Non può essere rifiutato il nulla osta all’ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, se il minore sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito.
Lo ha affermato la Cassazione nella sentenza numero 1843 del 2 febbraio 2015. La vicenda. La fattispecie esaminata dalla Suprema Corte riguarda un ricorso per il riconoscimento dell’atto di presa in carica di due minori marocchini da parte dello zio cittadino italiano, avendo già ottenuto dalle autorità marocchine competenti l’autorizzazione all’espatrio dei minori. Tuttavia il consolato italiano aveva negato il visto di ingresso in Italia, non ritenendo che gli stessi minori rientrassero nella categoria dei familiari legittimati al ricongiungimento ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lett. b , d.lgs. numero 30/2007. La Corte di appello di Brescia ha accolto la richiesta di riconoscimento rilevando che, nella specie, sono applicabili l'articolo 2, comma 1, lett. b numero 3, e l'articolo 3, comma 2, lett. a , d.lgs. numero 30/2007 che permettono di includere, fra i parenti aventi diritto al ricongiungimento, i minori a carico o conviventi con il richiedente e legati con quest'ultimo da vincolo parentale o legame familiare. Si al ricongiungimento familiare. In seguito al ricorso presentato dal Ministero degli Esteri, la Cassazione ribadisce che non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore cittadino extracomunitario affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di affidamento kafalah pronunciato da giudice straniero nel caso in cui il minore sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito. Best interest del minore e principio di uguaglianza. Infatti, in ogni situazione nella quale venga in rilievo l'interesse del minore deve esserne assicurata la prevalenza sugli eventuali interessi confliggenti. Peraltro, un'interpretazione delle norme del d.lgs. numero 30/2007 che escludesse in via assoluta la possibilità per il cittadino italiano di ottenere il ricongiungimento con minore extracomunitario affidatogli con provvedimento di kafalah farebbe sorgere lo stesso sospetto di illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio di eguaglianza, derivante dalla disparità di trattamento nei confronti dei minori bisognosi di protezione, cittadini di paesi che vietano l'adozione per ragioni religiose. La Convenzione de L’Aja impone il riconoscimento della kafalah. La Suprema Corte, inoltre, afferma come l’adozione internazionale non sia l’esclusiva misura di protezione dei minori stranieri in stato di abbandono o bisognosi di tutela. Infatti, la Convenzione de L'Aja sulla protezione internazionale dei minori del 19 ottobre 1996 indica la cooperazione e il dialogo fra i sistemi nazionali come gli strumenti idonei a perseguire l'obiettivo della protezione internazionale del minore, e impedendo, per quanto possibile, i conflitti fra i sistemi giuridici nazionali in materia di competenza, legge applicabile, riconoscimento ed esecuzione delle misure di protezione. La necessità del controllo pubblico. Quello che non appare compatibile con l'ordine pubblico italiano è che la kafalah possa essere riconosciuta senza che vi sia un ruolo di controllo pubblico ab origine e permanente sulla conformità dell'accordo all'interesse superiore del minore. Tale controllo deve consistere in primo luogo nel positivo riscontro della idoneità potenziale dell'accordo a operare nell'interesse del minore ragione della sua mancata ratifica. I1 controllo affidato alle autorità pubbliche deve consistere anche nella successiva valutazione dell'effettiva presa in carico delle esigenze del minore e della effettiva idoneità dell’affidatario a fornire quella tutela sostitutiva chiamata a supplire alle carenze del contesto familiare originario. Interpretazione estensiva della definizione di “familiari”. La definizione normativa dei familiari stranieri per i quali il cittadino italiano residente in Italia può chiedere il ricongiungimento contenuta nel d.lgs. numero 30/2007, articolo 2 e 3, non consente l'applicazione analogica a casi non previsti, ma nessuna regola di ermeneutica legale ne vieta l'interpretazione estensiva, specialmente quando sia l'unica costituzionalmente orientata e conforme ai principi affermati nelle norme sovranazionali, pattizie o provenienti da fonti dell'Unione Europea. Il minore straniero affidato a cittadino italiano con provvedimento di kafalah non potrebbe mai rientrare nella nozione di “discendente” che implica un rapporto parentale, fondato sulla realtà biologica o anche solo su quella giuridica dell'adozione legittimante. Tuttavia, non si ravvisa alcun impedimento a comprenderlo nell'ambito degli “altri familiari” di cui all'articolo 3, comma 2, lett. a , per i quali il cittadino italiano residente in Italia o il cittadino dell'Unione titolare di soggiorno a titolo principale può chiedere il ricongiungimento se a è a carico, ovvero, b convive nel paese di provenienza del cittadino extracomunitario, o, ancora, c gravi motivi di salute ne impongano l'assistenza personale. Nessuna violazione dell’adozione internazionale. La Cassazione, nel rigettare il ricorso del Ministero degli Esteri, afferma infine come la contrarietà o l'elusione della disciplina dell'adozione internazionale sarebbe ipotizzabile se dalla kafalah si volessero far derivare effetti nel nostro ordinamento identici o analoghi a quelli dell'adozione, ma non nel caso in cui, nel rispetto della disciplina vigente nel paese di provenienza del minore affidato, il provvedimento di kafalah, anche dopo l'avvenuto ricongiungimento con il cittadino italiano, non svolga altra funzione che quella di giustificare l'attività di cura materiale e affettiva del minore, con esclusione di ogni vincolo di natura parentale o anche di sola rappresentanza legale.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 settembre 2014 – 2 febbraio 2015, numero 1843 Presidente Luccioli – Relatore Bisogni