Così è stato violato il diritto della donna alla restituzione dei frutti civili maturati nel periodo intercorrente tra la data di deposito della sentenza di appello e la data di effettivo conseguimento del possesso dell’appartamento, assegnatole in proprietà esclusiva e dalla stessa non goduti a seguito del mancato rilascio dell’immobile da parte di suo fratello.
È quanto emerge dall’ordinanza numero 24885/13 della Corte di Cassazione depositata lo scorso 6 novembre. Il caso. Una donna, figlia del de cuius, conveniva in giudizio le 3 sorelle e l’unico fratello, chiedendo lo scioglimento della comunione ereditaria di un immobile, pervenuto per successione legittima. L’attrice, inoltre, chiedeva che il fratello le corrispondesse un’indennità in ragione del godimento esclusivo dell’immobile, oltre ad interessi e rivalutazione. Quest’ultimo, di contro, respingeva le pretese di parte attrice ed eccepiva l’avvenuta usucapione della quota spettante alla sorella. Divisione per quote. Tribunale prima, e Corte d’appello poi, rigettavano la richiesta di usucapione, disponendo la divisione per quote dell’immobile e condannando l’uomo a versare a sua sorella la somma di 50.105,03 euro quale quota per il canone di locazione. Per questo propone ricorso per cassazione, mentre sua sorella si costituisce presentando ricorso incidentale. Ed è proprio quest’ultimo che viene accolto dalla Suprema Corte. La Corte di appello non ha considerato il periodo successivo allo scioglimento della comunione. Infatti, ha errato la Corte territoriale ad individuare, in capo al ricorrente principale, l’obbligo di restituzione dei frutti percepiti solo sino alla pubblicazione della sentenza di appello e non, come richiesto in sede di gravame, «fino all’integrale soddisfo», violando, così, il diritto della donna «alla restituzione dei frutti civili maturati nel periodo intercorrente tra la data di deposito della sentenza di appello e la data di effettivo conseguimento del possesso dell’appartamento, assegnatole in proprietà esclusiva e dalla stessa non goduti a seguito del mancato rilascio dell’immobile» da parte di suo fratello. Di conseguenza, viene accolta anche il motivo del ricorso incidentale secondo cui si è concretizzata una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Sarà dunque il giudice del rinvio a dover riesaminare la questione.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 4 ottobre – 6 novembre 2013, numero 24885 Presidente Goldoni – Relatore Carrato Fatto e diritto Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 18 febbraio 2013, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c. “Con atto di citazione del 27.01.1999, la sig.ra S.D. conveniva in giudizio, innanzi il Tribunale civile di Roma, i germani S.F. , V.M. , G. e M. , chiedendo lo scioglimento della comunione ereditaria dell'immobile sito in omissis , pervenuto per successione legittima del de cuius S.P. . L'attrice chiedeva che il convenuto S.V.M. le corrispondesse un'indennità in ragione del godimento esclusivo dell'immobile, oltre ad interessi e rivalutazione. Si costituiva il sig. S.V.M. , respingendo le pretese di parte attrice ed eccependo l'avvenuta usucapione della quota spettante alla sorella D. . Il Tribunale, con sentenza del 27 giugno 2002, rigettava la richiesta di usucapione e disponeva la divisione per quote dell'immobile, condannando il sig. V.M. al pagamento di una somma, a titolo di indennizzo. Con citazione notificata in data 19.03.2004 S.V.M. proponeva appello avverso tale sentenza. Si costituiva la sig.ra S.D. , contestando il gravame proposto, chiedendone il rigetto proponeva, altresì, appello incidentale. Rimanevano contumaci le sigg.re S.F. , S.M. e S.G. . Con sentenza numero 3084 del 2011, depositata il 12 luglio e notificata il 10 marzo 2012, la Corte d'Appello di Roma dichiarava l'appello inammissibile e condannava l'appellante, in accoglimento dell'appello incidentale, a versare alla sig.ra S.D. , la somma di Euro 50.105,03, quale sua quota per il canone di locazione. Avverso tale sentenza il sig. S. proponeva ricorso per cassazione, notificato l'8 maggio 2012 e depositato il 25 maggio 2012, deducendo tre motivi. Si costituiva con controricorso S.D. , la quale proponeva, altresì, ricorso incidentale, sulla base di due motivi. Con il primo complesso motivo il ricorrente in via principale ha denunciato, in relazione all'articolo 360 numero 3 e 5 c.p.c., la violazione dell'articolo 244 e seguenti c.p.c. e la violazione dei principi regolatori del giusto processo ex articolo 111 Cost, nonché l'omessa motivazione su un punto decisivo della causa, in virtù della mancata assunzione della prova testimoniale asseritamente richiesta per provare l'avvenuto acquisto per usucapione della proprietà dell'immobile oggetto della causa. Con il secondo motivo, il sig. S.V.M. ha lamentato la violazione dell'articolo 358 c.p.c., in riferimento all'articolo 360, numero 3, c.p.c., asserendo che l'appello non poteva essere dichiarato inammissibile, difettando i presupposti prescritti dal citato articolo 358 c.p.c Con il terzo motivo, lo stesso ricorrente principale ha dedotto la violazione dell'articolo 1102 c.c., in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c., nella parte in cui, con la sentenza impugnata, egli era stato condannato alla restituzione dei frutti goduti. La prima doglianza appare, all'evidenza, inammissibile. Infatti, il costante insegnamento della Suprema Corte, pone a carico della parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione su un'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio, l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo a richiamarle specificamente, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dal momento che tale controllo, per il principio di necessaria specificità del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative cfr. Cass. numero 28336 del 2011 Cass. numero 17915 del 2010 Cass. numero 4201 del 2010 v., anche, Cass. numero 6440 del 2007 secondo cui, é privo di autosufficienza il ricorso fondato su un motivo con il quale viene denunciato vizio di motivazione in ordine all'assunta prova testimoniale, omettendo di indicare nel ricorso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell'impugnata sentenza cfr., pure, Cass. numero 5479 de 2006, alla stregua della quale ove trattasi di una prova per testi, è onere del ricorrente, in virtù del principio del ricorso per cassazione, indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, quale ne fosse la rilevanza, ed a quale titolo i soggetti chiamati a rispondere su di esse potessero esserne a conoscenza . Nel caso di specie, il richiamato principio di necessaria specificità non risulta rispettato, essendo evidente che il ricorrente non ha provveduto a richiamare i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente considerati decisivi, né ha indicato i testimoni e il titolo sulla base del quale questi avrebbero potuto essere a conoscenza delle circostanze dedotte. Anche la seconda doglianza dedotta con il ricorso principale appare inammissibile, poiché la sentenza di secondo grado risulta perfettamente coerente sia con il dettato normativo dell'articolo 342 c.p.c., che prescrive che l'atto di appello debba contenere i motivi specifici dell'impugnazione nel caso di specie omessi dal ricorrente con la proposizione dell'atto di appello, per quanto puntualizzato nella stessa sentenza impugnata , che con l'orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale nell'atto di appello, ossia nell'atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame rilevabile di ufficio, una parte argomentativa che contrasti le ragioni addotte dal primo giudice cfr. Cass. numero 12984 del 2006 Cass. numero 23299 del 2011 . Peraltro, il motivo in questione risulta del tutto sprovvisto dell'indicazione del requisito prescritto dall'articolo 366, comma 1, numero 4 , c.p.c., dal momento che, con esso, il S.V.M. si è limitato a dedurre genericamente la violazione dell'articolo 358 c.p.c., in base alla mera argomentazione che di tale norma non ricorresse alcun presupposto. Infine, risulta inammissibile anche il terzo ed ultimo motivo, evidenziandosi come non siano stati offerti motivi tali da comportare il mutamento dell'orientamento della giurisprudenza di questa Corte, così come imposto dall'articolo 360 bis, numero 1 , c.p.c Infatti, per confutare quanto esposto dal ricorrente il quale, senza indicare alcun orientamento giurisprudenziale a supporto della propria tesi, si è limitato ad eccepire che egli non ha mai impedito il godimento pro quota da parte degli altri condividenti” , è sufficiente riportare quanto affermato in Cass., numero 12260 del 2002, secondo la quale, il singolo coerede può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi solo attraverso l'estensione del possesso medesimo in termini di esclusività o per come ritenuto alcune volte mediante atti di interversio sicché a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso della cosa, occorrendo altresì che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus poiché, peraltro, tale volontà non può desumersi dal fatto che il coerede abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario, provvedendo fra l'altro al pagamento delle imposte e alla manutenzione, il coerede che invochi l'usucapione ha l'onere di provare che il rapporto materiale con il bene si è verificato in modo da escludere, con palese manifestazione del volere, gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene ereditario v., nello stesso senso, anche Cass. numero 9903 del 2006 e Cass. numero 19478 del 2007 . Nel caso di specie è, peraltro, lo stesso ricorrente principale - per quanto desumibile dallo svolgimento della stessa doglianza in esame - a negare la sua volontà di possedere uti dominus esclusivo, ammettendo di aver posseduto l'immobile garantendo e riconoscendo agli altri condividenti ivi compresa la controricorrente la possibilità di godere pro quota dell'immobile dedotto in controversia. Inoltre, la deduzione del ricorrente circa la determinazione dei frutti, che sarebbero dovuti solo dal giorno della domanda giudiziale e andrebbero determinati in base ai parametri della legge sull'equo canone, è agevolmente ricavabile dall'osservazione che la Corte di Appello ha semplicemente applicato principi assolutamente pacifici in giurisprudenza cfr. fra le tante, Cass. numero 21013 del 2011 Cass. numero 7881 del 2011 Cass. 12818 del 2004 Cass. numero 9659 del 2000 Cass. numero 7716 del 1990 . Per quanto concerne, invece, il ricorso incidentale proposto da S.D. , con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli articolo 820, comma terzo, 821, comma terzo, e 832 c.c., in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c La sig.ra S. aveva chiesto, in sede di precisazioni delle conclusioni, che S.V.M. fosse condannato al pagamento dei frutti civili, oltre agli interessi e alla rivalutazione, dalla data di apertura della prima delle successioni che avevano determinato l'acquisto della comproprietà dei beni in capo agli eredi. Tale doglianza appare, all'evidenza, fondata. Infatti, la Corte romana, dopo aver correttamente applicato i principi in materia di ripartizione dei frutti civili dei beni in comunione, per averne S.V.M. goduto in via esclusiva in pendenza dello stato di indivisione, è incorsa nella violazione del diritto della sig.ra S.D. alla percezione dei frutti civili, relativi all'appartamento attribuitole in proprietà esclusiva dalla sentenza di divisione. In particolare, la Corte territoriale ha individuato, in capo al ricorrente principale, l'obbligo di restituzione dei frutti percepiti solo sino alla pubblicazione della sentenza di appello e non già, come chiesto in sede di gravame, fino all'integrale soddisfo , violando, in tal modo, il diritto della sig.ra S. alla restituzione dei frutti civili maturati nel periodo intercorrente tra la data di deposito della sentenza d'appello e la data di effettivo conseguimento del possesso dell'appartamento, assegnatole in proprietà esclusiva e dalla stessa non goduti a seguito del mancato rilascio dell'immobile da parte del sig. S.V.M. sul diritto alla restituzione cfr. Cass. numero 6586 del 1997 Cass. numero 10296 del 1990 Cass. 4779 del 1988 . Con il secondo motivo ha denunciato la violazione dell'articolo 112 c.p.c. in relazione all'articolo 360, comma primo, numero 4 c.p.c., avendo la Corte d'Appello omesso di pronunciare sulla domanda di restituzione dei frutti civili, con riferimento al periodo successivo al deposito della sentenza di gravame. Anche tale doglianza appare, ad avviso del relatore, manifestamente fondata. La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato è evidente infatti, la ricorrente in via incidentale aveva espressamente richiesto, fin dalla sua prima difesa in grado di appello, la restituzione dei frutti civili fino al soddisfo, anche con riferimento a quelli maturati successivamente alla sentenza impugnata. La stessa domanda è stata poi ritualmente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni. Tuttavia, la legittima proposizione di detta richiesta, la Corte territoriale non si è pronunciata su tale domanda, avendo disposto esclusivamente la restituzione pro quota dei frutti civili maturati manente comunione, senza minimamente considerare il periodo successivo allo scioglimento della comunione. L'omessa pronuncia su un capo della domanda, costituisce un vizio denunciabile ai sensi dell'articolo 112 c.p.c., come ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il vizio di omessa pronuncia, in quanto incidente sulla sentenza pronunciata dal giudice del gravame, è deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 360, numero 4 c.p.c. e, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, integra un error in procedendo, in relazione al quale la Suprema Corte è anche giudice di fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti in causa e, in particolare, le istanze e le deduzioni delle parti” cfr., ad es., Cass. numero 375 del 2005 e Cass. numero 978 del 2007 . In definitiva, si riconferma che, nel caso di specie, sembrano sussistere i presupposti per la definizione del ricorso nelle forme del procedimento camerale ex. articolo 380 bis c.p.c., potendosi ravvisare l'inammissibilità dei motivi del ricorso principale, in relazione all'ipotesi prevista dall'articolo 375 numero 1 c.p.c., e la manifesta fondatezza dei motivi del ricorso incidentale, avuto riguardo all'articolo 375 numero 5 c.p.c.”. Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, avverso la quale la memoria difensiva, depositata dal ricorrente principale ai sensi dell'articolo 380 bis, comma 2, c.p.c. con la quale, peraltro, lo stesso risulta aver rinunciato al primo motivo di ricorso proposto , non contrappone ulteriori argomentazioni idonee a confutare la relazione stessa e senza che dalla discussione orale dei difensori siano emersi nuovi elementi di valutazione rilevato, altresì, che la sopravvenuta costituzione nel presente giudizio di legittimità delle altre intimate S.M. , S.G. e S.F. , a mezzo dell'Avv. S.M.V. , deve ritenersi inammissibile sia perché realizzata a titolo di intervento sia perché avvenuta con il conferimento della procura speciale al predetto difensore apposta in calce ad una memoria e, quindi, al di fuori dei casi previsti dall'articolo 83, comma 3, c.p.c., risultando, invece, necessario - ai fini di una valida costituzione - il rilascio della procura nelle forme stabilite dallo stesso articolo 83, al comma 2 ritenuto che, pertanto, il ricorso principale considerata anche l'intervenuta rinuncia alla prima censura formulata deve essere rigettato, mentre quello incidentale deve essere accolto, con la conseguenza cassazione, in relazione a quest'ultimo ricorso, della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Roma, che, oltre ad attenersi ai principi di diritto sopra enunciati, provvedere anche sulle spese della presente fase di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale ed accoglie il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese della presente fase di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.