Ribadita la responsabilità penale, a titolo di concorso, del soggetto abilitato che aiuti chi svolga abusivamente la professione

La Cassazione ritorna sull’esercizio abusivo delle professioni regolamentate, riaffermando un principio già consolidato, che estende la responsabilità penale al di là del singolo soggetto che svolga attività riservate in assenza di regolare abilitazione.

Lo fa, con la sentenza numero 23014/2016 depositata il 31 maggio, nel contesto di un’impugnazione ai limiti dell’inammissibilità – per la quale, in effetti, insiste anche il pubblico ministero – che obiettivamente risente di un’erronea lettura, da parte del deducente, dei referenti normativi. L’esito del grado è l’annullamento senza rinvio, potendo già gli stessi Giudici di ultima istanza giungere all’epilogo processuale, in assenza di profili da rivalutare nel merito. Il caso. Il giudizio a quo riguardava un procedimento pendente, nella Capitale, nei confronti di un odontotecnico e di un odontoiatra, indagati per esercizio abusivo della professione. I due erano stati individuati dai Carabinieri del N.A.S. che, monitorando gli ingressi nello studio del secondo, avevano raccolto le dichiarazioni di due pazienti, che riferivano d’esser stati già curati lì in passato, dal primo, per alcune carie. Il giudice della cautela aveva sottoposto a sequestro preventivo le due stanze in cui si esercitava l’attività, le apparecchiature, i farmaci, gli strumenti, le radiografie con i relativi supporti ottici, oltre alle agende degli appuntamenti e telefoniche dei prevenuti. Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, confermava il decreto ablativo, reputando che gli elementi raccolti nell’immediatezza dalla polizia giudiziaria sostenessero adeguatamente il quadro cautelare. Ricorre per cassazione il difensore di fiducia degli imputati denunciando, con due distinte doglianze motivazione meramente apparente ed erronea applicazione della legge processuale nel valutare la gravità degli indizi di colpevolezza, poiché i giudici di prime cure non avrebbero considerato come all’atto dell’irruzione gli assistiti non fossero intenti a medicare pazienti, sottraendo loro anche beni – agende e radiografie – non inclusi nella richiesta del Requirente vizio motivazionale e violazione di legge, per aver promosso le indagini in relazione al reato di cui all’articolo 348 c.p., già asseritamente depenalizzato dal d.lgs. numero 28/2015 e, dunque, penalmente irrilevante. La sentenza. La Corte – su parere difforme del Procuratore generale, che aveva concluso chiedendone l’inammissibilità – accoglie parzialmente il ricorso, annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata nella parte in cui confermava il sequestro delle agende e delle radiografie, da restituirsi agli aventi diritto. Il Collegio è, forse, sin troppo parco nel giudicare infondate – e non inammissibili – la gran parte delle censure, che risentono di evidenti errori di impostazione, prima di giungere a considerare quella concernente il vizio di ultra petitum che, al contrario, coglie nel segno. L’Estensore, in proposito, s’esprime in modo lineare e conciso. Gli errori sulla legge penale e processuale del ricorrente . Ed invero, entrambi i motivi risentono di una cattiva lettura delle disposizioni invocate nel primo, si sostituisce al rituale fumus commissi delicti il parametro, di superiore consistenza probatoria, dei gravi indizi di colpevolezza nel secondo, si intende come depenalizzazione la pretesa sussistenza dei requisiti per la non punibilità per particolare tenuità del fatto ex articolo 131- bis c.p. , istituto la cui applicazione, per l’indeterminatezza e la genericità delle argomentazioni difensive, non può neppure esser delibata dagli Ermellini. In parte motiva, peraltro, la Corte aggiunge che il protrarsi della disponibilità dei beni sequestrati avrebbe certamente aggravato il rischio di reiterazione di condotte analoghe, della cui precedente realizzazione sussistevano concrete indicazioni la predisposizione della struttura, nonché le sommarie informazioni rese dai clienti interpellati dagli operanti . Il ruolo del professionista abilitato. Quanto al ruolo dell’odontoiatra, costui non può in alcun modo restare immune da conseguenze, tanto meno per il fatto di essere regolarmente abilitato ed autorizzato all’esercizio della sua professione nei predetti locali. Il suo status formale abilitazione e materiale disponibilità della struttura e degli strumenti necessari anzi, costituisce il più lampante presupposto per il suo contributo concorsuale alla consumazione del delitto in questione da parte del soggetto non abilitato. Sul punto, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è ormai consolidato, e può essere efficacemente riassunto nel principio di diritto in forza del quale «risponde a titolo di concorso nel delitto di esercizio abusivo di una professione il professionista abilitato che consenta o agevoli lo svolgimento di attività professionale da parte di soggetto non autorizzato» l’ iter motivo cita, sul punto, l’ultimo precedente fornito da Cass., Sez. VI Penumero , 12.5.2015, numero 22534 . La soluzione esegetica risulta non solo obbligata, ma vieppiù coerente con la ratio delle norme va detto, infatti, che all’evidente apporto materiale fornito da chi garantisca al primo soggetto attivo i mezzi per perseguire il proprio intento criminale, in casi simili s’aggiunge il disvalore – da cui un concorso anche morale nel fatto tipico – delle azioni di chi, ben conscio della delicatezza delle operazioni da svolgere, se ne disinteressi per finalità di lucro o colpevole superficialità. Conclusioni. La decisione appena esaminata applica un principio consolidato in modo condivisibile, risolvendo rapidamente le questioni sottoposte al sindacato della Suprema Corte. Interviene correttamente nell’incidentale procedimento cautelare, restituendo ai prevenuti – nonostante le patenti carenze dell’atto introduttivo – una parte dei beni precedentemente vincolati. Sotto questo profilo, benché del tutto legittimamente il Collegio non approfondisca il tema, perlomeno le agende dei due avrebbero potuto essere destinatarie, a tempo debito, di un provvedimento di sequestro probatorio, contenendo, potenzialmente, circostanze significative per la prosecuzione delle indagini e la dimostrazione della contestazione nomi dei pazienti oggetto degli appuntamenti e, nell’ipotesi migliore, professionista responsabile per le terapie . Solo la prosecuzione dell’inchiesta, avviata nell’autunno scorso, potrà risolvere il dubbio, decidendo la sorte delle cose ora restituite.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 aprile – 31 maggio 2016, numero 23014 Presidente Conti – Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa il 23 novembre 2015, il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dei riesame avverso provvedimenti cautelari reali, ha confermato il decreto di sequestro preventivo di due stanze adibite a studio medico, con relative apparecchiature, nonché di farmaci, strumenti, agende relative agli appuntamenti, agende telefoniche, radiografie e cd, nei confronti di A.D.G. e S.M., in quanto indagati per il reato di esercizio abusivo della professione di odontoiatra da parte dei secondo, odontotecnico, nello studio nel quale opera primo, regolarmente autorizzato. A fondamento della decisione impugnata, il Tribunale dei riesame ha richiamato, in particolare, le dichiarazioni di due persone che, sopraggiunte presso lo studio all'atto dell'ispezione dei Carabinieri del N.A.S., avevano riferito di essere stati già curate in passato dal M. per alcune carie, e che tale attività è istituzionalmente riservata ad un medico odontoiatra. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la precisata ordinanza l'avvocato Edoardo Polacco, quale difensore di fiducia del D.G. e del M., sviluppando due motivi. Nel primo motivo, si lamenta vizio di motivazione perché meramente apparente ed inidonea, nonché violazione di legge per mancanza di gravi indizi di colpevolezza ed omessa valutazione degli stessi. Si deduce, in primo luogo, che l'ordinanza impugnata ha trascurato che il M., all'atto dell'intervento dei Carabinieri, non era intento a medicare pazienti, e che le sedie per le cure dentistiche ubicate nelle due stanze erano collegate alla rete elettrica, ma spente, e che, quindi, elemento sussiste a carico dei D.G Si osserva, poi, che meramente apparente è la motivazione quando afferma che «le prospettate esigenze di cura dei pazienti dei dr. D.G. potranno essere adeguatamente salvaguardate presso altre strutture e con altre modalità». Si rileva, inoltre, che il Giudice per le Indagini Preliminari ha esteso l'oggetto dei sequestro al di là della richiesta del Pubblico ministero, limitata alle sole stanze e non anche alle agende ed alle radiografie. Si rappresenta, infine, che il materiale radiografico sequestrato consiste non in lastre, ma in ortopanoramiche, mentre l'apparecchio in sequestro è idoneo a scattare lastre non ortopanoramiche. Nel secondo motivo, si lamenta vizio di motivazione violazione di legge, per essere il reato di cui all'articolo 348 cod. penumero ormai depenalizzato per effetto dei d.lgs. del 16 marzo 2015, numero 28. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato limitatamente alla parte in cui lamenta che l'oggetto dei sequestro è stato illegittimamente esteso anche alle agende ed alle radiografie. 2. Manifestamente infondato, innanzitutto, è il secondo motivo di ricorso, il quale deduce l'avvenuta depenalizzazione del reato di esercizio abusivo della professione per effetto dei d.lgs. 16 marzo 2015, numero 28. E' sufficiente osservare che il d.lgs. appena citato non ha previsto alcuna depenalizzazione, ma ha introdotto la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Rilevata la mancata depenalizzazione dei reato previsto dall'articolo 348 cod. penumero , la censura non può essere intesa nemmeno come richiesta di applicazione dell'istituto di cui all'articolo 131-bis cod. penumero , in quanto, sotto questo profilo, completamente sprovvista del requisito della specificità richiesto dall'articolo 581, comma 1, lett. c , cod. proc. penumero 3. Infondato, inoltre, e ai limiti dell'inammissibilità, è il primo motivo di ricorso nella parte in cui lamenta violazione di legge ed assoluta assenza di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei «gravi indizi di colpevolezza» e delle «esigenze cautelari». Quanto al primo profilo, invero, premesso che per l'adozione di una misura cautelare reale occorre la sussistenza non di «gravi indizi di colpevolezza», bensì, più limitatamente, del fumus commissi delicti, corretta, ai fini in esame, è la motivazione dell'ordinanza impugnata, la quale, dopo aver rilevato che due pazienti sopraggiunti all'accesso dei Carabinieri presso lo studio avevano riferito di essere stati curati dal M., ossia l'odontotecnico, per alcune carie, ha osservato «può ritenersi sussistente il fumus del reato di esercizio abusivo della professione odontoiatrica da parte del M., con l'evidente corresponsabilità dei D.G., il quale consentiva al predetto l'utilizzo delle proprie apparecchiature e delle stanze, nelle quali vi erano anche i propri timbri e i propri ricettari». Da un lato, infatti, è configurabile il reato di esercizio abusivo della professione nella condotta dell'odontotecnico che provvede alla cura delle carie, atteso quanto dispone il secondo periodo dell'articolo 11 del r.d. 31 maggio 1928, numero 1334, secondo cui E' in ogni caso vietato agli odontotecnici di esercitare, anche alla presenza ed in concorso dei medico o dell'abilitato all'odontoiatria, alcuna manovra, cruenta o incruenta, nella bocca dei paziente, sana o ammalata cfr. Sez. 1, numero 2390 del 11/02/1997, De Luca, Rv. 207145 . Dall'altro, poi, è principio consolidato, che questo Collegio condivide, quello secondo cui risponde a titolo di concorso nel delitto di esercizio abusivo di una professione il professionista abilitato che consenta o agevoli lo svolgimento di attività professionale da parte di soggetto non autorizzato così Sez. 6, numero 22534 del 12/05/2015, Curnis, Rv. 263628, nonché Sez. 6, numero 2268 dei 16/01/1973, Baglieri, Rv. 123606 . Quanto al secondo profilo, non può dirsi apodittica o inintelligibile o contra legem l'affermazione della sussistenza dei requisito dei periculum in mora, sul rilievo che la libera disponibilità di quanto sottoposto a sequestro potrebbe aggravare o protrarre le conseguenze dei reato mediante la reiterazione di analoghe condotte delittuose. 4. Fondato, invece, è il primo motivo di ricorso nella parte in cui lamenta il vizio di ultrapetizione della decisione del G.i.p., per avere lo stesso esteso la misura cautelare oltre la richiesta del Pubblico ministero. Il Pubblico ministero, infatti, non aveva chiesto l'adozione del decreto di sequestro per tutto quanto sottoposto a sequestro dalla polizia giudiziaria, ma aveva formulato la sua domanda con riferimento alle stanze , e non anche alle agende ed alle radiografie, che pure erano state distintamente elencate nel verbale redatto dai Carabinieri. Conseguentemente, e per quanto risulta allo stato, le agende e le radiografie debbono essere restituite all'avente diritto. 4. Conclusivamente, l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al sequestro delle agende e delle radiografie, con restituzione delle stesse all'avente diritto, mentre, nel resto, i ricorsi debbono essere rigettati. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata limitatamente al sequestro delle agende e delle radiografie, di cui dispone la restituzione all'avente diritto. Rigetta nel resto i ricorsi.