In caso di devoluzione della controversia ad un collegio arbitrale, il valore della stessa, rilevante ai fini della liquidazione del compenso spettante agli arbitri, si determina aprioristicamente sulla base del petitum.
La Cassazione, sez. I Civile, si è occupata, con la sentenza numero 21220 depositata l’8 ottobre 2014,di una controversia in tema di compensi spettanti agli arbitri che avevano prestato la loro attività in un contenzioso in materia di appalti pubblici. In discussione l’esatta determinazione del valore della controversia ai fini del calcolo del compenso spettante agli arbitri. Il caso. Un avvocato chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Milano un decreto ingiuntivo nei confronti della Regione Marche, per il pagamento della somma di oltre euro 12.000,00, a titolo di compenso per l'attività resa quale membro del Collegio arbitrale chiamato a pronunciarsi su di una controversia tra la Regione e una società appaltatrice. Il decreto ingiuntivo veniva opposto dalla Regione. L’avvocato si difendeva depositando una sentenza resa dallo stesso Tribunale di Milano con la quale una identica domanda di pagamento, avanzata da altro membro del collegio arbitrale, era stata accolta. Il Tribunale respingeva l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo opposto, condannando alle spese di lite la Regione opponente. La Corte d’appello, in parziale accoglimento dell’impugnazione, revocava il decreto ingiuntivo opposto, determinando il compenso spettante al Collegio arbitrale in complessivi euro 15.000,00, oltre a interessi legali, condannando quindi la Regione alla corresponsione a favore dell’appellato della relativa quota di competenza. In particolare i giudici di secondo grado avevano ritenuto fondata la doglianza relativa al carattere eccessivo dell’autoliquidazione degli arbitri, poiché l'oggetto della controversia riguardava non il quantum dell’intero appalto, ma solamente la sospensione dei lavori valutabile con riferimento al potere dell'appaltatore di richiedere le riserve, quantificabile in lire 376.854.510, da cui, secondo la tabella professionale applicabile, l'onorario compreso tra venti e quaranta milioni di lire, e la determinazione in euro 15.000,00, tenuto conto degli atti di causa, dell’ impegno profuso, della difficoltà delle questioni affrontate dagli arbitri. Inoltre, la Corte accoglieva la doglianza relativa agli interessi, ritenendo trattarsi di interessi non derivanti da mora ex re , ma, stante la localizzazione dei pagamenti presso la tesoreria regionale, ex articolo 92 e 93 l.reg. numero 25/1980, richiedenti la messa in mora, da cui la decorrenza non dalla data del lodo, ma dalla successiva notifica del ricorso per decreto ingiuntivo. Il valore della controversia andava valutato ex ante e andavano sommati gli interessi richiesti. Secondo il ricorrente, il Giudice del merito avrebbe erroneamente applicato il criterio di determinazione ex post del valore della causa sulla base del concreto decisum , riferendosi allo scaglione da 200 a 500 milioni di lire infatti, ha escluso che la ditta appaltatrice avesse formulato domanda di rescissione del contratto, ma non ha negato che avesse formulato la seconda domanda concernente i corrispettivi ancora dovuti ed i danni reclamati né che questa ammontasse a circa 1.100.000.000, oltre interessi e rivalutazione pari a circa il 100% di tale importo. Anche ad ammettere il criterio del decisum , la Corte avrebbe comunque errato, atteso che al credito di lire 376.854.510 occorreva aggiungere gli interessi e la rivalutazione, cosi pervenendosi all'importo di lire 670.965.317, da cui l’applicazione dello scaglione da 500 a 700 milioni di lire. In effetti il valore dipende da una valutazione ex ante secondo le regole del codice di rito. Secondo la Suprema Corte, il principio di diritto fatto valere dal ricorrente è corretto, perché, in caso di devoluzione della controversia ad un collegio arbitrale, il valore della stessa, rilevante ai fini della liquidazione del compenso spettante agli arbitri, si determina aprioristicamente ai sensi dell'articolo 5, numero 1, della tariffa stragiudiziale forense, che rinvia alle norme del codice di procedura civile in materia di competenza per valore, sulla base del petitum , senza che possa spiegare alcun effetto la pronunzia emessa da detto collegio, anche solo di inammissibilità o di improcedibilità della domanda, atteso che un ipotetico criterio di determinazione ex post del valore della causa sulla base del concreto decisum sarebbe in contrasto con le regole fissate nel codice di procedura civile. econdo il ricorrente, l'errata applicazione della determinazione del valore da parte del Giudice del merito sarebbe provata dal riferimento all’importo riconosciuto dagli arbitri tale rilievo è da ritenersi infondato, atteso che la Corte di merito ha fatto riferimento, correttamente, al petitum originario, e lo ha concretamente individuato alla stregua della determinazione della stessa ad opera degli Arbitri. L’errore dei giudici di merito andavano sommati gli interessi. Nella determinazione del valore della controversia, la Corte d’appello è incorsa peraltro nell’erroneo mancato cumulo degli accessori con la somma capitale, in violazione dell’articolo 10, comma 2, c.p.c., richiesti dalla parte, come risulta dal quesito formulato dalla ditta appaltatrice. A riguardo vale il principio della prospettazione della domanda, sì che del tutto ultroneo è il rilievo della Regione circa la presunta mancata prova dell’atto di messa in mora. Il principio di diritto espressamente affermato dalla Cassazione. Nella liquidazione del compenso spettante pro quota all’arbitro quale componente di collegio arbitrale costituito da avvocati, per l’individuazione dello scaglione di cui al punto 9 della tabella relativa alle prestazioni stragiudiziali, di cui al d.m. numero 585/1994, applicabile nella specie, va fatto riferimento al valore della controversia, nel caso individuato nelle riserve collegate alla terza sospensione, nell’importo indicato dalla Corte di merito, a cui vanno aggiunti gli accessori richiesti dalla parte in sede di arbitrato.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 luglio – 8 ottobre 2014, numero 21220 Presidente Salvago – Relatore Di Virgilio Svolgimento del processo L'avv. G.G. chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Milano decreto ingiuntivo nei confronti della Regione Marche, per il pagamento della somma di Euro 12.394,96, oltre Euro 2153,62 più c.p.a., Iva, ed interessi, oltre le spese del procedimento, per l'attività resa quale membro del Collegio arbitrale chiamato a pronunciarsi su di una controversia tra la Regione e la società Soged s.r.l. relativa a contratto d'appalto. Il decreto veniva opposto dalla Regione si costituiva l'avv. G. , e depositava la sentenza del Tribunale di Milano numero 4827/2004, di accoglimento dell'identica domanda di pagamento delle competenze dell'arbitro prof. M. , per la somma di Euro 12.394,96. Il Tribunale, con sentenza del 13/2/2007, respingeva l'opposizione e confermava il decreto ingiuntivo opposto, condannando alle spese l'opponente. La Corte d'appello, con sentenza depositata il 26/4/2010, in parziale accoglimento dell'appello, ha revocato il decreto ingiuntivo opposto e determinato il compenso spettante al Collegio arbitrale in complessivi Euro 15.000,00, oltre interessi legali dal 12/7/02, condannando la Regione alla corresponsione a favore dell'avv. G. della quota a questi spettante, ed a condizione che sia ancora dovuta ha compensato tra le parti le spese. Nello specifico, e per quanto ancora interessa, la Corte del merito ha ritenuto fondata la doglianza relativa al carattere eccessivo dell'autoliquidazione degli arbitri, per riguardare l'oggetto della controversia non il quantum dell'intero appalto, ma solamente la sospensione dei lavori valutabile con riferimento al potere dell'appaltatore di richiedere le riserve, credito quantificabile in lire 376.854.510, da cui, secondo la tabella professionale applicabile, l'onorario compreso tra venti e quaranta milioni di lire, e la determinazione in Euro 15.000,00, tenuto conto degli atti di causa, dell'impegno profuso, della difficoltà delle questioni affrontate dagli arbitri. La Corte ha accolto la doglianza relativa agli interessi, ritenendo trattarsi di interessi non derivanti da mora ex re, ma, stante la localizzazione dei pagamenti presso la tesoreria regionale, ex articolo 92 e 93 l.reg. 25/80, richiedenti la messa in mora ex articolo 1219 c.c., da cui la decorrenza non dalla data del lodo 17/4/2000 , ma dalla notifica del ricorso per decreto ingiuntivo, e quindi dal 12/7/2002. Ricorre avverso detta pronuncia l'avv. G. , con ricorso affidato a due motivi. Si difende con controricorso la Regione. La Regione ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1.1.- Con il primo motivo, il ricorrente si duole del vizio di violazione e falsa applicazione del d.m. 585/94, articolo 5, comma 1, della tariffa onorari ed indennità in materia stragiudiziale e del punto 9 della tabella allegata al detto d.m. nonché degli articolo 10 e ss. c.p.c., nonché del vizio di motivazione insufficiente. Secondo il ricorrente, il Giudice del merito ha erroneamente applicato il criterio di determinazione ex post del valore della causa sulla base del concreto decisum, riferendosi allo scaglione da 200 a 500 milioni di lire infatti, ha escluso che la ditta appaltatrice avesse formulato domanda di rescissione del contratto, ma non ha negato che avesse formulato la seconda domanda concernente i corrispettivi ancora dovuti ed i danni reclamati né che questa ammontasse a circa 1.100.000.000, oltre interessi e rivalutazione pari a circa il 100% di tale importo, e di ciò v'è conferma nello stesso lodo, nei quesiti riportati. Anche ad ammettere il criterio del decisum, la Corte ha comunque errato, atteso che al credito di lire 376.854.510 occorre aggiungere gli interessi e la rivalutazione, così pervenendosi all'importo di lire 670.965.317, da cui l'applicazione dello scaglione da 500 a 700 milioni di lire. 1.2. - Col secondo mezzo, la parte si duole del vizio di violazione e falsa applicazione degli articolo 1282 e 1219 c.c., 92 e 97 della L. Regione Marche numero 25 del 1980, per non essere stata attribuita alla Regione la competenza a trasformare gli interessi corrispettivi ex articolo 1282 c.c. in moratori ex articolo 1219 c.c., e per essersi quindi limitata la legge regionale ad indicare il servizio a cui spetta ordinare il pagamento delle spese e le modalità di effettuazione dei pagamenti da parte della tesoreria regionale. 2.1.- Il primo motivo è parzialmente fondato, nei limiti di quanto di seguito rilevato. Il principio di diritto fatto valere dal ricorrente è corretto, affermandosi, da ultimo nella pronuncia 8247/2009, che, in caso di devoluzione della controversia ad un collegio arbitrale, il valore della stessa, rilevante ai fini della liquidazione del compenso spettante agli arbitri, si determina aprioristicamente - ai sensi dell'articolo 5, numero 1, della tariffa stragiudiziale forense, che rinvia alle norme del codice di procedura civile in materia di competenza per valore - sulla base del petitum , senza che possa spiegare alcun effetto la pronunzia emessa da detto collegio, anche solo di inammissibilità o di improcedibilità della domanda, atteso che un ipotetico criterio di determinazione ex post del valore della causa sulla base del concreto decisum sarebbe in contrasto con le regole fissate nel codice di procedura civile. La Corte del merito ha avuto presente detto principio, nella determinazione del valore della domanda proposta agli arbitri. Ed infatti, nello specifico, la Corte ambrosiana, dopo avere riportato, alle pagine 12 e 13 della sentenza, la determinazione del valore come intesa dal Tribunale, ha rilevato, a pagina 18, che l'oggetto della controversia non riguardava l'intero contratto, in relazione al quale non era stata formulata dalla parte la domanda di rescissione, ma solamente il riconoscimento delle riserve, relative alla sospensione dei lavori, quantificate in lire 376.854.510. E risulta dallo stesso lodo, pagina 14, che la parte avesse delimitato l'oggetto della controversia alla sola terza sospensione, di talché il Collegio arbitrale ha limitato il proprio giudizio alla legittimità di detta sospensione pagina 46 del lodo . Secondo il ricorrente, l'errata applicazione della determinazione del valore da parte del Giudice del merito sarebbe provata dal riferimento all'importo riconosciuto dagli arbitri tale rilievo è da ritenersi infondato, atteso che la Corte di merito ha fatto riferimento, correttamente, al petitum originario, e lo ha concretamente individuato alla stregua della determinazione della stessa ad opera degli Arbitri, che, sul punto, hanno quindi sostanzialmente determinato e quantificato il valore iniziale di detta sospensione, a fronte della quantificazione contenuta nell'istanza di arbitrato, che, come sopra visto, si riferiva a tutte le sospensioni. È appena il caso di aggiungere che, in tal modo, non vengono introdotte distinzioni in fatto non avanzate avanti al Giudice di merito, ponendosi la questione di diritto, della individuazione del valore della controversia, per correttamente determinare lo scaglione di riferimento del punto 9 della tabella delle prestazioni stragiudiziali di cui al d.m. 585/1994. Nella determinazione del valore della controversia, la Corte d'appello è incorsa peraltro nell'erroneo mancato cumulo degli accessori con la somma capitale, in violazione dell'articolo 10, 2 comma c.p.c., richiesti dalla parte, come risulta dal quesito formulato dalla ditta appaltatrice. A riguardo, è appena il caso di rilevare che vale il principio della prospettazione della domanda, sì che del tutto ultroneo è il rilievo della Regione, della mancata prova dell'atto di messa in mora. 2.1. - Il secondo motivo è inammissibile. La parte ha svolto la censura sul rilievo della insussistenza della competenza legislativa regionale a trasformare gli interessi corrispettivi in moratori, non essendo attribuita alle Regioni la materia dell' ordinanza civile dell'articolo 117 Cost. nella formulazione anteriore alla riforma, e risultando, dopo di questa, attribuita allo Stato la competenza esclusiva per detto ordinamento. Secondo il ricorrente, inoltre, la 1. regionale 25/80 non avrebbe previsto alcuna localizzazione dei pagamenti presso la tesoreria regionale. Le censure sono incongrue rispetto alla statuizione sul punto resa dalla Corte d'appello, che è incentrata sulla natura degli interessi quali moratori, dovuti dalla P.A. e sulla loro disciplina ad opera del combinato disposto degli articolo 1219 Cod. civ. e della legge statale 2440 del 1923 sicché il riferimento alla legge reg. 25/1980 è stato compiuto soltanto per evidenziare la localizzazione dei pagamenti gravanti sulla Regione suddetta, che andavano eseguiti presso la sua tesoreria articolo 92 e 97 legge reg. rendendo il credito querable e richiedendo l'applicazione dell'articolo 1219, 1 comma cod. civ. così come avviene per i debiti dello Stato. La parte, pertanto per sostenere la non necessità della messa in mora, avrebbe dovuto contestare specificamente quest'ultima disciplina interamente recepita dalla sentenza impugnata, contro la quale invece nessuna censura è stata avanzata. 3.1. - Conclusivamente, va accolto il primo motivo nei sensi di cui in motivazionetmentre va dichiarato inammissibile il secondo va conseguentemente cassata la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e va disposto rinvio alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto Nella liquidazione del compenso spettante pro quota all'arbitro quale componente di collegio arbitrale costituito da avvocati, per l'individuazione dello scaglione di cui al punto 9 della tabella relativa alle prestazioni stragiudiziali, di cui al d.m. 585/1994, applicabile nella specie, va fatto riferimento al valore della controversia, nel caso individuato nelle riserve collegate alla terza sospensione, nell'importo indicato dalla Corte di merito, a cui vanno aggiunti gli accessori richiesti dalla parte in sede di arbitrato . Il Giudice del rinvio provvederà a decidere anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo nei limiti di cui in motivazione e dichiara inammissibile il secondo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.