Sentenza di condanna non definitiva: la mancata disposizione della confisca non obbliga alla restituzione del bene sequestrato

Con sentenza di condanna non definitiva il bene sequestrato può essere restituito solo se alla data della pronuncia di merito siano venute meno le esigenze cautelari. In caso contrario, il vincolo deve essere mantenuto fino alla sentenza definitiva in quanto la cessazione della permanenza non fa venir meno di per sé il pericolo che possa essere reiterato l’abuso edilizio .

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6940/18, depositata il 13 febbraio. Il fatto. Il Tribunale del riesame di Napoli rigettava la richiesta di restituzione dei beni, nella specie dei locali adibiti abusivamente a ristorante e lavanderia di un albergo, oggetto di sequestro preventivo in seguito al provvedimento di condanna emesso in primo grado dal Tribunale di Napoli in relazione ai reati di abuso edilizio, nel quale si disponeva anche la demolizione delle opere abusive. Secondo i Giudici la sentenza non definitiva di condanna che non disponga la confisca dei beni sottoposti a sequestro preventivo non impone la restituzione di tali beni in quanto sussistevano le esigenza cautelari che, nella fattispecie, corrispondevano al fatto che l’eventuale restituzione avrebbe comportato un sicuro aggravio del carico urbanistico . Infatti il Tribunale osservava che la struttura ospitava numerosi turisti ed alcuni dei beni sequestrati si trovavano in zona paesaggisticamente vincolata con pericolo per l’ambiente. Avverso la decisione di merito ricorre per cassazione l’indagato deducendo violazione dell’art. 323, comma 3, c.p.p. sostenendo che, al contrario di quanto deciso dal Tribunale, in caso di condanna non definitiva senza la disposizione della confisca le cose sequestrate devono essere restituite all’avente diritto indipendentemente dall’ordine di demolizione delle opere abusive. La sentenza di condanna non definitiva che non dispone la confisca. La Cassazione ha evidenziato che la questione giuridica della fattispecie concerne l’interpretazione dell’art. 323, comma 3, c.p.p. il quale stabilisce che in caso di condanna il sequestro deve essere mantenuto quando è disposta la confisca, ma tale norma, non può essere interpretata nel senso contrario traendo la convinzione che quando non sia disposta la confisca il bene debba essere comunque restituito anche se la sentenza di condanna non è ancora definitiva. Ciò in applicazione dell’art. 321, comma 3, c.p.p. secondo cui le cose sequestrate per esigenze cautelari o per evitar l’aggravamento o la continuazione delle conseguenze del reato devono essere restituite solo se cessano le motivazioni che aveva giustificato l’imposizione del vincolo. Nessun obbligo di restituzione se persistono le esigenze cautelari. Ciò premesso la Suprema Corte ha ritenuto che tali considerazioni non cambiano in relazione alla questione della restituzione del bene oggettivo di sequestro preventivo nel caso di condanna non definitiva per il reato di abuso edilizio. Per questi motivi la Corte ha ritenuto che al caso di specie debba applicarsi il seguente principio di diritto con la sentenza di condanna non definitiva il bene sequestrato per esigenze cautelari può essere restituito solo se alla data della pronuncia della sentenza di condanna non definitiva siano venute meno le esigenze cautelari, altrimenti il vincolo deve essere mantenuto fino alla sentenza definitiva in quanto la cessazione della permanenza non fa venir meno di per sé il pericolo che possa essere reiterato l’abuso edilizio, giacché il sequestro cautelare può essere disposto non solo per evitare l’aggravamento del medesimo reato, ma anche l’agevolazione di altri reati anche se della stessa specie . Da ciò consegue che in tema di abuso edilizio la cessazione della permanenza con la sentenza di primo grado non costituisce elemento idoneo a far venir meno le esigenze cautelari, rispetto alle quali, in caso di richiesta di revoca, il giudice deve valutare se persiste il c.d. aggravio del carico urbanistico . In conclusione la Corte ha ritenuto che, nel decidere il caso di specie, il Tribunale si sia attenuto al principio esposto e per questo motivo il ricorso è rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 dicembre 2017 – 13 febbraio 2018, n. 6940 Presidente Savani – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 7 giugno 2017, il Tribunale del riesame di Napoli ha respinto il ricorso, ex articolo 322-bis cod.proc.pen., proposto da C.C. avverso al provvedimento del Tribunale di Napoli, sez. dist. di Ischia, di rigetto di restituzione di una struttura in alluminio di 145 mq. adibita a sala ristorante, di due locali in muratura per alloggiamento caldaie e locali destinati a lavanderia e deposito biancheria, opere sottoposte a sequestro preventivo in relazione ai reati di cui agli artt. 44 lett c d.P.R. n. 380 del 2001 e 181 comma 1-bis d.lvo n. 42 del 2004, reati per i quali, ad eccezione del capo A n. 1 opere relative al locale bar , è stata pronunciata condanna del Tribunale di Napoli, sez. dist. di Ischia, con sentenza resa in data 5 aprile 2017, non ancora definitiva, con la quale è stata disposta la demolizione delle opere abusive e la rimessione in pristino. A fondamento della decisione il Tribunale ha richiamato giurisprudenza di questa Suprema Corte da ultimo Sez. 3, n. 6887 del 24/11/2016, Calabrese, Rv. 269322 , secondo la quale deve escludersi che debba essere disposta, con la sentenza non irrevocabile di condanna che non disponga la confisca dei beni sottoposti a sequestro preventivo, la restituzione dei medesimi a meno che non siano cessate le esigenze cautelari, che, nel caso in esame, erano sussistenti le esigenze cautelari poiché l’eventuale restituzione dei beni avrebbe comportato un sicuro aggravio del carico urbanistico, trattandosi di struttura ricettiva Hotel omissis che ospita numerosi turisti ed essendo i beni in sequestro destinati a sala ristorante, per di più le opere abusive erano state effettuate in zona paesaggisticamente vincolata, da cui l’attualità del pericolo per l’ambiente, conclamato dal fatto che le strutture realizzate erano visibili nel contesto ambientale di riferimento infine sussisteva, altresì, il concreto pericolo di perpetrazione di ulteriori reati, deponendo in tal senso l’avvenuta violazione di sigilli, dimostrativa del suddetto pericolo di reiterazione di ulteriori reati che il vincolo cautelare intendeva scongiurare. 2. Propone ricorso per cassazione l’indagato, a mezzo del proprio difensore, deducendo con un unico motivo di ricorso la violazione dell’articolo 606 comma 1 lett. b cod.proc.pen. in relazione all’articolo 323 comma 3 cod.proc.pen Secondo il ricorrente l’interpretazione del disposto di cui al comma 3 dell’articolo 323 cod.proc.pen. non consentirebbe la conclusione a cui è giunto il Tribunale, poiché il precetto normativo è chiaro nel disporre che in caso di condanna, anche non definitiva, qualora non sia stata disposta la confisca, le cose sequestrate debbono essere restituite all’avente diritto, a nulla rilevando che sia stato disposto l’ordine di demolizione delle opere abusive che non giustifica il mantenimento del sequestro. A tal fine richiama, il ricorrente, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, espressa da Sez. 3 n. 32714 del 2015, che ha affermato il principio di diritto secondo cui in tema di sequestro preventivo, la misura perde efficacia qualora venga pronunciata una sentenza di condanna senza che sia disposta la confisca dei beni sequestrati, che devono essere restituiti all’avente diritto . 3. Il Procuratore generale ha chiesto, in udienza, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso non è fondato per le ragioni qui di seguito esposte. La questione giuridica, che viene in rilievo per la decisione del caso in esame, attiene all’interpretazione del disposto di cui all’articolo 323 comma 3 cod.proc.pen. in rapporto con le altre disposizioni del medesimo Titolo II, Capo II del codice di procedura penale. Per quanto qui di rilievo, va ricordato, che l’articolo 323 cod.proc.pen. dispone, al comma 1, che con la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, ancorché soggetta ad impugnazione, le cose sequestrate devono essere restituite a chi ne abbia diritto, quando non deve essere disposta la confisca a norma dell’articolo 240 cod.pen. Il provvedimento è immediatamente esecutivo. Se è pronunciata condanna, il terzo comma dell’articolo 323 cod.proc.pen., stabilisce che il sequestro deve essere mantenuto quando è disposta la confisca. Dunque, il legislatore ha fissato l’immediata esecutività della restituzione del bene sottoposto a sequestro preventivo per le sole sentenze di proscioglimento. Per quelle di condanna, ha stabilito che il sequestro deve essere mantenuto quando è disposta la confisca articolo 323, comma 3, cod.proc.pen. , ma da tale norma, argomentando a contrario, non si può però trarre la convinzione che, quando non sia disposta la confisca il bene debba essere comunque restituito anche se la sentenza di condanna non è ancora definitiva, giacché, nelle ipotesi di non definitività della pronuncia di condanna, subentra la regola generale di cui all’articolo 321, comma 3, cod.proc.pen. Questa norma dispone, infatti, che le cose sequestrate per finalità cautelari ovvero per evitare l’aggravamento o la protrazione della conseguenza del reato o agevolare la commissione di ulteriori reati, c.d. sequestro impeditivo articolo 321 comma 1 cod.proc.pen. , debbano essere restituite allorché siano venute meno le esigenze che hanno determinato l’imposizione del vincolo. Da tale quadro normativo si ricava, quindi, che nel caso di sentenza di condanna non definitiva il bene sequestrato per esigenze cautelari può essere restituito solo se, alla data della pronuncia della sentenza di condanna non definitiva, siano venute meno le esigenze cautelari, altrimenti il vincolo deve essere mantenuto fino alla sentenza definitiva. L’articolo 323 comma 3 cod.proc.pen., in altri termini, nel prevedere che, in caso di condanna, gli effetti del sequestro preventivo permangano soltanto se sia stata disposta la confisca dei beni sequestrati, intende riferirsi soltanto all’ipotesi che la pronuncia di condanna abbia assunto carattere di irrevocabilità da cui la conclusione che, in mancanza di irrevocabilità, non si fa luogo alla restituzione del bene in sequestro, dovendosi comunque verificare, da parte del giudice, la permanenza o meno delle esigenze cautelari ai fini della restituzione del bene sottoposto a sequestro Sez. 5, n. 26889 del 20/02/2017, P.G. in proc. Scuto, Rv. 270865 Sez. 1, n. 8533 del 09/01/2013, Rv. 254927 Sez. 4, n. 40388 del 26/05/2009, n. 40388, Rv. 245473 Sez. 3, n. 6462 del 14/12/2007, Rv. 239289 . 5. Tale conclusione non muta in relazione allo specifico tema della restituzione del bene oggetto di sequestro preventivo nel caso di condanna non definitiva per il reato di costruzione abusiva, rispetto al quale si registrano nella giurisprudenza due opposte conclusioni. Va ricordato, che, secondo l’indirizzo giurisprudenziale che può dirsi maggioritario di Questa sezione, la cessazione della permanenza del reato edilizio al pari del reato paesaggistico non fa venir meno di per sé il pericolo che possa essere reiterato l’abuso edilizio, giacché il sequestro cautelare può essere disposto non solo per evitare l’aggravamento del medesimo reato ma anche l’agevolazione di altri reati anche se della stessa specie. Pertanto la cessazione della permanenza con la sentenza di primo grado non costituisce elemento di per sé idoneo a fare ritenere cessate le esigenze cautelari in termini Sez. 3, n. 6887 del 24/11/2016, Calabrese, Rv. 269322 Sez.3, n. 6462 del 14/12/2007, Oriente, Rv.239289, Sez. 3, n. 45674 del 21/10/2003, Cotena, Rv. 226860 . Infatti, costituisce ius receptum di questa Corte il principio secondo il quale è ammissibile il sequestro preventivo di opere costruite abusivamente anche nell’ipotesi in cui l’edificazione sia ultimata, fermo restando l’obbligo di motivazione del giudice circa le conseguenze ulteriori sul regolare assetto del territorio rispetto alla consumazione del reato, ovvero sull’aumento del c.d. carico urbanistico da ultimo, Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016, Giudici, Rv. 268812 Sez. 3, n. 42717 del 10/09/2015, Buomo, Rv. 265195 Da cui la conclusione che anche nello specifico caso di sequestro preventivo di un bene disposto nell’ambito di un procedimento per costruzione abusiva o per reato paesaggistico , l’interpretazione dell’articolo 323 comma 3 cod.proc.pen., alla luce del disposto generale di cui all’articolo 321 comma 3 cod.proc.pen., impone al giudice che ha pronunciato condanna non definitiva di valutare la permanenza delle esigenze cautelari e, se richiesto della revoca, argomentare la permanenza delle ragioni giustificatrici del vincolo ovvero l’aggravio del carico urbanistico. 6. Il diverso orientamento espresso dalla pronuncia Sez. 3, n. 32714 del 16/04/2015, Alvino, Rv. 264472 menzionato dal ricorrente, non è condiviso dal Collegio in virtù delle ragioni sopra esposte. Se è condivisibile l’affermazione secondo cui il sequestro preventivo ha, per sua natura e finalità, carattere provvisorio e cautelare e non può quindi essere mantenuto dopo la sentenza di condanna, sia perché questa interrompe la permanenza, che caratterizza i suddetti illeciti, sia perché la eventuale reiterazione della condotta vietata dà luogo ad altra ipotesi di reato, Sez. 3, n. 8444 del 16/07/1993, D’Antuono, Rv. 194985 Sez. 3, n. 476, del 11/02/1997, Di Bari, Rv. 207341 Sez. 3, n. 38 del 14/11/2002, Ammaturo, Rv. 222876 Sez. 3, n. 3633 del 15/12/2010, Chiappetta, Rv. 249156 , ciò non di meno, il disposto dell’articolo 323 comma 3 cod.proc.pen. deve trovare una coerente chiave di lettura interpretativa nel contesto delle norme che disciplinano le vicende del sequestro preventivo con riferimento a tutti i reati non potendo fare eccezione il reato oggetto del processo avente natura di reato permanente. Se è corretta l’affermazione che la ripresa dei lavori, cessata la permanenza al più con la sentenza di condanna cui aveva fatto seguito la restituzione del bene, costituisce nuovo reato Sez. 3, n. 14501 del 07/12/2016,P.M. in proc. Rocchio, Rv. 269325 , ciò non vale ad escludere, non ponendosi in antinomia, l’applicazione del principio generale di cui all’articolo 321 comma 3 cod.proc.pen. secondo cui solo la cessazione delle esigenze cautelari comporta la cessazione del vincolo, ed appare altresì coerente con la riconosciuta possibilità di disporre il sequestro delle opere abusive comunque ultimate. 7. Quindi deve essere affermato il principio di diritto secondo cui con la sentenza di condanna non definitiva il bene sequestrato per esigenze cautelari può essere restituito solo se alla data della pronuncia della sentenza di condanna non definitiva siano venute meno le esigenze cautelari, altrimenti il vincolo deve essere mantenuto fino alla sentenza definitiva in quanto la cessazione della permanenza non fa venir meno di per sé il pericolo che possa essere reiterato l’abuso edilizio, giacché il sequestro cautelare può essere disposto non solo per evitare l’aggravamento del medesimo reato ma anche l’agevolazione di altri reati anche se della stessa specie. Pertanto, la cessazione della permanenza con la sentenza di primo grado non costituisce elemento di per sé idoneo a fare ritenere cessate le esigenze cautelari rispetto alla quali, se richiesta la revoca, il giudice deve valutare la persistenza del c.d. aggravio del carico urbanistico. 8. A tali principi si è attenuto il Tribunale di Napoli che, nel confermare il provvedimento di rigetto della richiesta di restituzione dei beni oggetto di sequestro preventivo, ha argomentato la sussistenza di un sicuro aggravio del carico urbanistico, trattandosi di opere realizzate all’interno di una struttura ricettiva Hotel OMISSIS che ospita numerosi turisti ed essendo i beni in sequestro destinati a sala ristorante, per di più le opere abusive erano state effettuate in zona paesaggisticamente vincolata, da cui l’attualità del pericolo per l’ambiente, conclamato dal fatto che le strutture realizzate erano visibili nel contesto ambientale di riferimento. 9. Il ricorso va, conseguentemente, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.