Lavoratore in carcere per motivi di giustizia: retribuzione pari a zero

Lo stato di custodia cautelare del lavoratore subordinato – non rientrando tra le ipotesi, tutelate dalla legge, di impossibilità temporanea della prestazione - comporta la perdita del diritto alla retribuzione per tutto il tempo in cui si protrae la carcerazione medesima.

E’ quanto sostenuto dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 21913 depositata il 25 settembre 2013. Il caso. La Corte d’appello aveva respinto l’impugnazione di un lavoratore contro l’accoglimento dell’opposizione, presentata dalla società datrice, avverso il decreto ingiuntivo che le era stato notificato per somme dovute al lavoratore a titolo di risarcimento dei danni conseguenti alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli. A riguardo, i giudici distrettuali avevano spiegato che la sentenza del giudice del lavoro dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento non poteva costituire titolo per l’attivazione dl procedimento monitorio in ordine alle retribuzioni che il lavoratore – arrestato per tentato omicidio del datore di lavoro – non avrebbe potuto percepire durante il periodo in cui il medesimo era stato ristretto in carcere per motivi di giustizia, in considerazione del fatto che in quel periodo il datore di lavoro era stato impossibilitato a ricevere la prestazione lavorativa del dipendente, privato della libertà personale. Per la Cassazione della sentenza il lavoratore ha presentato ricorso, sostenendo l’illegittimità della esclusione del periodo di custodia cautelare domiciliare dalla previsione di condanna della parte datoriale al risarcimento dei danni. Decisione di limitare la condanna risarcitoria al periodo successivo alla custodia cautelare. Per la Suprema Corte il ricorso è infondato. Gli Ermellini hanno dichiarato che è corretta la decisione impugnata quando afferma che i decreti ingiuntivi non potevano essere basati su un credito in realtà insussistente per la ragione sopra esposta, a nulla rilevando il fatto che il ricorrente fosse stato autorizzato a svolgere altro genere di lavoro esterno durante il periodo degli arresti domiciliari. Secondo Piazza Cavour, quindi, è certo che il periodo di sofferenza dello stato di custodia cautelare per motivi di giustizia non rientra nelle ipotesi di sospensione legale della prestazione lavorativa con diritto del dipendente alla retribuzione, per cui la sentenza impugnata non merita le censure sollevate con il ricorso in questione. Pertanto, il ricorso è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 maggio - 25 settembre 2013, n. 21913 Presidente Stile – Relatore Berrino Svolgimento del processo Con sentenza del 21/11/07 il giudice del lavoro del Tribunale di Reggio Calabria accolse parzialmente le opposizioni proposte dalla Compagnia Portuale T. Gulli s.r.l avverso i due decreti ingiuntivi che le erano stati notificati da D.M.M. per somme dovutegli a titolo di risarcimento dei danni conseguenti alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli nel giugno del 2004 e, per l'effetto, revocò i suddetti decreti, condannando l'opponente al pagamento della somma di Euro 1251,19. L'impugnazione, proposta dal D.M. avverso tale decisione, è stata respinta dalla Corte d'appello di Reggio Calabria con sentenza del 22/10 - 9/11/10. La Corte ha spiegato che la sentenza del giudice del lavoro dichiarativa dell'illegittimità del licenziamento, benché passata in giudicato, non poteva costituire titolo per l'attivazione del procedimento monitorio in ordine alle retribuzioni che il D.M. , arrestato per tentato omicidio del datore di lavoro nel giugno del 2004, non avrebbe potuto percepire durante il periodo in cui il medesimo era stato ristretto in carcere o collocato agli arresti domiciliari per motivi di giustizia, cioè dal giugno del 2004 al 5 settembre del 2006, in considerazione del fatto che in quel periodo il datore di lavoro era stato impossibilitato a ricevere la prestazione lavorativa del dipendente, privato della libertà personale, per cui era corretta la decisione del primo giudice di limitare la condanna risarcitoria al periodo successivo alla custodia cautelare, vale a dire dal 6 settembre al 30 settembre del 2006. Per la cassazione della sentenza propone ricorso D.M.M. , il quale affida l'impugnazione ad un solo articolato motivo di censura. Rimane solo intimata la Compagnia Portuale T. Gulli s.r.l Motivi della decisione Con un solo motivo il ricorrente censura l'impugnata sentenza denunziando i seguenti vizi violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 284, comma 3, c.p.p. e 18 della legge n. 300/1970, nonché in relazione all'art. 2909 cod. civ. per violazione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 1231/05 emessa dal giudice del lavoro del Tribunale di Reggio Calabria, oltre che la contraddittorietà della motivazione rispetto a quest'ultima sentenza. In pratica il ricorrente, dopo aver premesso che il licenziamento giudicato illegittimo era intervenuto allorquando egli era già in stato di custodia cautelare in carcere, circostanza, questa, nota al giudicante, sostiene l'erroneità della decisione di delimitare temporalmente la condanna risarcitoria conseguente alla reintegra disposta in suo favore, e, quindi, l'illegittimità della esclusione del periodo di custodia cautelare domiciliare dalla previsione di condanna della parte datoriale al risarcimento dei danni, posto che in quel periodo avrebbe potuto essere posta in esecuzione la sentenza di reintegra passata in giudicato, tanto che sempre a quell'epoca egli era stato autorizzato a svolgere lavoro esterno, rispetto al quale poteva operare, semmai, il principio della detrazione di somme eventualmente percepite per io svolgimento di una diversa attività Osserva la Corte che il ricorso è infondato. Invero, occorre rilevare che la inevitabile sospensione della prestazione lavorativa del D.M. nel periodo in cui il medesimo versava in stato di custodia cautelare, sia carceraria che domiciliare, non consentiva al datore di lavoro di ricevere la prestazione del dipendente ristretto per motivi di giustizia, per cui è corretta la decisione impugnata allorquando afferma, sulla base della lettura della motivazione e del dispositivo della sentenza di condanna del giudice del lavoro passata in giudicato, che i decreti ingiuntivi non potevano essere basati su un credito in realtà insussistente per la ragione sopra esposta, a nulla rilevando il fatto che il ricorrente fosse stato autorizzato a svolgere altro genere di lavoro esterno durante il periodo degli arresti domiciliari. In definitiva, è certo che il periodo di sofferenza dello stato di custodia cautelare per motivi di giustizia non rientra nelle ipotesi di sospensione legale della prestazione lavorativa con diritto del dipendente alla retribuzione, per cui la sentenza impugnata non merita le censure sollevate col presente ricorso. D'altra parte, questa Corte Cass. Sez. lav. n. 18528 del 9/9/2011 ha già avuto modo di precisare, in siffatta materia, che lo stato di carcerazione preventiva o di custodia cautelare del lavoratore subordinato - che, non rientrando tra le ipotesi, tutelate dalla legge, di impossibilità temporanea della prestazione, quale la malattia e le altre situazioni contemplate dall'art. 2110 cod. civ., comporta la perdita del diritto alla retribuzione per tutto il tempo in cui si protrae la carcerazione medesima - analogamente determina la cessazione del trattamento di integrazione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni cui sia stato ammesso il lavoratore medesimo, trattamento che, per il fatto di sostituirsi alla retribuzione altrimenti dovuta dal datore di lavoro, presuppone la spettanza di questa e l'obbligo di pronta disponibilità del lavoratore sia a riprendere servizio alla chiamata dell'azienda, sia a svolgere lavori socialmente utili o a partecipare a corsi di formazione, che resta inibita dallo stato di carcerazione. Né può essere invocato il principio della cosiddetta priorità della causa sospensiva della prestazione lavorativa, secondo il quale si considera prevalente ai fini del trattamento retributivo la causa verificatasi prima, atteso che esso si riferisce unicamente alle suddette cause legali di sospensione con diritto alla retribuzione . Pertanto, il ricorso va rigettato. Non va adottata alcuna statuizione sulle spese del presente giudizio dato che la Compagnia Portuale T. Gulli s.r.l. è rimasta solo intimata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.