiormente meno trasgressivo. 7.– Lo stesso legislatore ha mostrato, del resto, di essersi avveduto dell’incongruenza. L’articolo 2, comma 36-vicies semel, del d.l. numero 138 del 2011, aggiunto dalla legge di conversione numero 148 del 2011, ha infatti ridotto la soglia di punibilità dell’omessa dichiarazione a 30.000 euro lettera f e quella della dichiarazione infedele a 50.000 euro lettera d dunque, ad un importo inferiore, nel primo caso, e pari, nel secondo, a quello della soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’IVA, rimasta per converso inalterata. In tal modo, la distonia dianzi evidenziata è venuta meno. Per espressa previsione dell’articolo 2, comma 36-vicies bis, del d.l. numero 138 del 2011, le modifiche in questione sono, tuttavia, applicabili ai soli fatti successivi alla data di entrata in vigore della relativa legge di conversione 17 settembre 2011 . Né potrebbe essere altrimenti, discutendosi di modifiche di segno sfavorevole per il reo all’abbassamento delle soglie corrisponde, infatti, un ampliamento dell’area di rilevanza penale . Ne consegue che, con riguardo ai fatti commessi sino alla predetta data, il vulnus costituzionale permane. 8.– Al fine di rimuovere nella sua interezza la riscontrata duplice violazione del principio di eguaglianza è necessario evidentemente allineare la soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’IVA – quanto ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011 – alla più alta fra le soglie di punibilità delle violazioni in rapporto alle quali si manifesta l’irragionevole disparità di trattamento quella, cioè, della dichiarazione infedele euro 103.291,38 . Una disparità di trattamento similare si riscontra, in verità, anche con riferimento al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, previsto dall’articolo 3 del d.lgs. numero 74 del 2000 non, invece, con riguardo al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’articolo 2, che è privo di soglia . La circostanza resta, peraltro, in concreto irrilevante sugli esiti dell’odierno giudizio, giacché la soglia di punibilità relativa a tale delitto è uguale a quella dell’omessa dichiarazione e, dunque, inferiore a quella della dichiarazione infedele, cui va ragguagliata, per quanto detto, la declaratoria di illegittimità costituzionale . Irrilevante risulta anche la circostanza che, tanto per la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici che per la dichiarazione infedele, sia prevista – in aggiunta alla soglia di punibilità riferita all’imposta evasa – una ulteriore e concorrente soglia, riferita all’«ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione» articolo 3, comma 1, lettera b, e 4, comma 1, lettera b . Tale soglia è, infatti, chiaramente inconciliabile con la materialità del delitto di omesso versamento dell’IVA, che prescinde dalla sottrazione all’imposizione di elementi attivi. 9.– L’articolo 10-ter del d.lgs. numero 74 del 2000 va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’IVA, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38. Per Questi Motivi la Corte Costituzionale Riuniti i giudizi, 1 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, numero 74 Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, numero 205 , nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38 2 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74, sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Tribunale di Bologna con l’ordinanza indicata in epigrafe.