Senza prova contraria, il contenuto va attribuito alla volontà del sottoscrittore … anche in caso di riempimento del documento in bianco

Il riempimento non pattuito della scrittura privata, successivo alla sua sottoscrizione e consegna, richiede la proposizione della querela di falso, mentre l’allegazione da parte del sottoscrittore di un riempimento contrario ai patti richiede la prova, oltre che del rilascio della scrittura in bianco, di tali patti, in difetto della quale il contenuto della scrittura si deve attribuire alla volontà del sottoscrittore.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione sentenza n. 22087 del 26 settembre 2013. Assegno in bianco e sua illegittima compilazione. La controversia da cui origina la sentenza in commento trae spunto dalla richiesta di restituzione di una somma di denaro che era stata in passato mutuata dal marito dell’attrice nei confronti della di lui sorella, la quale all’atto di ricevere la somma di denaro aveva tratto in favore del fratello un assegno bancario di importo corrispondente a quello della somma mutuata a garanzia della restituzione della stessa. Instaurato il contraddittorio, veniva eccepito che in realtà l’assegno era stato sottoscritto senza l’indicazione dell’importo e del beneficiario, con la conseguenza che non poteva considerarsi quale prova che il traente era in effetti debitore della somma in questione. Sul punto, oltre ad altri motivi di ricorso, veniva interposto ricorso per Cassazione, sul presupposto che la sottoscrizione della scrittura privata fa piena prova solo della provenienza della stessa ma non anche della verità delle dichiarazioni in essa contenute. Biancosegno e illegittima compilazione della scrittura privata. Prima di considerare la soluzione adottata dalla Corte nel caso in esame sembra opportuna accennare alla disciplina della sottoscrizione del documento non ancora compilato. Se infatti da un lato può accadere che il soggetto che sottoscrive il documento ha concordato il contenuto del testo delegando la controparte della compilazione, dall’altro è ben possibile che il firmatario non abbia autorizzato il riempimento del foglio o che la controparte lo abbia riempito in contrasto con i patti raggiunti con il sottoscrittore. Mente nel primo caso si può certamente dire che la dichiarazione è direttamente imputabile al sottoscrittore, il quale con la firma ha espresso la volontà di far proprio il futuro contenuto del testo, nel secondo caso non può dirsi che il sottoscrittore abbia voluto la dichiarazione successivamente inserita nel foglio. In tal ultimo caso, infatti, il sottoscrittore potrà subire, in forza del principio dell’apparenza imputabile, gli effetti della dichiarazione contenuta nel documento sottoscritto ma abusivamente compilato dalla controparte, salvo che nei confronti di quest’ultima sia provato che il riempimento del documento sia avvenuto in contrasto con gli accordi tra i sottoscrittori. L’onere della prova in caso di abusivo riempimento della scrittura privata. Tenendo implicitamente conto di tali rilievi di carattere generale, la Corte, nella pronuncia in rassegna giunge quindi ad affermare che, il riempimento non pattuito della scrittura privata, successivo alla sua sottoscrizione e consegna, richiede la proposizione della querela di falso, mentre l’allegazione da parte del sottoscrittore di un riempimento contrario ai patti richiede la prova, oltre che del rilascio della scrittura in bianco, di tali patti, in difetto della quale il contenuto della scrittura si deve attribuire alla volontà del sottoscrittore.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 22 maggio – 26 settembre 2013, n. 22087 Presidente Carnevale – Relatore Scaldaferri Svolgimento del processo L P. , in proprio e quale erede del coniuge A.S. , convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli D.A. , I. , R. e M. , eredi di A.C. sorella di S. , per sentirli condannare al pagamento in suo favore della somma di L. 100.000.000, oltre accessori, che il marito aveva nel omissis mutuato alla sorella dopo averla prelevata dal conto corrente bancario cointestato, ricevendo contestualmente dalla mutuataria assegno di pari importo da lei sottoscritto in garanzia della restituzione. I convenuti chiesero il rigetto della domanda deducendo, tra l'altro, che l'assegno era stato firmato da C A. senza indicazione dell'importo e del beneficiario ed era stato consegnato al fratello S. per un debito relativo ad altro rapporto concernente l'eredità paterna, comunque non superiore a L. 1.000.000 e successivamente estinto direttamente avendo A.S. riferito di aver smarrito il titolo. Il Tribunale, espletato interrogatorio libero dell'attrice e prova per testi, accolse la domanda e condannò i convenuti al pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro 12.911,42 per ciascuno, oltre interessi legali dal 9.12.1998 al saldo. Interponevano appello i D. , deducendo, da un lato, che la P. non era legittimata ad agire per il credito allegato in qualità di erede di S A. , sia perché, essendo questi deceduto senza prole, all'eredità erano, a norma dell'articolo 582 cod.civ., chiamati anche essi appellanti, nei confronti dei quali la P. avrebbe dovuto prima agire ex articolo 533 cod.civ., sia perché con il testamento il medesimo A. aveva lasciato alla moglie tutti i beni posseduti, non anche i crediti da recuperare, né il credito in questione era stato inserito nella denuncia di successione sottoscritta dalla P. . Si dolevano inoltre gli appellanti dell'erronea valutazione della prova testimoniale. La Corte d'appello di Napoli, con sentenza depositata il 5 luglio 2005 e notificata il 21 dicembre 2005, ha rigettato il gravame, rilevando a che le eccezioni in ordine alla legittimazione della P. in qualità di erede, oltre che inammissibili perché nuove, sono prive di fondamento, in quanto le disposizioni testamentarie sottoscritte dall'A. erano chiaramente dirette ad attribuire alla P. - che con l'esercizio della presente azione giudiziale aveva implicitamente manifestato la volontà di accettazione - tutto il suo patrimonio residuo dopo aver soddisfatto alcuni legati, e ciò escludeva l'applicazione delle norme tra le quali l'articolo 582 c.c. regolanti la successione legittima b che la efficacia probatoria, a norma dell'articolo 1988 cod.civ., dell'assegno sottoscritto da A.C. - con la promessa di pagare la somma di lire 100 milioni a S A. - non può ritenersi superata dalle risultanze della prova per testi, diretta a dimostrare che l'assegno era stato consegnato a S A. privo della indicazione del beneficiario e dell'importo e che il riempimento era stato pattuito la tesi, pure adombrata dai D. nel corso del giudizio, di un riempimento senza alcun patto presupponeva una querela di falso mai proposta per una somma non superiore a L. 1.000.000 infatti l'unico teste indicato su tali punti, E C. coniuge di una delle parti appellanti, ha smentito queste ultime riferendo che l'indicazione del beneficiario era stata apposta da D.A. su richiesta della madre A.C. , e d'altra parte le puntuali e concordi dichiarazioni dei testi Pa. e P. , indicati dall'attrice, non erano scalfite dai rilievi degli appellanti, in parte focalizzati su dati particolari non provati o privi di rilievo ed in parte basati su dichiarazioni dei testi C. e G. da ritenere inapprezzabili, anche per il legame di parentela con gli appellanti. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso a questa Corte D.A. , R. , M. e I. , cui resiste con controricorso L P. . Motivi della decisione 1. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano l'omessa valutazione di un punto decisivo e la falsa applicazione dell'articolo 1184 cod.civ. deducono che la P. , nel corso dell'interrogatorio libero espletato in primo grado, ha dichiarato che il marito le riferì che la sorella A.C. avrebbe restituito la somma di 100 milioni di lire dopo la divisione dei beni ereditari del loro genitore e che quindi a tutt'oggi, non essendosi ancora conclusa tale divisione, non si è ancora verificata la condizione di proponibilità della domanda di adempimento e della legittimazione ad agire . Osserva tuttavia il Collegio che con tali deduzioni i ricorrenti introducono una questione che, in quanto pertinente non già al tema della carenza di legittimazione ad agire bensì a quello della inesigibilità del credito per non compiuta maturazione del termine, investe il merito della domanda di adempimento e non è quindi rilevabile d'ufficio, ma doveva essere tempestivamente sollevata dagli odierni ricorrenti nel giudizio di merito. Poiché non è stato neppure dedotto in ricorso, né risulta dalla sentenza impugnata, che tale questione sia stata introdotta nel giudizio di merito, il motivo è inammissibile stante il giudicato interno formatosi sul punto. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano, sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli articoli 582 e 533 cod.civ., le statuizioni con le quali la Corte di merito ha ritenuto sussistente la legittimazione ad agire della P. disattendendo le norme previste dagli articoli di legge sopra richiamati. Insistono nel sostenere genericamente che essi sono succeduti, quali coeredi ex articolo 582 cod.civ. per un terzo, nel credito in questione, e che la coerede P. avrebbe dovuto procedere nei loro confronti non come se si fosse trattato di un credito proprio ma con azione di divisione ereditaria e di petizione ereditaria. Osserva tuttavia il Collegio che i ricorrenti non hanno illustrato le ragioni per le quali la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato le norme sopra indicate là dove ha rilevato che le norme sulla successione legittima tra le quali l'articolo 582 cod.civ. nella specie non trovano applicazione essendo la P. stata istituita erede con testamento, e che l'azione di adempimento del credito esercitata dalla medesima in qualità di erede del creditore non può essere sussunta nella azione reale prevista dall'articolo 533 c.c Il rigetto del motivo ne deriva di necessità. 3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell'articolo 726 cod.civ., sostenendo che, essendo essi coeredi per un terzo, il credito ereditario azionato nei loro confronti dovrebbe essere ridotto della quota corrispondente, detraendo inoltre la quota di un terzo di loro pertinenza di una somma lire 25 milioni pagata da un debitore del de cuius alla P. . Tale motivo, in quanto basato sul presupposto della qualità di coeredi in capo ai ricorrenti, deve ritenersi assorbito nel rigetto del motivo precedente volto per l'appunto a censurare la statuizione negativa sul punto. 4. Con il quinto motivo, connesso con i due che precedono, i ricorrenti censurano, sotto il profilo dell'omessa valutazione di un punto decisivo e sotto quello della falsa applicazione dell'articolo 457 cod.civ., la ritenuta inclusione del credito in questione tra i beni relitti per testamento da S A. alla P. , sostenendo che tale credito non risulta menzionato nel testamento né nella denuncia di successione ove si dispone solo che alla moglie vadano risparmi ed altri beni, e che ciò esprimerebbe la volontà del de cuius di non pretendere alcun pagamento dalla sorella, conformemente a quanto riferito dal teste C. secondo cui il defunto avrebbe comunicato che aveva smarrito l'assegno rilasciatogli dalla sorella e che comunque quest'ultima nulla doveva. Premesso che la denuncia di falsa applicazione dell'articolo 457 cod.civ. non risulta apprezzabile - in quanto non sostenuta da considerazioni relative alla interpretazione della norma astratta bensì solo da critiche relative alla ricognizione della fattispecie concreta-, ritiene il Collegio che le doglianze relative alla motivazione si mostrano in parte inammissibili, in parte infondate. Inammissibili là dove la critica si mostra in effetti diretta a richiedere una rivisitazione della questione relativa all'interpretazione della scheda testamentaria, che è riservata alla cognizione del giudice del merito le cui valutazioni sono sottratte al controllo di questa Corte ove - come nella specie - siano sorrette da motivazione congrua ed immune da vizi logici infondati con riguardo alla dedotta omissione di esame della testimonianza del C. , che la Corte ha invece valutato alla luce sia del chiaro contenuto delle disposizioni testamentarie di istituzione di erede, sia del fatto che l'assegno dato in garanzia dalla A. al fratello non risulta affatto smarrito bensì prodotto in atti. 5. Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano l'omessa valutazione di un punto decisivo e la falsa applicazione dell'articolo 2702 cod.civ Quanto al disposto di tale norma, sostengono che la scrittura privata riconosciuta fa piena prova solo della provenienza delle dichiarazioni di chi l'ha sottoscritta non anche della verità intrinseca di tali dichiarazioni, che è oggetto di libera valutazione del giudice e che potrebbe essere contrastata con ogni mezzo di prova, senza necessità di proporre querela di falso, sostengono che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, le dichiarazioni dei testimoni indotti dalla P. sarebbero validamente contrastate da quelle dei testi indotti da essi ricorrenti, dalle quali emergerebbe che il giorno OMISSIS in cui sarebbe, in XXXXXX, avvenuta la consegna del denaro contante da A.S. a C. e la dazione al primo dell'assegno in garanzia di pari importo da parte della seconda, questa si trovasse in XXXXXX, e che il figlio A. , che avrebbe compilato l'assegno stesso, si trovasse in XXXXXXX. Anche tale articolato motivo non merita accoglimento. Infondata è la denuncia di violazione di legge, perché la Corte di merito ha rettamente osservato come la allegazione di un riempimento non pattuito della scrittura privata, successivo alla sua sottoscrizione e consegna, richiede la proposizione nella specie omessa di querela di falso, laddove la allegazione da parte del sottoscrittore di un riempimento contrario ai patti richiede la prova - oltre che del rilascio della scrittura in bianco - di tali patti, in difetto della quale il contenuto della scrittura deve attribuirsi alla volontà del sottoscrittore cfr. ex multis Sez. 3 n. 18654/11 n. 18989/10 n. 6167/09 . Quanto alla critica nei riguardi della motivazione, essa, in luogo di individuare specifiche risultanze probatorie che la Corte di merito abbia omesso di considerare, si sostanzia nella proposizione di una diversa interpretazione delle risultanze stesse, in violazione dei limiti assegnati dalla legge alla cognizione del giudice di legittimità. 6. Con il sesto motivo, connesso con il precedente, i ricorrenti denunciano la omessa valutazione di un punto decisivo e la violazione degli artt. 254 e 245 cod.proc.civ., sostenendo che la Corte di merito avrebbe dovuto prendere per veritiere, piuttosto che prescindere dalle dichiarazioni testimoniali di G.A. secondo cui A D. si trovava il XXXXXXX in XXXXXXX, eventualmente avvalendosi della facoltà di porre i testi a confronto a norma dell'articolo 254 c.p.c. ove avesse avuto dei dubbi. Osserva tuttavia il Collegio che la Corte di merito non ha omesso di esaminare le dichiarazioni del teste G. , bensì le ha ritenute non decisive, nell'ambito di una valutazione complessiva del materiale probatorio che appare giustificata da congrua motivazione. In tale contesto, il mancato uso della facoltà discrezionale di cui all'articolo 254 cod.proc.civ. non è sindacabile in sede di legittimità. 7. Con il settimo motivo, i ricorrenti denunciano omessa valutazione di un punto decisivo e falsa applicazione dell'articolo 1988 cod.civ., deducendo che la stessa P. avrebbe affermato nell'interrogatorio libero che l'assegno non era stato scritto nell'importo da C A. e che dalla testimonianza già richiamata del C. emergerebbe che l'assegno sarebbe stato firmato da C A. senza l'importo quindi, in mancanza di un elemento essenziale, che sarebbe stato aggiunto dalla P. contra pacta , l'assegno non potrebbe valere neppure come promessa di pagamento. Anche qui, tuttavia, i ricorrenti, da un lato, formulano una critica alla motivazione che, priva di specifiche indicazioni in ordine alle risultanze istruttorie eventualmente non considerate dalla Corte di merito nell'accertamento della fattispecie concreta, si mostra non utilmente incentrata su una ricognizione della fattispecie diversa da quella esposta nella sentenza impugnata dall'altro fondano sul preteso errore nella ricognizione della fattispecie concreta anche la denuncia di falsa applicazione di norma di diritto senza far riferimento - come invece necessario - ai principi normativi astratti che sarebbero stati violati. 8. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, in Euro 3.500,00 per compenso e Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.