Quando è responsabile l’ex amministratore di una società fallita?

Non si può dichiarare responsabile per il reato di omesso versamento dell’IVA il precedente amministratore di una società dichiarata fallita se non è chiarita la situazione patrimoniale dell’azienda nel momento in cui questi era in carica.

È quanto si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 39082, depositata il 23 settembre 2013. Il caso. Il Tribunale aveva confermato il sequestro preventivo di immobili nei confronti dell’amministratore di una società – poi dichiarata fallita – per aver omesso di versare entro il termine la somma dovuta a titolo d’imposta sul valore aggiunto in base alla dichiarazione dei redditi. Per il Tribunale, il termine per il pagamento dell’IVA era da individuarsi in una data in cui la società era già fallita. Pertanto, per l’organo giudicante il reato era stato determinato dalla pregressa condotta dell’amministratore che non aveva accantonato le somme per il pagamento del debito IVA e nessun rilievo poteva avere lo stato d’insolvenza sotto il profilo dell’elemento psicologico, in quanto provocata dal medesimo imputato. Questi ha proposto ricorso per cassazione, lamentando che il reato è stato integrato quando la società era stata già dichiarata fallita e, a suo dire, risulterebbe errato attribuirne la responsabilità all’amministratore. Per la Suprema Corte il ricorso è fondato, atteso che, allo stato delle indagini, difetta il fumus delicti . Gli Ermellini hanno chiarito che il reato di omesso versamento dell’IVA, ex art. 10– ter D.lgs. n. 74/2000, si consuma alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo. Fattispecie perfezionata quando il ricorrente era stato già dichiarato fallito e i poteri gestori dell’impresa erano transitati nelle mani del curatore fallimentare. Inoltre, i giudici di legittimità hanno evidenziato che si tratta di un reato riferibile al destinatario dell’obbligo, titolare della posizione di garanzia. Per Piazza Cavour, l’imputato, non essendo più amministratore della società, non avrebbe potuto adempiere più a tale obbligo. Inoltre, il S.C. ha rilevato che l’ordinanza impugnata non ha evidenziato altri specifici elementi probatori, raccolti durante le indagini fino a quel momento svolte, dai quali desumere che la pregressa gestione fosse stata volta all’evasione dell’IVA e a tale scopo fossero indirizzati i mancati accantonamenti ai quali l’ordinanza fa generico cenno, di talché l’omissione del versamento alla scadenza potesse essere ricondotta al ricorrente o al liquidatore, i quali, in tal modo, avrebbero determinato il curatore all’omissione del versamento. Siccome, nella specie, mancano gli elementi che chiariscano quale fosse lo stato della cassa nei tre passaggi successivi amministratore, liquidatore, curatore fallimentare , il Collegio ha considerato del tutto carente l’ordinanza impugnata e l’ha annullata senza rinvio, con conseguente annullamento del decreto di sequestro preventivo e restituzione dei beni all’avente diritto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 aprile - 23 settembre 2013, n. 39082 Presidente Teresi – Relatore Rosi Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Pesaro, in funzione di giudice del riesame, con ordinanza del 20 novembre 2012, ha confermato il sequestro preventivo di immobili e quote di immobili, oltre autoveicoli disposto dal G.I.P. presso il medesimo Tribunale con decreto in data 24 ottobre 2012, nei confronti di P.P., per il delitto di cui agli artt. 110 c.p. e 10 ter d.lgs n. 74 del 2000, perchè in qualità di amministratore della società Cantiere Navale di Pesaro spa società poi dichiarata fallita dal Tribunale di Pesaro in concorso con C.A., liquidatore di tale società , ometteva di versare entro il termine per il versamento dell'acconto per il periodo successivo la somma di euro 216.821 dovuto a titolo d'imposta sul valore aggiunto in base alla dichiarazione dei redditi relativa all'anno 2009. Il Tribunale evidenziava che il termine per il pagamento dell’IVA relativa al 2009 era da individuarsi al 27 dicembre dell'anno successivo, data nella quale la società era già fallita fallimento del 5 ottobre 2010 , che il P. era stato amministratore della società fino al 27 aprile 2010, e che pertanto il reato era stato determinato dalla pregressa condotta dell'amministratore che non aveva accantonato le somme per il pagamento del debito IVA e che nessun rilievo poteva avere lo stato di insolvenza sotto il profilo dell'elemento psicologico, in quanto provocata dal medesimo imputato. 2. Il difensore di fiducia di P.P. ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi 1 Violazione di legge in relazione all'art. 10 ter d.lgs n. 74 del 2000, in quanto il reato è stato integrato il 27 dicembre 2010, quando la società è stata già dichiarata fallita, e risulta errato attribuirne la responsabilità all'amministratore che ne avrebbe omesso il pagamento per l'anno d'imposta 2009 2 Manifesta illogicità della motivazione, laddove la sentenza sostiene che il fallimento non configura stato di necessità o forza maggiore, in quanto il P. non avrebbe potuto provvedere al pagamento, in vece del curatore 3 Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in quanto il Tribunale prendendo a base una decisione della Corte di Cassazione relativa al reato di mancato versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori, l'ha applicata al diverso caso dell'IVA 4 Mancata assunzione di una prova decisiva, non essendo stati ammessi documenti che avrebbero evidenziato che il Cantiere navale non era mai entrato nella disponibilità delle somme incassate a titolo IVA nel 2009, essendo già in sofferenza ed avendo avuto la revoca dei fidi, per cui era impossibile adempiere al versamento dell'imposta 5 Errata applicazione dell'art. 10 ter d.lgs citato, in riferimento all'affermata sussistenza dell'elemento psicologico, atteso che il reato ascritto richiede il dolo specifico, mentre nel caso di specie il P. aveva regolarmente redatto la dichiarazione IVA, ma era stato impossibilitato al versamento della stessa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, atteso che, allo stato delle indagini e letta l'imputazione provvisoria, difetta il fumus delicti. Infatti, l'art. 10 ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, introdotto con l'art. 35, comma 7, D.L. 4 luglio del 2006, n. 223, sanziona chi, essendovi tenuto, non versi l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo. La novella legislativa ha inteso quindi perseguire il comportamento del soggetto che non versa I'IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale ed il reato si consuma alla scadenza del termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, e secondo quanto previsto dall'art. 6, comma 2 della legge n. 405 del 1990, tale termine è fissato al 27 dicembre. 2. Si tratta di un reato proprio, riferibile al destinatario dell'obbligo, titolare della posizione di garanzia peraltro poiché è un reato omissivo istantaneo sottoposto all'adempimento di un obbligo entro un termine, è a tale momento che deve aversi riferimento per determinare il fatto consumativo. Il Tribunale del riesame sottolinea l'erronea determinazione del tempus commissi delicti, per individuare proprio al 27 dicembre 2010 il perfezionarsi della fattispecie, nonostante che il ricorrente, a quel tempo, fosse già stato dichiarato fallito e i poteri gestori dell'impresa fossero transitati nelle mani del curatore fallimentare. 3. Perciò non essendo a tale data il P. amministratore della società non avrebbe potuto adempiere più a tale obbligo, né l'ordinanza impugnata ha evidenziato altri specifici elementi probatori, raccolti durante le indagini fino a quel momento svolte, dai quali desumere che la pregressa gestione fosse stata volta all'evasione dell'IVA, ed a tale scopo fossero indirizzati i mancati accantonamenti ai quali l'ordinanza fa generico cenno nulla si dice, ad esempio, dell'eventuale residuo di cassa trovato dal curatore e se la somma fosse o meno sufficiente per l'esecuzione del pagamento o se vi fossero, nel passivo fallimentare, altri debiti aventi grado anteriore onde il pagamento si sarebbe palesato in violazione della par condicio , di talché l'omissione del versamento alla scadenza, potesse essere ricondotto al P. /o al liquidatore che peraltro risulta aver rivestito tale carica dal 26 aprile al 5 ottobre 2010 e non si sa se abbia trovato in cassa le somme destinate al versamento annuale dell'Iva , i quali, in tal modo, avrebbero determinato il curatore all'omissione del versamento ex art. 48 c.p 4. Infatti, seppure risulterebbe davvero paradossale che il fallimento del debitore d'imposta possa evitare la sanzione penale che potrebbe essere connessa all'omissione del versamento da parte di altro soggetto, attraverso l'imputazione ex art. 48 c.p. diversamente da quello che accade per il debitore in bonis che, ad esempio, abbia solo versato con ritardo danaro acquisito in conto dell'Erario / tuttavia, la mancanza nella specie di elementi che chiariscano quale fosse lo stato della cassa nei tre passaggi successivi amministratore, liquidatore, curatore fallimentare rende del tutto carente l'ordinanza impugnata e ne esige l'annullamento senza rinvio, con conseguente annullamento del decreto di sequestro preventivo e restituzione dei beni all'avente diritto, salve le future determinazioni dell'autorità giudiziaria. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Pesaro in data 23 ottobre 2012 nei confronti di P.P. e dispone la restituzione dei beni in favore dell'avente diritto.