Se l’autore di un reato fornisce generalità di una persona esistente nel momento in cui viene acquisita la notizia di reato si configura calunnia quando l’identità del reo non sia contestualmente e insuperabilmente acquista al procedimento con metodi idonei e certi diversi dalle dichiarazioni.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 6150, depositata il 7 febbraio 2013. Il caso. Quando si dice “parenti serpenti” Sarà stato il grado alcolemico oppure solido proposito di danneggiare il fratello, il dato certo è che un automobilista, fermato su strada, forniva le generalità del fratello anziché le proprie. Oltre a tre contravvenzioni amministrative per mancanza di documenti, patente di guida e contrassegno assicurativo, l’automobilista veniva sottoposto a controllo del tasso alcolico che si rivelava penalmente rilevante. Di qui il verbale con la notizia di reato da cui sarebbe stato instaurato un procedimento penale a carico di soggetto estraneo ai fatti. Una suggestiva tesi difensiva Il reato cui l’automobilista veniva condannato – oltre a quello, previsto dal Codice della Strada, di guida in stato d’ebbrezza – era quello di calunnia articolo 368 c.p. , per avere accusato il proprio fratello di un reato in realtà allo stesso ascrivibile. La tesi difensiva ha provato a negare tale responsabilità e di ricondurre l’illecito al meno grave reato di Falsa attestazione o dichiarazione a pubblico ufficiale sulla propria identità articolo 495 c.p. , adducendo che non vi era stato alcun reale pericolo di indagini penali contro l’innocente – a cui l’identità era stata “rubata” al fine di distogliere l’attenzione dal reale colpevole degli illeciti. destituita di fondamento alla luce delle ricostruzioni di merito. La ricostruzione dei fatti svolta dalla sentenza di primo grado aveva fatto emergere come il sottoufficiale operante si era poi recato all’indirizzo indicato nel verbale trovandovi una persona diversa da quella fermata, autrice del “furto d’identità”. Solo allora si recava all’ufficio anagrafe acquisendo le foto del soggetto fermato su strada, accertando l’ulteriore illecito da questo compiuto nel dare generalità di altri e, quindi, accusandolo falsamente pur sapendolo innocente . La volontà di accusare un innocente. Le false generalità – ad avviso dei giudici di merito – erano funzionali all’unico fine di attribuire ad una persona determinata il reato invece personalmente compiuto – la guida in stato d’ebbrezza – scaricando su questo le proprie responsabilità penali. La redazione del verbale è infatti atto di polizia che andava trasmesso con la notizia di reato provocando il reale pericolo dell’instaurazione di un procedimento penale a carico di qualcuno falsamente incolpato, pur sapendolo innocente. Passeggero concorrente nel reato. La donna che accompagnava l’automobilista, sentita dagli operanti che avevano svolto gli accertamenti su strada, confermava anch’essa le false generalità del conducente. Ne seguiva che una volta svelate le rispettive reali generalità dei due fratelli – l’uno innocente e l’altro colpevole – e iniziato il procedimento a carico di quest’ultimo, anche la donna trasportata veniva riconosciuta colpevole di concorso nel reato di calunnia.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 gennaio – 7 febbraio 2013, numero 6150 Presidente Garribba – Relatore Citterio Considerato in fatto 1. C P. è stato condannato dal Tribunale di Savona alla pena di giustizia per i reati di cui all'articolo 186 d.lgs. 285/1992 capo A e di cui agli articolo 110, 368 e 370 c.p. capo B . Fermato dalla polizia giudiziaria mentre era alla guida di autovettura, che trasportava altra persona, sottoposto a controllo risultava con concentrazione di alcolemia superiore a quella consentita. Asseritamente privo di documenti e di patente di guida, nonché circolante su autovettura sprovvista di contrassegno assicurativo , forniva allora le generalità del fratello G. , che venivano avvalorate dalla donna trasportata. 1.1 Avverso la sentenza con cui in data la Corte d'appello di Genova ha confermato la sua condanna, il P. con ricorso personale “attacca” il solo capo B, enunciando unico motivo di violazione e falsa applicazione dell'articolo 368 c.p. e di inesistenza della motivazione. 1.2 Secondo il ricorrente la qualificazione giuridica corretta della sua condotta sarebbe stata quella ai sensi dell'articolo 495.2 c.p., come ritenuto da giurisprudenza di legittimità richiamata nell'atto di impugnazione sentenze 24572/2005, 18364/2003, 24686/2007 in ogni caso nella vicenda concreta non vi sarebbe stato alcun 'reale pericolo' del promovimento di indagini nei confronti del fratello, essendo egli stato identificato fisicamente con assoluta certezza. Sul punto la Corte distrettuale avrebbe omesso il confronto con quanto 'evidenziato' nei motivi d'appello. 2. Con le medesime sentenze è stata affermata la responsabilità per il delitto di concorso in calunnia capo B anche di A.R. . La donna, trasportata nel veicolo condotto da P.C. , secondo l'imputazione e le richiamate sentenze aveva confermato le false generalità fornite dal coimputato. 2.1 Il ricorso proposto nell'interesse dell'A. enuncia unico motivo di erronea applicazione dell'articolo 368 c.p. La ricorrente deduce che quando aveva confermato le generalità false del P. , questi era a quel momento incorso solo in tre contravvenzioni amministrative, per la guida senza patente, senza cinture di sicurezza e con vettura priva di contrassegno assicurativo. La successiva fase di controllo del tasso alcolemico di P. era stata esito imprevedibile e comunque non preventivabile al momento delle proprie precedenti dichiarazioni, comunque estranea ad ogni responsabilità della donna, rimasta in macchina. La ricorrente solo nelle conclusioni, e senza alcuna deduzione a sostegno, chiede anche che in subordine sia ravvisato il reato di concorso in false dichiarazioni sull'identità di P. . Ragioni della decisione 3. Entrambi i ricorsi sono infondati. Al loro rigetto consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali di questo grado di giudizio. 3.1 Il principale motivo di ricorso A. è inammissibile per genericità e perché si risolve in doglianze di merito. L'atto di ricorso infatti ricopia l'atto di appello e censura in fatto la successione degli eventi, senza dedurre alcun vizio di omessa motivazione della Corte distrettuale. In altri termini, propone solo una ricostruzione alternativa della vicenda, che questa Corte suprema non può conoscere, presupponendo un inibito accesso agli atti del processo. La conclusiva censura in diritto, per sé generica, trova soluzione in quanto di seguito argomentato in relazione al ricorso del coimputato. 3.2 Quanto al ricorso di C P. , occorre premettere che la Corte distrettuale ha con specifica motivazione escluso che, nella concreta fattispecie, fosse configurabile l'articolo 495 c.p Ed invero dalla sentenza di primo grado risulta che, non essendosi l'indomani presentato alcuno per presentare la patente di guida, il sottufficiale che aveva operato il controllo su strada si recava all'indirizzo indicato nel verbale, dove rinveniva appunto il fratello dell'imputato quindi, su indicazione di questi, si recava all'ufficio anagrafe, dove acquisiva le fotografie del ricorrente, riconoscendolo per l'individuo fermato la sera prima. I Giudici del merito hanno in definitiva ritenuto che nel caso concreto l'imputato non si fosse limitato a fornire false generalità, ma avesse consapevolmente in effetti attribuito efficacemente al fratello il reato di guida in stato di ebbrezza. Ciò era in particolare avvenuto con la redazione del relativo verbale che indicava proprio le generalità del fratello e tale redazione costituiva circostanza che avrebbe comportato necessariamente la trasmissione dell'atto di polizia con la pertinente notizia di reato, e quindi per sé determinava il pericolo dell'instaurazione di un procedimento a carico del falsamente incolpato. In particolare, secondo i Giudici dei primi due gradi di giudizio, il ricorrente aveva fornito le generalità del fratello al precipuo ed unico scopo di attribuire a lui, piuttosto che a sé, il reato appena commesso, sviando su di lui le necessarie successive attività di indagine e gli ineludibili sviluppi del procedimento penale. Tale complessivo apprezzamento appartiene allo stretto merito, e risulta non incongruo alle prove richiamate e sorretto da articolata specifica motivazione, immune dai vizi tassativi indicati dall'articolo 606.1 lett. E c.p.p 3.2.1 Ed in realtà il ricorso si limita a porre la questione di diritto in termini astratti o apodittici, senza il confronto puntuale con i dati di fatto evidenziati dai Giudici del merito e, in particolare, senza indicare specificamente dove e perché quei dati di fatto sarebbero stati ricostruiti in termini viziati ai sensi della ricordata lettera E, in particolare quanto al punto del pericolo di inizio di un procedimento penale a carico del fratello, per quel reato. In proposito, generico è il mero richiamo ai motivi d'appello, posto che il ricorrente aveva l'onere di indicare puntualmente quale determinate deduzione non avrebbe avuto risposta dalla Corte distrettuale. Altrettanto irrilevante, sul piano logico sistematico, appare il contatto fisico iniziale tra l'autore del reato e il verbalizzante la mancata apprensione fisica alla procedura del ricorrente, infatti, rende quel contatto iniziale del tutto inidoneo ed insufficiente a garantire la certa riconduzione del procedimento ad una determinata persona fisica, come tale esattamente e compiutamente individuata, quali ne fossero le generalità tant'è che, osservava il Tribunale di Savona, il sottufficiale era risalito alla persona controllata la sera prima solo a seguito della determinante indicazione del fratello e, sempre, solo la diligenza del militare aveva consentito quegli occasionali accertamenti preventivi che avevano evitato il seguito del procedimento penale a carico del medesimo fratello . Il punto risulta determinante per spiegare la non pertinenza della giurisprudenza richiamata da questo ricorrente, che così come pure Sez.6, sent 34696/2010 si riferisce e la Corte distrettuale lo aveva puntualmente già evidenziato a contesti in fatto diversi da quello che ci occupa in particolare, procedimenti a carico di arrestati in flagranza, quando pertanto l'attività di indagine e processuale viene svolta nei confronti della persona fisicamente certa, ex articolo 66 c.p.p. ovvero, a carico di persone di genere diverso da quelle le cui generalità sono riferite . Per contro - e in caso analogo di indicazione del fratello nell'occasione dell'interrogazione sulle proprie generalità in occasione di denuncia per reato - Sez. 6, sent 12847/07 ha insegnato la possibilità di concorso dei due reati articolo 495 e articolo 368 c.p. . Va pertanto ribadito il principio di diritto per cui configura il reato di calunnia l’indicazione, nel momento di acquisizione della notizia di reato e da parte del suo autore, delle generalità di altra persona esistente, ogni qualvolta l’identità fisica del reo non sia contestualmente e insuperabilmente acquisita al procedimento attraverso rilievi foto dattiloscopici o comunque idonei a dare certezza sull’individuazione fisica dell’autore . Da qui, l’anticipata infondatezza del motivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.