Fatture false: commercialista agli arresti domiciliari

La sanzione dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni autoindizianti rese da persona non indagata nel procedimento si profila nei soli limiti in cui gli indizi in questione appaiano inequivoci, non potendo rilevare mere intuizioni personali dell'interrogante nè potendosi far derivare la posizione di indagato dal sol fatto che il dichiarante possa assumersi in qualche modo coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formazione di addebiti penali a suo carico.

In ogni caso, si tratta di inutilizzabilità relativa e non già assoluta, di tal che le dichiarazioni rese in assenza di tutele difensive, sebbene non possano essere utilizzate nei confronti di chi le ha rese, ben possono essere utilizzate nei confronti di altri soggetti. Lo ha stabilito la Seconda sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 47210, depositata il 28 novembre 2013. Fatture per operazioni inesistenti . Nel caso di specie il commercialista di una società è stato sottoposto a procedimento penale per il reato di cui all'art. 8, comma 1, del D.lgs. n. 74/2010 rubricato emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” , con l'accusa di aver formato per conto dell'Ente una fattura falsa al fine di permettere ad altra società di evadere l'imposta sui redditi per un ammontare di quasi 200.000 euro. Il professionista è stato raggiunto da una ordinanza cautelare dispositiva degli arresti domiciliari spiccata dal G.i.p. su richiesta della Procura la motivazione del provvedimento cautelare si è incentrata sul contenuto di una intercettazione avente ad oggetto il colloquio tra un collaboratore di studio del commercialista – parimenti sottoposto a procedimento penale – e un terzo soggetto, dal quale emergevano, secondo gli gli inquirenti, gravi indizi di reità a carico dell'indagato. Nella conversazione, infatti, il collaboratore affermava che non vi sarebbero stati problemi ad emettere la fattura” in questione. Le dichiarazioni autoindizianti non bastano . Avverso l'ordinanza del G.i.p. è stato proposto ricorso al Tribunale delle Libertà il quale, ritenuta l'inutilizzabilità delle dichiarazioni intercettate nei confronti del commercialista, ha annullato - attesa l'assenza di ulteriori indizi di reità - il provvedimento, per l'effetto azzerando la limitazione della libertà personale. Il giudici del riesame hanno, dunque, cancellato la misura sul presupposto della ritenuta inidoneità delle affermazioni rese dal collaboratore di studio dell'indagato ad incriminare quest'ultimo che, di conseguenza – sempre secondo il Tribunale – ben poteva considerarsi all'insaputa dell'operazione criminosa per la quale era sottoposto ad indagini. Il Procuratore della Repubblica si è quindi rivolto alla Suprema Corte di Cassazione onde ottenere l'annullamento della pronuncia caducatoria della misura cautelare applicata all'indagato, ivi censurando l'apprezzamento dei giudici del gravame nella parte in cui questi hanno ritenuto inutilizzabile erga omnes le dichiarazioni ricavate dalla intercettazioni in quanto rese da persona indiziata in assenza delle dovute assistenze difensive. Secondo la tesi del ricorrente, invero, le dichiarazioni del dipendente - considerato mero esecutore degli ordini del titolare dello studio – sebbene non utilizzabili nei suoi confronti, risultavano, di contro, utilizzabili contro il commercialista inoltre, gli indizi di reato a carico di quest'ultimo sarebbero emersi non solo dal contenuto delle intercettazioni, ma anche dal fatto che la fattura incriminata era stata debitamente annotata nelle scritture contabili delle due società, con prova evidente dell'intervento dell'indagato in siffatta opera di cura contabile. Inutilizzabilità relativa o assoluta? Ebbene, i giudici di legittimità, nell'accogliere il ricorso, hanno anzitutto chiarito come la sanzione dell'inutilizzabilità prevista per le dichiarazioni autoindizianti rese da persona non imputata o indagata si prospetti nella misura in cui gli indizi de quibus si palesino in maniera non equivoca non rilevano, pertanto, intuizioni personali dell'interrogante, né si può delineare la posizione di indagato sul mero presupposto che il dichiarante possa essere stato in qualche modo coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formazione di addebiti penali a suo carico. Ciò premesso, la Corte soggiunge l'importante precisazione per la quale le dichiarazioni autoindizianti, sebbene non possano essere utilizzate nei confronti di colui che le ha rese, possono pur sempre essere utilizzate nei confronti di soggetti terzi, nel caso di specie nei confronti del commercialista indagato si tratta, infatti, di una inutilizzabilità relativa, e non già assoluta. Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha annullato l'ordinanza impugnata, per l'effetto rinviando la questione al medesimo Tribunale per una nuova considerazione degli estremi della vicenda.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 ottobre - 28 novembre 2013, n. 47210 Presidente Esposito – Relatore Fiandanese Svolgimento del procedimento Il Tribunale di Lecce, con ordinanza in data 19 marzo 2013, annullava l'ordinanza del G.I.P. dello stesso Tribunale del 28 dicembre 2012 di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di Calò Angelo, in relazione al reato di cui agli artt. 110 c.p. 8, comma 1, D.Lgs. n. 74 del 2000, perché, in concorso con altri, nella qualità di responsabile della tenuta della contabilità della Fast Service Line s.r.l. emetteva fattura di 589.585,22 Euro, con la clausola provvigioni per servizi resi, relativa ad operazioni inesistenti, al fine di consentire alla Scommettendo s.r.l. di evadere le imposte sui redditi per l'importo di 190.533,94 Euro. Il Tribunale riteneva che non sussistessero gravi indizi per affermare che il C. sapesse che la suddetta fattura fosse riferibile ad operazioni inesistenti. Con riferimento alla conversazione intercettata fra V.D. e l'avv. I S. , nella quale si parla di una fattura che il commercialista Calò può fare senza problemi , lo stesso Tribunale osservava che non è dato conoscere quale sia stato l'oggetto e il tenore della successiva conversazione fra l'avv. S. e il C. mentre, con riguardo alle dichiarazioni rese dal V. , afferma che queste dovevano ritenersi inutilizzabili dal punto in cui assumevano contenuto autoaccusatorio e, quindi, anche nella parte relativa alla circostanza che il Calò avrebbe reso un parere favorevole all'operazione in questione. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce - Direzione distrettuale antimafia deducendo la violazione dell'art. 63 c.p.p., poiché, quando una persona sia ascoltata come persona informata sui fatti, l'autorità procedente sarà tenuta ad interrompere l'esame solo quando gli indizi di reità emergenti a suo carico dalle dichiarazioni rese presentino i requisiti della concretezza e dell'attualità. Nel caso di specie, l'affermazione del V. di avere compilato la falsa fattura oggetto di contestazione appare indifferente ove si consideri che egli era un semplice dipendente tenuto a fare ciò che gli era ordinato. Per quanto concerne l'interpretazione della conversazione intercettata, il P.M. ricorrente afferma che dalla lettura integrale emerge che per la emissione della fattura occorreva necessariamente coinvolgere la professionalità del C. , tanto più che la fattura medesima era stata annotata nelle scritture contabili delle due società coinvolte ed è logico ritenere che la registrazione sia stata necessariamente curata dal C Motivi della decisione I motivi di ricorso sono fondati per le ragioni e nei limiti di seguito indicati e devono essere accolti. Così come precisato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte con riferimento all'ipotesi di cui all'art. 63, comma 2, c.p.p. Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243417 , anche con riguardo all'ipotesi di cui al primo comma dello stesso articolo deve affermarsi il principio secondo il quale la sanzione di inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto successivamente al momento in cui l'esame doveva essere interrotto essendo emersi indizi di reità a suo carico, postula che si tratti di indizi non equivoci di reità, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell'interrogante e non potendosi far derivare la posizione di indagato automaticamente dal solo fatto che il dichiarante possa essere stato in qualche modo coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formazione di addebiti penali a suo carico. Ebbene l'ordinanza impugnata non spiega la ragione per cui nel momento in cui il V. ha dichiarato di avere provveduto alla compilazione della falsa fattura di cui al presente procedimento gli indizi di reità a suo carico fossero inequivoci neppure spiega perché la parte delle dichiarazioni relativa ai rapporti con il C. non potessero essere rilevanti proprio ai fini di chiarire l'effettiva esistenza di indizi di reità a carico del dichiarante. Deve, infatti, aggiungersi che anche nel caso in cui nel corso dell'esame fossero emersi a carico del V. precisi e concreti indizi di reità, occorrerebbe stabilire in quale esatto momento ciò sia avvenuto, poiché le dichiarazioni rese da persona raggiunta da indizi di colpevolezza nel corso dell'esame, e non ancora posta in condizione di esercitare i diritti della difesa, non possono essere utilizzate contro di. lei, ma possono esserlo nei confronti di terzi da ultimo Sez. 6, n. 29535 del 02/07/2013, Oppolo, Rv. 256151 . si tratta di carenza totale di motivazione che vizia il provvedimento impugnato, che, pertanto, deve essere annullato con rinvio al Tribunale di Lecce per nuovo esame che faccia applicazione dei principi di diritto come sopra formulati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Lecce per nuovo esame.