G8: condannato ai domiciliari il dirigente della PS

Alcun giudizio di meritevolezza trova cittadinanza per l’applicazione dell’istituto della detenzione domiciliare speciale prevista dalla Legge n. 199/2010, laddove siano presenti i limiti di pena, il limite temporale e l’assenza di requisiti ostativi personali e relativi al tipo di reato la cui condotta è da espiare fine dell’istituto è alleggerire il carico carcerario.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 6138 del 10 febbraio 2014. Il caso. Il dirigente della PS era stato condannato alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione per condotte delittuose accertate nell’ambito dei noti fatti del G8 Genova, 2001 e aveva chiesto di espiare la pena di mesi otto che derivava quale residuo della pena complessiva a seguito del condono che consentiva la detrazione di anni tre nelle forme dell’affidamento in prova al servizio sociale. L’istanza veniva però rigettata dal Tribunale di Sorveglianza di Genova che, contestualmente, disponeva che l’esecuzione della pena avvenisse nelle forme della detenzione domiciliare speciale prevista dall’art. 1 della Legge 199/2010. La detenzione domiciliare speciale. La novella ha introdotto una speciale modalità di esecuzione della pena detentiva che, pur chiamandosi detenzione domiciliare” rappresenta una ipotesi speciale rispetto a quella normata dall’art. 47 ord. pen. In media res , va segnalato che la novella si caratterizza per l’efficacia temporanea perché limitata al tempo necessario a dare attuazione al piano straordinario penitenziario e in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative, con fissazione – in ogni caso – del termine massimo nel 31 dicembre 2013. In secondo luogo, dal punto di vista dell’entità della pena, l’istituto può applicarsi solo ai condannati che abbiano riportato una pena non superiore ai diciotto mesi – anche quale residuo di pena maggiore – e che siano giudicati non pericolosi. Fondamentale rilievo assume la sussistenza dell’idoneità e dell’effettività del domicilio, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato. Esclusioni soggettive. La legge summenzionata limita l’applicabilità dell’istituto in presenza di determinati requisiti negativi in capo ai soggetti condannati non devono essere stati giudicati per i delitti indicati dall’art. 4 bis ord. pen., né essere delinquenti abituali, professionali o per tendenza, né detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare previsto dall’art. 14 bis ord. pen. . Inoltre, non deve sussistere il concreto pericolo di fuga o di commissione di altri delitti. Meritevole o no, è irrilevante. Nel caso di specie, il Tribunale di Sorveglianza vagliava la meritevolezza del ricorrente in riferimento alla concessione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale pervenendo a negare che vi fosse ed evidenziando che tale giudizio pregiudicava negativamente anche la richiesta di detenzione domiciliare di cui all’art. 47 ter ord. pen. Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza aveva correttamente applicato l’istituto in parola ricorrendo il requisito dell’entità della pena da espiare otto mesi , quello temporale il tempo dell’applicazione e quelli non ostativi attinenti al tipo di reato per cui si deve espiare la condanna e, infine, la non pericolosità del colpevole. L’istituto speciale non prevede alcun giudizio in merito alla meritevolezza della misura alternativa, poiché altri sono i fini perseguiti e indicati nella volontà di attuare il principio del finalismo rieducativo imposto dall’art. 27 Cost. e di rendere possibile l’esecuzione di pene detentive brevi in luoghi esterni al carcere. Non è invece indipendente da una valutazione di meritevolezza la misura della detenzione domiciliare prevista dall’ordinamento penitenziario. Elementi negativi e positivi. Con completezza argomentativa l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza valorizzava la natura e l’estrema gravità dei fatti addebitati, la contrarietà delle condotte illecite ai principi costituzionali e della Convenzione EDU, tali peraltro da trascinare il discredito sul piano internazionale. Inoltre, con specifico riferimento alla persona del condannato, si sottolineava l’assenza di un serio atteggiamento di revisione critica in merito al comportamento e alle responsabilità l’accusato in sede processuale aveva negato le proprie responsabilità, non aveva avviato un profondo processo di revisione critica e aveva mostrato indifferenza rispetto alle vittime del reato, anziché mettere in gioco un atteggiamento volto alla riparazione ed al risarcimento delle persone offese. Per vero non si tacevano neppure gli elementi positivi quali il curriculum professionale del dirigente, la relazione dell’ufficio esecuzione penale esterna UEPE , l’attività di volontariato intrapresa, nonché l’attività lavorativa, in costanza della sospensione dal servizio, di consulente per la sicurezza in favore di un istituto di credito. Tuttavia, nel giudizio di bilanciamento di tutti tali elementi, pesavano di più quelli negativi, ritenuti subvalenti rispetto a quelli positivi. Spazi condivisi nella regolamentazione di istituti simili? Non vi è alcuna sovrapposizione nella regolamentazione della detenzione domiciliare tradizionale e di quella prevista con le modalità di cui all’art. 1 Legge 199/2010, sia perché la novella non avrebbe senso, sia per esplicita esclusione contenuta nel disposto del comma 8 che afferma che le disposizioni dell’art. 47 ter ord. pen. sono applicabili se e in quanto compatibili con la disciplina del novello istituto. Corretta l’applicazione del Tribunale di Sorveglianza. Alla luce di quanto sopra, la Cassazione plaude alla decisione del Tribunale di Sorveglianza e dichiara infondati entrambi i ricorsi sottoposti alla propria attenzione sia quello del Procuratore Generale che quello del condannato. La detenzione domiciliare regolamentata dalla novella – introdotta al fine dichiarato di perseguire, in determinato arco temporale, l’alleggerimento del carico carcerario – deve essere eseguita nelle forme fissate dalla Legge 199/2010 anche in deroga alle regole generali fissate dall’art. 47 ter ord. pen., permanendo l’unico ovvio limite del giudizio di pericolosità.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 dicembre 2013 - 10 febbraio 2014, n. 6138 Presidente Siotto – Relatore Bonito Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Il Tribunale di sorveglianza di Genova, con ordinanza del giorno 11 aprile 2013, rigettava l'istanza con la quale C.G. , condannato ad anni tre e mesi otto di reclusioni per condotte delittuose accertate a suo carico, quale dirigente della PS, nell'ambito dei noti fatti verificatisi nel luglio 2001 a Genova in occasione del vertice dei capi di stato e di governo del G8, aveva chiesto di espiare nelle forme dell'affidamento in prova al servizio sociale la pena di mesi otto, dedotti anni tre per il riconosciuto condono, disponendo nel contempo, ai sensi dell'art. 1 L. 199/2010, l'esecuzione di tale residuo di pena nelle forme della detenzione domiciliare. A sostegno della decisione il tribunale, articolando una ampia, diffusa ed argomentata motivazione, valorizzava, innanzitutto, la natura e la estrema gravità dei fatti, la contrarietà delle condotte giudicate, tenuto conto delle funzioni esercitate in tali ambiti dal condannato, ai principi della nostra Costituzione e dalla CEDU e del discredito internazionale cagionato la mancanza in capo all'interessato di un serio atteggiamento di revisione critica del suo comportamento e delle sue responsabilità, dedotta, quest'ultima, dal comportamento processuale improntato ad una negazione delle responsabilità dall'indifferenza evidenziata rispetto ad un volontario atteggiamento riparatorio e risarcitorio in favore delle vittime del reato dal rifiuto di una pubblica dichiarazione autocritica. Non mancava inoltre il tribunale di prendere atto del curriculum professionale del condannato, di elevato profilo, della relazione dell'UEPE, favorevole alle ragioni del medesimo, delle attività di volontariato di recente intraprese, circostanze queste che il giudice di prime cure bilanciava però in termini di subvalenza rispetto a quelle negative come innanzi ritenute. Precisava infine il tribunale che il giudizio di non meritevolezza pregiudicava negativamente non soltanto la richiesta di affidamento al servizio sociale, bensì anche quella relativa alla detenzione domiciliare, misura alternativa quest'ultima che veniva comunque riconosciuta non già ai sensi dell'art. 47-ter O.P. ostandovi appunto il giudizio di non mertitevolezza ma ai sensi dell'art. 1 L. 199/2010. Tale disposizione normativa infatti, ad avviso del Tribunale, ricorrendo i requisiti di legge ivi previsti, impone l'esecuzione della pena infrannuale nelle forme della detenzione domiciliare indipendentemente da una preventiva valutazione di meritevolezza o meno. 2. Ricorrono per cassazione avverso detto provvedimento sia il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di appello di Genova, sia il C. , assistito dal difensore di fiducia. 2.1 Il rappresentante della pubblica accusa denuncia violazione dell'art. 1 della L. 199/2010 e difetto di motivazione sul punto, per un verso, perché negato il requisito della meritevolezza ai fini dell'applicazione della disciplina di favore e, per altro verso, per la contraddittorietà del riconoscimento impugnato in costanza appunto di un argomentato giudizio di non meritevolezza. 2.2 La difesa del C. , da parte sua, sviluppa tre motivi di impugnazione. 2.2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente vizio logico della motivazione e travisamento degli atti processuali in particolare osservando la gravità del reato, per costante insegnamento giurisprudenziale del giudice di legittimità, non può avere rilievo decisivo nel pronunciamento relativo alla concessione delle misure alternative al carcere, dovendosi valutare la personalità del condannato anche ai fini di verificare l'avviamento di un profondo processo di revisione critica la motivazione impugnata argomenta sia in relazione alla gravità della condotta, sia in relazione alla personalità dell'istante ed alla mancanza di un apprezzabile atteggiamento autocritico della sua condotta delittuosa le conclusioni giudiziali si appalesano però in aperto contrasto con l'argomentata relazione dell'UEPE, col giudizio favorevole espresso in tale sede, con l'attività di volontariato intrapresa dal febbraio 2013 dall'interessato e con l'attività lavorativa dallo stesso svolta di consulente per la sicurezza in favore di un importante istituto di credito in costanza della sospensione dal servizio per anni cinque di qui il travisamento della relazione richiamata, non adeguatamente percepita nei suoi profili favorevoli all'istante. 2.2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia invece la difesa ricorrente violazione dell'art. 47 O.P., in particolare osservando ai fini del rigetto della istanza difensiva il Tribunale ha particolarmente valorizzato la mancanza e comunque l'insufficienza di una spontanea attività di riparazione delle vittime da parte del ricorrente siffatta circostanza non integra requisito previsto dalla legge per il riconoscimento del beneficio i profili risarcitori delle condotte delittuose sono disciplinati ex professo da articoli del codice penale L. I, Tit. VII, in particolare l'art. 185 . 2.2.3 Col terzo ed ultimo motivo di censura si duole la difesa ricorrente della violazione dell'art. 47-ter O.P. e della illogicità della motivazione sul punto, in particolare osservando illegittimamente il Tribunale ha negato il beneficio in parola sul rilievo del mancato avvio del processo di emenda l'art. 47-ter O.P. infatti prescinde dalla circostanza valorizzata dai giudicanti, posto che essa prescrive l'accertamento che la misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati di qui la violazione di legge denunciata, violazione che diventa illogicità della motivazione allorché, al fine di riconoscere il beneficio della detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 1 L. 199/2010, il tribunale valorizza proprio quella circostanza e cioè che non sussiste pericolo di recidivanza. 2.2.4 Con memoria aggiunta depositata il giorno 11 novembre 2013, la difesa del C. ha insistito nelle ragioni già esposte ed argomentate col ricorso principale, per poi confutare quelle esposte dal P.G. territoriale ricorrente quanto alla legittimità o meno dell'applicazione dell'art. 1 L. 199/2010, non mancando poi di censurare la interruzione della detenzione domiciliare improvvidamente disposta per la difesa dal tribunale di sorveglianza genovese su richiesta irrituale della procura generale. 3. Entrambi i ricorsi sono infondati. 3.1 Infondato in particolare è la doglianza prospettata dal P.G. genovese. La legge n. 199 del 2010 ha introdotto una speciale modalità di esecuzione della pena, volta ad attuare il principio del finalismo rieducativo, sancito dall'art. 27 Cost., e per rendere nel contempo possibile l'esecuzione delle pene detentive brevi in luoghi esterni ai carcere, attesa la situazione di emergenza nella quale si trovano le strutture penitenziarie italiane. L'istituto, che prevede l'esecuzione della pena detentiva presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura e che si caratterizza per la sua efficacia temporanea, limitata temporalmente, ai sensi dell'art. 1, comma 1, alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013 , si applica soltanto ai condannati a pena detentiva non superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, ritenuti di scarsa pericolosità. La legge, infatti, esclude l'applicabilità della disciplina in parola nei confronti di soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall'art. 4-bis Ord. Pen., dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza e dei detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare ai sensi dell'art. 14-bis Ord. Pen. salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dal successivo art. 14-ter e in presenza del concreto pericolo di fuga o di commissione di altri delitti e di insussistenza della idoneità e della effettività del domicilio, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato, a norma dell'art. 1, comma 2. Il dettato normativo rende palese, ad avviso del Collegio, che la detenzione domiciliare regolamentata dalla novella, al fini dichiarato di perseguire nel tempo limitato fissato dal legislatore lo scopo di alleggerire il carico carcerario, deve, e non soltanto può, essere eseguita nelle forme da essa fissata anche in deroga alle regole generali poste dall'art. 47-ter O.P., e col solo limite della ostatività indotta da un giudizio di pericolosità. Di qui la corretta applicazione dell'istituto da parte del giudice territoriale il quale, prescindendo dalla meritevolezza della misura, in concreto negata per i profili ampiamente menzionati innanzi, ha comunque ritenuto di dover applicare la disciplina di cui all'art. 1 L. 199/2010 ricorrendo il requisito della entità della pena da espiare, quello temporale il momento dell'applicazione e quelli non ostativi del reato in espiazione e della non pericolosità del condannato. È appena il caso di aggiungere che una mera sovrapposizione della regolamentazione normativa della detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter O.P. con le modalità di cui all'art. 1 L. 199/2010 priverebbe di senso legislativo la novella e la disciplina in essa contenuta ed essa è comunque esplicitamente esclusa dal disposto del comma 8 della norma in esame, laddove si chiarisce che le disposizioni dell'art. 47-ter P.P. sono applicabili in quanto compatibili con la nuova disciplina. 3.2.1 Venendo ora al ricorso del condannato, osserva il Collegio che va preliminarmente evidenziata la inammissibilità della censura articolata con il terzo motivo di impugnazione per evidente mancanza di interesse. Ed invero la doglianza mira all'annullamento dell'ordinanza impugnata là dove non ha accolto la concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare, beneficio comunque riconosciuto in concreto ancorché in forza di una norma diversa da quella difensivamente invocata, né l'eventuale accoglimento sul punto della impugnazione in esame porterebbe ad effetti concreti positivi per l'istante diversi da quelli già riconosciuti. 3.2.2 Infondati devono infine ritenersi il primo ed il secondo motivo sviluppati dalla difesa del C. . Ed in vero giova in premessa ribadire che la funzione dell'indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l'intrinseca attendibilità dei risultati dell'interpretazione delle prove e di attingere il merito dell'analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Ne consegue che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un'altra, ancorché altrettanto logica Cass. 5.12.02 Schiavone Cass. 6.05.03 Curcillo cfr. Sez. 4, n. 15227 dell'I 1/4/2008, Baratti, Rv.239735 cfr. in termini Cass. sez. 2A, sentenza n. 7380 dell'I 1/01/2007, dep. il 22/02/2007, Rv. 235716, imp. Messina Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061 . Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacché volte le medesime, a fronte di un'ampia, diffusa e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare le acquisizioni del compendio istruttorio puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare conclusioni alternative a quelle logicamente dedotte con l'ordinanza impugnata. Non può infatti negarsi la legittimità di considerare ai fini della concessione della misura, in primo luogo e con funzione preminente nel sillogismo logico della decisione, il reato per il quale è stata inflitta la pena detentiva da espiare, nel caso di specie, con argomentare di esemplare logicità ritenuto di gravità estrema, per i fatti in sé considerati il pestaggio forsennato, di inaudita violenza e privo di alcuna ragione di inermi dimostranti colti nel sonno mentre si trovavano nel chiuso di un edificio scolastico per la condotta direttamente riferibile al condannato dirigente di polizia, tutore della legge e della legalità che si presta a comportamenti illegali di copertura poliziesca proprii dei peggiori regimi antidemocratici, in violazione di diritti fondamentali - di libertà, di tutela giudiziaria, della dignità della persona - riconosciuti in tutte le democrazie occidentali, nella nostra suprema carta e nella stessa CEDU per il clamore provocato dalle vicende ed il conseguente discredito internazionale caduto sul nostro Paese. A tale dato, giova ribadirlo, di straordinaria valenza decisoria per il giudice territoriale, il Tribunale ha poi giustapposto, anche per questo profilo con diffuso argomentare, articolato con stretta coerenza logica, la constatazione di una non apprezzabile predisposizione del condannato ad un ripensamento critico della sua condotta, dedotta dalla sua indifferenza rispetto ad una prospettiva risarcitoria volontaria delle vittime, dalla lettura minimale delle sue responsabilità, dal rifiuto di esprimere pubblica ammenda per quanto accaduto in riferimento alle sue colpe. Né ha mancato il tribunale, ancora una volta con esemplare completezza argomentativa, di considerare i dati positivi all'istante desumibili del compendio istruttorio, in particolare il curriculum professionale, la relazione dell'UEPE, il suo recentissimo impegno di volontariato in uno con quello lavorativo dopo la sospensione dal servizio, valutazione riportata correttamente nel contesto di una bilanciamento e motivatamente giudicato in termini sub valenti rispetto ai dati sfavorevoli, considerati, per il loro peso ed il loro rilievo ai fini del giudizio, di più incidente decisività. La lamentata censura motivazionale deve pertanto ritenersi manifestamente infondata. 3.2.3 Infondati si appalesano infine i profili di doglianza relativi alla denunciata violazione di legge. Per un verso va infatti posto in evidenza che nel caso in esame la gravità del fatto nei termini valorizzati dal giudice territoriale è stata considerata come circostanza importante ma non certo esclusiva della decisione e tanto in perfetta coerenza con l'insegnamento del giudice di legittimità, mentre, per altro verso, la sbiadita volontà del condannato di considerare l'importanza di un atteggiamento risarcitorio in favore delle vittime non è stato affatto considerato come requisito negativo della decisione, bensì come circostanza anche questa significativa e sintomatica, insieme agli altri argomenti innanzi riportati, di quella mancanza di processo autocritico, questo si decisivo per la decisione. 4. In conclusione deve provvedersi nel senso del rigetto di entrambi i ricorsi, con la condanna del ricorrente C. , ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.T.M. la Corte, rigetta i ricorsi e condanna C.G. al pagamento delle spese processuali.