Competente all’emissione è il solo giudice procedente ...

E non il giudice che per primo ha emesso la misura cautelare. Le Sezioni Unite Penali della Cassazione pongono la pietra tombale sul dibattuto conflitto giurisprudenziale.

Le Sezioni Unite intervengono a dirimere uno scottante contrasto giurisprudenziale, maturato in seno ai procedimenti penali di carattere transnazionale – nella specie, un radicato traffico di stupefacenti -. Dibattuta era la determinazione della competenza giudiziale ad emettere presso le autorità estere il mandato di arresto europeo ex art. 28 della l. n. 69/2005, per imputati/indagati ubicati in territorio straniero. Si era incardinato un conflitto negativo fra giudici, il giudice emittente la misura cautelare si era dichiarato incompetente. Appurate le precarietà giurisprudenziali sul punto, occorreva una soluzione chiarificatrice. Le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 2850 depositata il 21 gennaio 2014 offrono il loro verdetto è competente ad emettere il mandato cit. il giudice che procede nel merito, in luogo di quello illo tempore emittente la misura cautelare di cui si chiede l’esecuzione mediante consegna dell’imputato dal luogo estero. L’emissione segue dunque il giudice attualmente investito della questione penale. La soluzione rigettata la competenza è del giudice emittente la misura cautelare. Solo formali gli argomenti a sostegno. A favore era l’elemento letterale, la lett. a dell’art. 28 della legge cit. appariva limpido, la competenza sarebbe stata del giudice originario che ha emesso la misura di cui si chiede l’esecuzione. Il potere non sarebbe stato di tipo cautelare, si tratterebbe di una incombenza amministrativa e strumentale dell’esecuzione di provvedimenti già emessi – dunque burocraticamente aliena alle successive maturazioni processuali per l’imputato e per il processo che lo riguarda -. La soluzione accolta competente è il giudice procedente. L’argomento sistematico. Soccorrono elementi di tipo logico/sistematico ed esigenze di carattere pratico. Le prime l’art. 39 della legge cit. fa salva la compatibilità con l’assetto processuale generale, il quale – ex art. 279 c.p.p. – identifica il giudice competente all’emissione della misura cautelare in quello competente per il merito, individuando – ad ogni fine, dunque anche per l’emissione del mandato cit. – una regola di trascinamento funzionale delle competenze giudiziali su quella del giudice attualmente procedente. La competenza del giudice per primo investito della questione cautelare perde dunque consistenza e decade nel prosieguo del processo, il quale si arricchisce di nuove notazioni processuali e sul fatto di reato di cui ha piena cognizione solo il giudice procedente, altro e successivo rispetto ai primi investiti dalla faccenda giudiziaria – di regola, il g.i.p. -. L’interpretazione rigettata, invece, avrebbe riesumato il giudice cautelare, nonostante il processo fosse maturato verso accertamenti processuali per fasi e gradi più evoluti. Le esigenze pratiche ed istruttorie. Non si tratta di burocrazia giudiziaria ma di vero e proprio accertamento processuale. Rilevano anche esigenze di carattere pratico , l’emissione e l’esecuzione del mandato cit. è procedura dialettica e partecipata fra autorità giudiziarie di paesi diversi, funzionale alla verifica della legittimità della misura e della permanenza delle esigenze cautelari – nel caso del mandato ex art. 28, lett. a, legge cit. -, di regola meglio acquisibili dal giudice procedente. Valga anche per altre informazioni – decisive per la perfetta esecuzione della misura -, ad esempio il luogo di domiciliazione dell’imputato – presso la cui autorità giudiziaria va rivolto il mandato cit. -, che ben può modificarsi nel tempo, e di cui il primo giudice può esserne ignaro, privo della cognizione degli ultimi sviluppi processuali. In conclusione, la bontà della misura è dedotta dal grado di approfondimento della questione processuale personale , ridotta nel caso di competenza del giudice emittente la prima misura cautelare e più ampia nel caso del giudice attualmente procedente - quando ormai il processo ha fatto il suo corso, ad esempio modificando le imputazioni, dunque integrandosi ed arricchendosi -.

Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 28 novembre 2013 - 21 gennaio 2014, n. 2850 Presidente Santacroce – Relatore Cortese Ritenuto in fatto 1. Nei confronti di P.B. , indagato sia dalla Procura della Repubblica di Milano sia da quella di Reggio Calabria per reati in materia di illecita detenzione e traffico internazionale di stupefacenti, nonché per ulteriori reati, sono state emesse due distinte ordinanze applicative della misura della custodia cautelare in carcere, rispettivamente, dal G.i.p. di Reggio Calabria il 4 ottobre 2012, e dal G.i.p. di Milano l'8 ottobre 2012. Con riferimento a tale secondo provvedimento cautelare, contestualmente alla sua esecuzione, avvenuta il 18 ottobre 2012, il Procuratore della Repubblica di Milano trasmise il procedimento, per competenza territoriale, alla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Il 31 gennaio 2013 la Procura della Repubblica di Reggio Calabria comunicava a quella di Milano che, alla data di esecuzione dell'ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, P.B. risultava detenuto in Italia, per essere stato arrestato in Germania il 4 febbraio 2011 e consegnato all'a.g. italiana in esecuzione di un mandato d'arresto Europeo emesso dal G.i.p. di Catanzaro nell'ambito del procedimento penale recante il n. 1/2007 R.G.N.R. D.D.A Sulla base di tale informazione, il 20 febbraio 2013 il P.m. di Milano richiedeva l'emissione, nei confronti del P. , del mandato d'arresto Europeo funzionale alla sua consegna suppletiva. Il 21 febbraio 2013 il G.i.p. di Milano dichiarava la propria incompetenza funzionale a provvedere, in quanto il procedimento non era più pendente davanti all'Autorità giudiziaria milanese. Il successivo 28 febbraio 2013, quindi, il P.m. di Reggio Calabria richiedeva l'emissione del m.a.e. in relazione all'ordinanza emessa in data 8 ottobre 2012 dal G.i.p. di Milano, ma il G.i.p. di Reggio Calabria, cui gli atti erano stati nel frattempo trasmessi, declinava a sua volta, in data 11 marzo 2013, la propria competenza ad emettere il richiesto m.a.e., sollevando conflitto negativo di competenza, sull'assunto che la competenza in questione spetta al Giudice che ha emesso il titolo cautelare in base al quale è richiesto il m.a.e., ossia, nel caso di specie, al G.i.p. di Milano. A conforto di tale assunto, il G.i.p. reggino, sulla scorta di quanto deciso nelle sentenze nn. 15200 e 18569 del 2009 della Corte di cassazione, richiamava il tenore letterale dell'art. 28 della legge 22 aprile 2005, n. 69, secondo il quale il m.a.e. processuale per la procedura attiva di consegna è emesso dal giudice che ha applicato la misura cautelare” custodiale. Aggiungeva altresì il detto G.i.p. che la trasmissione degli atti per ragioni di competenza da un ufficio all'altro del pubblico ministero non spiega alcuna incidenza sull'efficacia delle misure cautelari in corso di applicazione, e che egli non si trovava in possesso degli atti necessari a delibare la richiesta, non essendo stato investito di alcuna richiesta, fuorché l'emissione del m.a.e., da parte del P.m. reggino”. 2. In data 8 aprile 2013 il G.i.p. di Milano faceva pervenire note scritte in cui osservava che il dato letterale dell'art. 28 della legge n. 69 del 2005 non enuncia una competenza funzionale permanente del giudice che ha emesso l'originario titolo cautelare, ma deve essere interpretato, in ragione dell'accessorietà del m.a.e. alla tutela cautelare, alla luce della previsione di cui all'art. 279 cod. proc. pen., che attribuisce la competenza, in tema di applicazione, revoca e modifica delle misure cautelari, al giudice che procede” e, anteriormente all'esercizio dell'azione penale, al g.i.p. . Diversamente opinando, rilevava il G.i.p. milanese, il giudice chiamato ad emettere il mandato di arresto Europeo in forza del mero dato storico della paternità dell'originario titolo cautelare, si troverebbe - privo com'era egli stesso nella specie della disponibilità del completo incarto processuale - nella condizione di dover provvedere in maniera del tutto automatica, senza poter effettuare le verifiche imposte dalla legge in ordine alla permanente efficacia della misura coercitiva a suo tempo emessa e, in generale, alla sussistenza dei presupposti in atto per l'emissione del m.a.e. attivo. 3. La Prima Sezione di questa Corte, assegnatala del conflitto, con ordinanza n. 30761 del 2-17 luglio 2013, ha ravvisato un contrasto giurisprudenziale in ordine alla individuazione della competenza funzionale alla emissione del mandato di arresto Europeo nella procedura attiva di consegna, evidenziando come, secondo un iniziale orientamento, basato su di un'interpretazione logico-sistematica del quadro normativo di riferimento artt. 28, 30 e 39 della legge n. 69 del 2005 , la competenza de qua dovrebbe radicarsi in capo all'autorità giudiziaria che procede Sez. 1, n. 26635 del 29/04/2008, confl. comp. in proc. Trib. Ragusa, Rv. 240531 mentre, in un secondo momento, si è privilegiata un'interpretazione letterale dell'art. 28 della legge n. 69 del 2005, stabilendosi che la detta competenza spetta in ogni caso al giudice che ha emesso la misura cautelare, anche se non sia più il giudice che procede” Sez. 1, n. 15200 del 26/03/2009, confl. comp. in proc. Lauricella, Rv. 243321 . Richiamate le principali ragioni rispettivamente individuate a sostegno dei contrapposti indirizzi interpretativi, il Collegio rimettente ha osservato come la questione oggetto del presente conflitto sia già stata, di recente, sottoposta dalla Sesta Sezione penale ordinanza n. 12321 del 13/03/2012, dep. 2/04/2012, Caiazzo all'esame delle Sezioni Unite, che, tuttavia, per ragioni di preclusione processuale, non hanno avuto modo di affrontarla Sez. U, n. 30769 del 21/06/2012, Caiazzo, Rv. 252891, 252892 . Detta precedente ordinanza - si ricorda nell'attuale provvedimento di rimessione - ha sostenuto la maggiore fondatezza del primo quello sistematico dei su menzionati indirizzi esegetici, e ciò in base ai rilievi - della necessità di ricondurre l'applicazione della regola posta dall'art. 28, comma 1, lett. a , della legge 22 aprile 2005, n. 69, all'interno di un quadro normativo che alla stregua dell'art. 39, comma 1, della stessa legge presuppone il rispetto, in quanto compatibili , delle disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari, tra cui spicca, in particolare, quella di cui all'art. 279 cod. proc. pen. unitamente a quella, correlata, di cui all'art. 91 disp. att. cod. proc. pen. regola di sistema - con cui il cit. art. 28 non è stato formalmente coordinato solo per il particolare iter dei lavori parlamentari - che individua la figura del giudice de libertate parallelamente alla dinamica evoluzione del rapporto processuale ed alla sua progressiva articolazione nelle varie fasi e nei diversi gradi sulla base della disponibilità materiale e giuridica degli atti , e che può ritenersi implicitamente richiamata dalla disposizione di cui all'art. 31 della legge n. 69 del 2005, secondo la quale il mandato d'arresto Europeo perde efficacia quando il titolo cautelare interno su cui si basa venga revocato, annullato, o sia divenuto inefficace sulla base dei principi generali e delle ordinarie regole processuali fissate dagli artt. 272 ss. cod. proc. pen. - del carattere non meramente automatico e compilatorio della emissione del mandato d'arresto Europeo, richiedente, infatti, la valutazione della sussistenza dei relativi presupposti di legge, la delibazione sul se procedere o non all'attivazione della complessa procedura, il previo inoltro dell'eventuale richiesta di revoca del privilegio o di esclusione dell'immunità, di cui la persona ricercata benefici, l'individuazione di quale meccanismo seguire fra i due previsti dall'art. 29, commi 1 e 2, della legge n. 69 del 2005 con l'espletamento degli adempimenti conseguenti - della incompatibilità pratica e funzionale della interpretazione strettamente letterale dell'art. 28, con le esigenze di celerità proprie della procedura di consegna semplificata voluta dal legislatore Europeo, in tutte le ipotesi - che sono poi quelle che danno luogo alla problematica in discussione - in cui sia venuta meno la contestualità tra l'applicazione della misura cautelare e l'emissione del m.a.e. con la possibile pendenza del fascicolo presso un giudice territorialmente e/o funzionalmente diverso e lontano da quello che aveva emesso la originaria misura cautelare posta a base del m.a.e. . 4. Tanto ricordato, la Prima Sezione ha quindi rimesso il conflitto alle Sezioni Unite con ordinanza del 2 luglio 2013. Con decreto in data 18 luglio 2013, il Primo Presidente ha assegnato la causa alle Sezioni Unite penali, fissandone la trattazione per l'odierna udienza in camera di consiglio. Considerato in diritto 1. La questione rimessa alle Sezioni Unite è la seguente Se la competenza funzionale ad emettere il mandato di arresto Europeo spetti al giudice che ha applicato la misura cautelare, anche laddove il procedimento penda davanti ad un giudice diverso, oppure all'autorità giudiziaria che procede”. 1.1. La questione nasce dal modo in cui il legislatore interno ha regolato la detta competenza. L'art. 6 della decisione-quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto Europeo ed alle procedure di consegna tra gli Stati membri dell'U.E., si limita, invero, a stabilire nel comma 1 che per autorità giudiziaria emittente si intende l'autorità giudiziaria dello Stato membro emittente che, in base alla legge di detto Stato, è competente a emettere un mandato d'arresto Europeo”, mentre per autorità giudiziaria dell'esecuzione si intende l'autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione che, in base alla legge di detto Stato, è competente dell'esecuzione del mandato di arresto Europeo” comma 2 . Il nuovo modello di cooperazione giudiziaria introdotto dalla su citata decisione-quadro non impone, quindi, la predeterminazione di alcuna specifica regola di competenza in capo alle autorità giudiziarie di emissione, o di esecuzione, rinviando sul punto alle scelte discrezionali operate all'interno dei vari Stati membri. In ossequio al criterio direttivo enunciato nell'art. 6, p. 1, della suddetta decisione quadro, la disposizione di cui all'art. 28 della legge 22 aprile 2005, n. 69, introduce regole di attribuzione della competenza attiva” sulla base del provvedimento alla cui esecuzione è funzionale il mandato d'arresto Europeo, stabilendo che questo può essere emesso a dal giudice che ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere o degli arresti domiciliari si tratta, in questo caso, dell'ipotesi di mandato emesso per finalità processuali” b dal p.m. presso il giudice dell'esecuzione che ha emesso, ex artt. 656 ss. cod. proc. pen., l'ordine di esecuzione della pena detentiva o della misura di sicurezza a carattere detentivo ordinata con la sentenza in questo caso, invece, si tratta dell'ipotesi di mandato emesso per finalità esecutive” . L'emissione del mandato di arresto Europeo presenta, com'è noto, una connotazione di tipo esclusivamente giudiziario, non essendo la relativa valutazione sottoposta ad alcun giudizio di gradimento da parte dell'autorità politica la richiesta di consegna è rivolta dall'autorità giudiziaria italiana ad altra autorità giudiziaria che dovrà darvi esecuzione . Il mandato di arresto Europeo si pone in sostanza come decisione giudiziaria” ex art. 1, p. 1, della decisione-quadro 2002/584/GAI che attua in concreto il titolo custodiale ovvero il provvedimento irrevocabile adottato dall'autorità giudiziaria interna, consentendo al comando in esso contenuto di circolare liberamente nello spazio territoriale Europeo con la forza tipica dell'esecutività. Spetta inoltre all'organo giudiziario individuato secondo la regola posta dall'art. 28 della legge n. 69 del 2005, valutare sia la sussistenza dei presupposti di legge per l'emissione del m.a.e., sia l’an debeatur, vale a dire la concreta necessità di richiedere l'arresto e la consegna della persona ricercata ad un altro Stato membro dell'Unione Europea. 1.2. Mentre per la competenza all'emissione del m.a.e. esecutivo non si sono posti né si pongono particolari problemi interpretativi e applicativi, per la regola di competenza all'emissione del m.a.e. processuale stabilita nella formulazione letterale del testo normativo balza subito all'occhio un difetto di coordinamento con le regole generali che presiedono all'individuazione del giudice competente in ordine alle misure cautelari artt. 279 cod. proc. pen. e 91 disp. att. cod. proc. pen. difetto che sembra dar luogo a una sorta di sistematica competenza ultrattiva del giudice che ha adottato in origine la misura cautelare, indipendentemente dalla fase o grado, eventualmente lontani e successivi, in cui si manifestasse la necessità della emissione del mandato di arresto Europeo, e anche dalle vicende modificatrici affievolimento, aggravamento, revoca e successivo ripristino cui la misura stessa dovesse andare incontro nel corso del tempo. 2. Procediamo ora all'esame del contrasto che, sulla questione oggetto di rimessione, si è manifestato nella giurisprudenza di legittimità. 2.1. Dopo una prima decisione che, senza farsi espressamente carico degli illustrati nodi problematici posti dall'applicazione della disposizione di cui all'art. 28 della legge n. 69 del 2005, stabilì, in sede di definizione di un conflitto di competenza sollevato da un tribunale del riesame, che la competenza ad emettere il m.a.e., nel caso in cui il g.i.p. abbia rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare e la stessa sia stata disposta dal tribunale del riesame in seguito a gravame proposto dal p.m., spetta al tribunale del riesame a norma dell'art. 28, comma 1, lett. a , della legge n. 69 del 2005 Sez. 1, n. 16478 del 19/04/2006, confl. comp. in proc. Abdelwahab, Rv. 233578 , la Suprema Corte affrontò espressamente e approfonditamente i detti nodi, allorché, investita da un conflitto negativo di competenza insorto tra il g.i.p., che aveva emesso le ordinanze di custodia cautelare, e il tribunale, presso il quale il procedimento risultava successivamente pendente per il merito, ritenne di risolverli, optando per un'interpretazione logico-sistematica degli artt. 28, 30 e 39 della legge n. 69 del 2005, in base alla quale la competenza deve essere attribuita all'autorità giudiziaria che procede Sez. 1, n. 26635 del 29/04/2008, confl. comp. in proc. Trib. Ragusa, Rv. 240531, che ha indicato nel tribunale il giudice competente . La ragione giustificativa di tale orientamento è stata individuata non solo nel considerevole lasso di tempo che può intercorrere tra l'emissione della misura coercitiva e l'emissione del m.a.e., ma anche nell'esigenza che l'organo emittente sia pienamente a conoscenza dell'iter processuale compiuto, sì da assolvere ai numerosi incombenti che la legge pone al riguardo quali, ad es., le informazioni, la relazione di accompagnamento, la trasmissione di informazioni integrative, ecc . La prevalenza in tal modo attribuita all'interpretazione logico-sistematica, rispetto a quella strettamente letterale, della disposizione di cui all'art. 28, comma 1, lett. a , della legge n. 69 del 2005, si radica, pertanto, sulla natura delle informazioni che, a norma dell'art. 30, devono corredare il m.a.e., e che necessariamente postulano la disponibilità degli atti processuali lo Stato richiesto, infatti, ben potrebbe richiedere la trasmissione di ulteriori elementi di informazione, che solo il giudice che ha quella disponibilità e conosce l'evoluzione del procedimento sarebbe in grado di esaudire. Ponendosi entro tale prospettiva, inoltre, la S.C. ha rilevato che se, nel caso di un fisiologico iter processuale”, è corretto prevedere che chi emette la misura custodiale, avendo interesse a farla eseguire, disponga se del caso gli opportuni accertamenti sulla persona ricercata e in base ad essi emetta – entro termini ragionevolmente ristretti - anche il m.a.e. in linea con i dati acquisiti e dei quali ha piena cognizione , non sembra possibile accedere, di contro, alla medesima soluzione allorquando tra l'emissione della misura restrittiva e l'emissione del mandato d'arresto Europeo intercorra un considerevole lasso di tempo” in ragione della evoluzione dell’iter processuale, della fluidità che spesso caratterizza l'ipotesi accusatoria e delle non rare modifiche dell'impianto probatorio, il m.a.e. potrebbe, infatti, non coincidere in toto con la misura originariamente emessa, imponendo in tal modo la sua emissione da parte dell'autorità giudiziaria che risulti essere a piena conoscenza dell'evoluzione processuale nel frattempo intervenuta. Proseguendo su tale linea interpretativa, non avrebbe alcun senso, nell'ipotesi in cui il processo sia progredito sino alla fase del giudizio e l'impianto accusatorio si sia presumibilmente modificato o arricchito , attribuire al g.i.p. la competenza attiva esclusivamente sulla base di un suo ormai lontano e non più attuale provvedimento, così come apparirebbe del tutto incongrua siffatta attribuzione nella diversa ipotesi in cui, successivamente all'emissione della misura cautelare, fosse ravvisata la competenza territoriale di un altro giudice. 2.2. Tale orientamento logico-sistematico è stato però sconfessato da un successivo indirizzo interpretativo, che ancorandosi strettamente alla formulazione letterale del testo normativo, ha stabilito che la competenza ad emettere il m.a.e. spetta al giudice che ha emesso la misura cautelare, ancorché non sia più il giudice che procede Sez. 1, n. 15200 del 26/03/2009, confl. comp. in proc. Lauricella, Rv. 243321, che ha dichiarato la competenza del g.i.p. che aveva emesso la misura cautelare, in relazione ad un caso in cui quest'ultimo, pur avendo emesso la misura, aveva declinato la propria competenza in favore di quella del tribunale dinanzi al quale pendeva il procedimento di merito . La S.C. ha osservato, in particolare - che l'art. 29 della legge n. 69 del2005 non subordina l'emissione del m.a.e. ad una valutazione di merito, ma solo alla condizione che l'imputato o il condannato risultino nel territorio di uno Stato membro dell'U.E., con la conseguenza che la sua adozione non appare espressione dell'esercizio del potere cautelare, ma uno strumento per consentire l'esecuzione in campo Europeo dell'originario provvedimento” - che l'art. 30 della legge su menzionata prevede che il m.a.e. contenga un apparato informativo legato esclusivamente alla misura cautelare emessa, e dunque nulla che attenga all'iter processuale in corso”. A tale ultimo orientamento si è adeguata la successiva giurisprudenza di legittimità, stabilendo anche in un altro caso di conflitto la competenza del giudice che aveva emesso la misura cautelare Sez. 1, n. 18569 del 16/04/2009, confl. comp. in proc. Diana, Rv. 243652, relativa a una sequenza procedimentale in cui una corte di assise di appello aveva declinato, in favore della corte di assise, la competenza a provvedere in ordine alla richiesta del procuratore generale della Repubblica di emissione di un m.a.e. a carico dell'imputato, attinto da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dalla corte di primo grado . A conforto di tale soluzione si è in particolare rilevato che la compilazione e la spedizione del m.a.e. non costituiscono espressione della potestà coercitiva e, pertanto, non rientrano nelle generali attribuzioni del giudice procedente, ai sensi dell'art. 279 cod. proc. pen. si tratterebbe dunque, entro siffatta prospettiva ermeneutica, di un'attività di carattere meramente certificativo-amministrativo-strumentale, preordinata alla esecuzione della ordinanza cautelare fuori dei confini dello Stato, la quale non offre alcun margine di discrezionalità al compilatore e costituisce adempimento assolutamente dovuto e a contenuto vincolato”. Né, peraltro, gioverebbe, al riguardo, la considerazione di supposte esigenze di carattere pratico, in relazione alla immediata disponibilità degli atti occorrenti per attingere i dati necessari per la compilazione del provvedimento e al correlato aspetto della economia processuale, sotto il profilo che, specie ove sia decorso un notevole lasso di tempo dall'emissione dell'ordinanza coercitiva, il giudice che l'ha deliberata non è più in possesso del fascicolo, in dipendenza della evoluzione di fase o di grado del processo. Siffatta obiezione non è ritenuta fondata, essenzialmente sulla base di due argomenti - in primo luogo, perché la stessa ordinanza che ha disposto la misura coercitiva necessariamente non ancora in corso di esecuzione, se è richiesto il m.a.e. non deve essere allegata al fascicolo formato per il dibattimento, sicché il giudice procedente non ha la disponibilità del provvedimento - inoltre, secundum id quod plerumque accidit, gli atti sulla base dei quali è fondata la coercizione sono custoditi nel fascicolo del p.m., e neppure di essi il giudice dibattimentale procedente ha la disponibilità. Non vi sarebbe ragione, conclusivamente, per avallare quell'orientamento interpretativo che assegna al giudice che procede il compito che la legge assegna, invece, al giudice che ha emesso il provvedimento coercitivo. Sulla scia di tale indirizzo si è collocata anche Sez. 1, n. 29207 del 17/06/2011, in proc. Draguntinovic, che ha risolto un confitto di competenza insorto fra il Tribunale monocratico di Torino - che riteneva competente all'emissione del m.a.e. il G.i.p. presso il medesimo Tribunale, in quanto giudice che aveva applicato la misura coercitiva - e quest'ultima autorità giudiziaria, che a sua volta sollevava conflitto negativo di competenza ritenendo, alla luce di una interpretazione della Corte di legittimità, che, se, nel caso di un fisiologico iter processuale, è corretto prevedere che chi emette la misura custodiale, avendo interesse a farla eseguire, disponga di opportuni accertamenti ed in base ad essi emetta, più o meno contestualmente, e comunque entro termini ragionevolmente ristretti, anche il m.a.e., non è lecito, di contro, accedere alla medesima previsione allorquando - come nel caso di specie - tra l'emissione della misura restrittiva e l'emissione del mandato di arresto intercorra un considerevole lasso di tempo nella specie, infatti, oltre al tempo trascorso dall'emissione della misura custodiale, la stessa non era più in esecuzione ed era intervenuta una sentenza definitiva di condanna a seguito della quale il Tribunale aveva acquisito, sull'accordo delle parti, l'intero fascicolo del Pubblico ministero. Nel caso in esame, la S.C. ha ritenuto di condividere l'orientamento espresso da Sez. 1, n. 15200 del 26/03/2009, Lauricella, Rv. 243321, nonché da Sez. 1, n. 18569 del 16/04/2009, Diana, Rv. 243652, dichiarando la competenza del G.i.p. presso il Tribunale di Torino. Ancora sulla stessa linea si è espressa da ultimo Sez. 1, n. 32891 del 24/06/2013, confl. comp. in proc. Iures, che, nel risolvere il conflitto insorto fra il G.i.p. del Tribunale di Enna e il Tribunale di Caltanissetta, ha dichiarato la competenza di quest'ultimo quale tribunale che, in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen. proposto dal P.m., aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere. 3. In dottrina si è sottolineato anzitutto l'indiscusso merito della riforma introdotta dalla decisione-quadro sul mandato d'arresto Europeo, consistente nell'aver concesso all'autorità giudiziaria di riappropriarsi dei suoi tipici poteri di cognizione, laddove il procedimento, come in questo caso, esibisca i caratteri della iurisdictio, poteri che altrove estradizione da e per Paesi terzi le rimangono invece preclusi. Nel nuovo sistema introdotto dal mandato d'arresto Europeo, infatti, la competenza funzionale del giudice de libertate e la legittimazione del magistrato del p.m. sono individuate secondo un criterio di derivazione, in virtù del quale il mandato di arresto è da considerare un provvedimento che attua in concreto il titolo custodiale adottato dall'autorità giudiziaria italiana, consentendo al comando in esso contenuto di esplicare la forza tipica dell'esecutività. Entro tale prospettiva, si è osservato che la previsione dell'art. 28 determina una evidente asimmetria nell'articolazione della competenza giurisdizionale tra la fase attiva e quella passiva della procedura di consegna, introducendo un significativo elemento di novità nel quadro dei rapporti giurisdizionali con le autorità straniere per la prima volta, infatti, la competenza in fase attiva non viene radicata a livello distrettuale presso le procure generali delle corti d'appello, ma viene stabilita in modo diverso e attribuita, in particolare, quanto alla richiesta di consegna per fini processuali, al giudice della cautela. Sotto quest'ultimo profilo, non si è mancato di segnalare come l'espressione usata nel testo normativo giudice che ha applicato la misura cautelare” può creare complicazioni sul piano applicativo, ove intesa in senso restrittivamente letterale il g.i.p. che ha emesso la misura, infatti, sarebbe competente anche nel caso in cui il mandato d'arresto Europeo venisse emesso in fasi o gradi successivi , laddove l'identità soggettiva tra autorità giudiziaria procedente” ed autorità giudiziaria emittente” sembra inerire alla specifica e dinamica interdipendenza tra il m.a.e. e il provvedimento restrittivo della libertà personale su cui esso si fonda, fatta palese dalla previsione dell'art. 31 della legge n. 69 del 2005, secondo cui la revoca, l'annullamento o la perdita di efficacia del provvedimento da cui origina l'euro-mandato d'arresto comporta l'istantanea caducazione del titolo esecutivo Europeo, senza che debba esservi un provvedimento ad hoc l'autorità giudiziaria, nella persona del procuratore generale presso la corte d'appello, deve, infatti, solo comunicare immediatamente al Ministro della giustizia le eventuali vicende estintive del provvedimento originario, affinché questi ne dia poi notizia allo Stato membro di esecuzione. Le complicazioni sul piano organizzativo cui può dar luogo l'interpretazione letterale dell'art. 28 vengono evidenziate anche in riferimento alla previsione dell'art. 29 della legge n. 69 del 2005, che subordina l'emissione della richiesta di consegna, nella duplice forma del mandato d'arresto o dell'inserimento della specifica segnalazione nel S.I.S. Sistema Informativo Schengen , alla ricorrenza di precise situazioni giuridiche ovvero fattuali. Siffatta disposizione prevede, infatti, che l'autorità giudiziaria competente si attivi quando risulta che l'imputato o il condannato è residente, domiciliato o dimorante nel territorio di uno Stato membro dell'Unione Europea”, oppure, se tali luoghi restino ignoti, quando risulta la possibile presenza” del ricercato nel territorio di uno di questi Stati. L'eventualità che tali situazioni si perfezionino o addirittura vengano ad esistenza in fasi più avanzate del procedimento o, più genericamente, in un momento successivo rispetto a quello in cui viene emessa la misura cautelare appare poco compatibile con la tesi di un imprescindibile legame fra la competenza ad emettere il mandato d'arresto e il giudice che ha emesso la originaria misura, che si troverebbe, nelle situazioni in discorso, a doversi occupare nuovamente di un procedimento del quale si è già definitivamente spogliato. Particolarmente netta a favore dell'interpretazione sistematica è la posizione di chi osserva che il mancato coordinamento dell'art. 28 della legge n. 69 del 2005 con la regola di sistema dettata dall'art. 279 cod. proc. pen. non toglie che - essendo per legge stabilita la stretta dipendenza del m.a.e. dal titolo cautelare da cui trae legittimazione art. 31 legge n. 69 - un'eventuale competenza ultrattiva del giudice che ha disposto la misura finirebbe per obliterare il principio del controllo continuo sulla necessità od opportunità della sua permanenza, secondo il modulo che attribuisce al giudice che procede e che quindi ha la disponibilità degli atti la persistente verifica dell'adeguatezza della misura in corso di esecuzione. Ancor più che nella verifica della sussistenza dei presupposti di legge, è nella verifica dell'an debeatur che si manifesterebbe in misura pregnante, secondo l'opinione in esame, la discrezionalità dell'apprezzamento giudiziale, il quale deve fare i conti con i numerosi istituti del codice di rito che consentono o impongono, secondo i casi, modificazioni o revoche della misura. L'ordinanza di rimessione ne enumera vari, ma certamente se ne possono immaginare molti altri ad esempio, una sentenza della Corte costituzionale nel frattempo sopravvenuta a dichiarare l'illegittimità di automatismi nell'applicazione della custodia in carcere non potrebbe essere ignorata in una delibazione del genere di cui si discute . Non mancano, infine, posizioni dottrinarie che ritengono che il legislatore del 2005 fosse necessariamente consapevole del diverso significato delle espressioni utilizzate nell'art. 28 della legge n. 69 del 2005 e nell'art. 279 cod. proc. pen., ed abbia, pertanto, deliberatamente inteso distaccarsi da quest'ultima previsione a fronte di un dato testuale inequivocabile, per valorizzare una presunta diversa intenzione del legislatore ex art. 12, comma primo, ultima parte, delle disposizioni preliminari del codice civile sarebbe necessario individuare perentorie ragioni di ordine sistematico, di cui si nega, nel caso in esame, la sussistenza. 4. Nel contrasto giurisprudenziale fra l'interpretazione logico-sistematica e quella letterale della regola posta dall'art. 28, comma 1, lett. a , legge 22 aprile 2005, n. 69, il Collegio, in sostanziale accordo anche con le prevalenti riflessioni dottrinarie, ritiene senz'altro di optare per la prima di esse. 4.1. Militano anzitutto in tal senso pregnanti ragioni di ordine sistematico già ampiamente evidenziate - per relationem alla precedente ordinanza n. 12321 del 13/03/2012, Caiazzo - nell'ordinanza di rimessione . Per la necessaria identità soggettiva tra l'autorità giudiziaria che emette il m.a.e. e l'autorità giudiziaria procedente fa propendere, in primo luogo, la stretta interdipendenza tra il m.a.e. ed il provvedimento restrittivo della libertà, sulla cui adozione esso si fonda. Emblematica al riguardo appare la disposizione di cui all'art. 31 della legge n. 69 del 2005, che stabilisce il principio della non autonomia del m.a.e. rispetto al provvedimento interno, prevedendo che il mandato d'arresto perda efficacia quando il provvedimento restrittivo della libertà personale, sulla base del quale è stato emesso”, venga revocato, annullato, o sia divenuto inefficace sulla base dei principi generali e delle ordinarie regole processuali fissate dagli artt. 272 ss. cod. proc. pen., in tal modo implicitamente richiamate nella legge di attuazione . L'intima connessione tra il m.a.e. e le sorti del titolo di riferimento, che si evince dal citato art. 31 come già puntualmente osservato in giurisprudenza Sez. 6, n. 20823 del 19/01/2010, Bosti, Rv. 247360 , rivela il ruolo determinante che sul destino del m.a.e. assume il giudice che decide le dette sorti, che è appunto il giudice competente a sensi dell'art. 279 cod. proc. pen., vale a dire il giudice che procede ovvero, nella fase delle indagini, il g.i.p In favore del necessario intervento del giudice procedente in sede di emissione del m.a.e. milita poi il rilievo che tale emissione, lungi dall'esaurirsi come ritenuto nell'ambito dell'orientamento ermeneutico letterale in un'attività di mero riscontro certificativo e compilativo, costituisce il risultato dell'esercizio di una prerogativa rimessa al giudice e, nella fase esecutiva, al pubblico ministero , cui spetta valutare essenzialmente i seguenti profili, di ordine sostanziale e processuale a la sussistenza dei presupposti di legge per l'emissione del m.a.e. artt. 28 e 29, comma 1, legge n. 69 del 2005 b l’an debeatur in merito alla richiesta da rivolgere agli altri Stati membri dell'Unione Europea. I presupposti di legge, in particolare, sono tre 1 che nel procedimento penale sia stato emesso il provvedimento di custodia cautelare o un ordine di esecuzione della pena detentiva , non eseguito per irreperibilità dell'imputato o del condannato 2 che sia certa, probabile o possibile la presenza dell'imputato o del condannato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque sia la sua cittadinanza 3 che ricorrano determinati limiti di pena. Quanto alla verifica della sussistenza dei profili dell'an debeatur, la stessa poggia su un apprezzamento largamente discrezionale, oggettivamente ricollegabile ad un'attenta ponderazione del complesso degli elementi storico-fattuali e probatori a disposizione dell'autorità giudiziaria che procede nella fattispecie concreta. A tale riguardo, utili criteri direttivi di ordine generale si rinvengono nel Vademecum per l'emissione del mandato d'arresto Europeo”, elaborato dal Ministero della giustizia - Direzione Generale della giustizia penale, e nel Manuale Europeo sull'emissione del mandato di arresto Europeo”, adottato dal Consiglio dell'Unione Europea il 18 giugno 2008 8216/2/08 . In proposito, ci si può limitare a segnalare che - la stretta correlazione tra lo status detentionis e il m.a.e. ne rende problematica l'emissione sulla base della misura coercitiva degli arresti domiciliari art. 28, comma 1, lett. a , della legge sopra citata, in relazione all'art. 284 cod. proc. pen. , sconosciuta o comunque non equiparata alla custodia carceraria in altri ordinamenti, inducendo il giudice ad adottare, in questo caso, particolari cautele nella decisione - l'emissione del m.a.e. è comunque soggetta ai limiti generali di ragionevolezza e proporzionalità, sui quali si fonda l'azione comune dell'Unione Europea, nel settore della cooperazione giudiziaria art. 5 T.U.E. . Ne consegue che il giudice e il pubblico ministero , quando agisce come autorità di emissione del m.a.e., è chiamato sempre ad operare una duplice valutazione. Sul piano interno, dovrà tener conto di una serie di elementi indicativi, quali quelli rappresentati, a titolo esemplificativo, dalla gravità del reato, dalla personalità dell'autore, dall'entità della pena e dalla durata della misura cautelare, anche in considerazione della scadenza dei termini di fase tali verifiche spettano naturalmente al giudice che procede ed esulano, da un punto di vista logico e sistematico, dall'ambito cognitivo del giudice, non più procedente, che ha semplicemente emesso l'originaria ordinanza impositiva. Sul piano internazionale, dovrà considerare che dall'emissione del m.a.e. scaturisce una complessa attività di cooperazione internazionale tra organi di polizia e autorità giudiziarie, e che l'esecuzione del mandato comporta l'arresto e la detenzione del ricercato, nel territorio di un altro Stato membro, per un lungo periodo di tempo, sollecitando l'instaurazione di un continuo interscambio informativo tra le autorità giudiziarie interessate e, talora, tra queste ultime ed Eurojust ex artt. 16 e 17 della decisione-quadro del 13 giugno 2002 . Non c'è dubbio che le valutazioni predette - contrariamente a quanto assunto da Sez. 1, n. 15200 del 26/03/2009, confl. comp. in proc. Lauricella, Rv. 243321 - implicano uno specifico esercizio di fatto del potere cautelare. All'autorità giudiziaria competente ad emettere il m.a.e. spetta poi il compito di provvedere ad inoltrare la richiesta di revoca del privilegio o di esclusione dell'immunità, nel caso in cui la persona ricercata benefici di un'immunità o di un privilegio riconosciuti da uno Stato diverso da quello di esecuzione, ovvero da un organismo internazionale art. 29, comma 3, legge n. 69 del 2005 . E sempre alla stessa autorità giudiziaria spetta la valutazione in merito alla scelta fra i due meccanismi attraverso i quali è possibile avviare la procedura attiva di consegna, ex art. 29, commi 1 e 2, legge n. 69 del 2005 si tratta di due percorsi procedurali distinti, e dipendenti direttamente dalla circostanza che sia noto o meno il luogo di residenza, domicilio o dimora del soggetto di cui si pretende la consegna. Nella seconda delle evenienze or ora considerate, quando risulta possibile” che la persona si trovi nel territorio di uno Stato membro dell'U.E., l'art. 29, comma 2, prevede che l'autorità competente all'emissione del m.a.e. disponga l'inserimento di una specifica segnalazione nel S.I.S. Sistema Informativo Schengen , conformemente alle disposizioni dell'art. 95 della Convenzione del 19 giugno 1990, di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985, resa esecutiva nel nostro ordinamento con la legge 30 settembre 1993, n. 388. L'inserimento di siffatta segnalazione costituisce un atto equipollente allo stesso mandato di arresto Europeo, a condizione, però, che la stessa venga corredata dell'apparato informativo richiesto per il contenuto del m.a.e. dall'art. 30 della legge n. 69 del 2005, sì come già specificato nella disposizione di cui all'art. 8, p. 1, della decisione-quadro del 13 giugno 2002. È evidente che il corretto espletamento degli adempimenti descritti dall'art. 29, commi 2 e 3, e 30 della legge sopra citata, presuppone una serie di valutazioni, talora particolarmente urgenti e delicate, che possono essere affidate solo ad un giudice in grado di governare effettivamente la fase processuale in corso e di calibrarne la dinamica, ed i relativi esiti, tenuto anche conto della consistenza e qualità delle eventuali integrazioni richieste dall'autorità di esecuzione. Ai predetti rilievi può ancora aggiungersi seguendo la corretta traccia dell'ordinanza di rimessione che la necessità di emettere il m.a.e. ben può manifestarsi a distanza di tempo dall'applicazione della misura cautelare come nel caso in cui sopravvengano elementi che dimostrano la presenza del latitante in un altro Stato membro e che la localizzazione e l'arresto del ricercato ben possono verificarsi a distanza di tempo dalla diffusione delle ricerche avviata tramite la segnalazione nel S.I.S. In entrambe le situazioni ora indicate è altamente probabile che il procedimento penale, con il relativo fascicolo, risulti pendente dinanzi ad un giudice diverso da quello che aveva emesso la misura cautelare su cui deve basarsi il m.a.e Quanto alle obiezioni sollevate in particolare da Sez. 1, n. 18569 del 16/04/2009, confl. comp. in proc. Diana, Rv. 243652 che la stessa ordinanza che ha disposto la misura coercitiva necessariamente non ancora in corso di esecuzione, se è richiesto il m.a.e. non deve essere allegata al fascicolo formato per il dibattimento, sicché il giudice procedente non ha la disponibilità del provvedimento, e che gli atti sulla base dei quali è fondata la coercizione sono normalmente custoditi nel fascicolo del p.m., e neppure di essi il giudice dibattimentale procedente ha la disponibilità, si osserva che le stesse sono facilmente superabili in base alla regola stabilita nell'art. 279 cod. proc. pen., che, riconoscendo al giudice che procede la competenza a intervenire con modifiche, revoche, ecc. sulle misure cautelari in atto, presuppone ovviamente che lo stesso giudice, chiamato a confrontare la situazione cautelare originaria con gli elementi sopravvenuti cosa che, come si è visto, si trova sovente a dover fare anche il giudice competente ad emettere il m.a.e. , sia posto in grado di conoscere la prima in ogni profilo utile. E si può aggiungere - rovesciando in qualche modo l'argomento in discorso - che, se è abbastanza agevole acquisire la conoscenza di una situazione pregressa e in sé definita, ben più difficile risulterebbe l'operazione inversa, di fornire a un giudice ormai lontano dal procedimento, tutto il materiale successivamente acquisito e ancora in fieri. 4.2. Sullo specifico punto relativo all'espressione letterale adoperata nella lettera a del comma 1 dell'art. 28 della legge n. 69 del 2005, la prima osservazione da fare è che tale disposizione, facendo riferimento non al giudice che ha emesso l'ordinanza cautelare, bensì al giudice che ha applicato la misura cautelare”, richiama il fenomeno della applicazione della misura, preso espressamente in considerazione, unitamente a quelli della revoca e delle modifiche , dall'art. 279 cod. proc. pen., per disciplinare la gestione delle misure cautelari, affidata unitariamente al giudice che procede” ovvero, in fase di indagini, al g.i.p. . Se, da un lato, è indubbiamente vero che la norma in esame non si esprime in termini di competenza funzionale o gestionale ma usa il verbo applicare al passato, si può, dall'altro, ragionevolmente ritenere che l'uso del tempo passato era nella specie imposto dal fatto che l'emissione del m.a.e. segue necessariamente, sul piano causale e temporale, alla formazione di un titolo custodiale. La mancanza della contestualità fra i due provvedimenti impediva l'uso del presente, e la necessità di far riferimento a un'applicazione in concreto disposta impediva di adottare formule indicative di una mera astratta competenza. Ne è seguita, per esigenze di semplicità sintattica - oltre che, probabilmente, per una preferenziale attenzione rivolta alla ipotesi ritenuta normale di emissione del m.a.e. a ridosso dell'adozione della misura custodiale - una locuzione che ha impropriamente isolato e valorizzato un occasionale fatto storico, di contro alle immanenti istanze di coordinamento sistematico che la nuova norma imponeva. Per soddisfare compiutamente queste ultime, il legislatore avrebbe dovuto in sostanza adottare una formula alquanto complessa, del tipo giudice investito della competenza sulla gestione applicazione, revoca o modifica della misura cautelare nel procedimento in cui la stessa è stata disposta . Ed è in effetti in tal senso che il Collegio ritiene - secondo il brocardo minus dixit quam voluit - che la norma de qua vada letta, in necessario ossequio alle ragioni di coerenza sistematica sopra ampiamente esposte. Per sottolineare quanto sarebbe avulsa dal sistema - e inconciliabile con la fondamentale ratio di garanzia che individua la figura del giudice de libertate parallelamente alla dinamica evoluzione del rapporto processuale ed alla sua progressiva articolazione nelle varie fasi e nei diversi gradi, sulla base della disponibilità materiale e giuridica degli atti - l'interpretazione strettamente letterale della lettera a del comma 1 dell'art. 28, si consideri, in aggiunta ai rilievi già svolti, che essa condurrebbe ad attribuire la competenza ad emettere il m.a.e., con tutti gli apprezzamenti e adempimenti connessi, anche al giudice che abbia applicato la misura in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen. e a tale conclusione sono in effetti a giunti la cit. Sez. 1, n. 16478 del 19/04/2006, confl. comp. in proc. Abdelwahab, Rv. 233578, e la cit. Sez. 1, n. 32891 del 24/06/2013, confl. comp. in proc. Iures , che è per definizione chiamato a intervenire in materia solo ed esclusivamente in funzione della deliberazione sulla proposta impugnazione. Problemi analoghi sorgerebbero anche nel caso in cui la misura custodiale seguisse a un aggravamento, disposto in appello, di una originaria misura non custodiale. In tale ipotesi, come anche nel caso che il suddetto aggravamento della misura avvenisse su autonoma istanza del p.m., non ci sarebbe neppure un giudice che ha applicato originariamente la misura cautelare custodiale, bensì, da un lato, un giudice che ha applicato in origine una misura cautelare non custodiale e, dall'altro, un giudice che, intervenendo sulla misura originariamente applicata, l'ha sostituita con misura custodiale. Ancora più complicata sarebbe poi la situazione di misura custodiale originariamente applicata da un giudice, poi affievolita in misura non custodiale, e successivamente ripristinata nella forma custodiale. Se l'ordinanza che da luogo al m.a.e. è quest'ultima, l'interpretazione letterale dell'art. 28 non sembra offrire soluzioni sicure e univoche per l'individuazione del giudice competente. 4.3. Ai precedenti rilievi si può aggiungere un'altra importante considerazione. Tutto il discorso sopra svolto si riferisce, come è evidente, alla ipotesi base in cui il m.a.e. attivo sia emesso in via principale e originaria per l'arresto e la consegna del ricercato da parte dell'Autorità del Paese estero in cui si suppone che esso si trovi. In modo un pò diverso si presenta però il caso - che, per vero, ricorre specificamente nel procedimento in esame - della richiesta necessaria per superare i vincoli derivanti dal principio di specialità di assenso alla estensione della consegna per la sottoposizione di un soggetto, già in custodia presso il Paese richiedente in forza di consegna avvenuta in esecuzione di un m.a.e. precedente, a un provvedimento restrittivo relativo a un fatto anteriore alla detta consegna e diverso da quello cui essa atteneva. In tale ipotesi, infatti, ove per definizione l'interessato è assente dallo Stato richiesto, la decisione-quadro non disciplina il procedimento da seguire e, quanto alla legislazione interna, l'art. 32 della legge n. 69 del 2005 non prevede alcun criterio di determinazione della competenza, mentre l'art. 26, comma 3, affida la relativa verifica, nel caso della omologa procedura passiva, alla corte d'appello che ha dato esecuzione al mandato d'arresto Europeo. Tale mancanza di disciplina non potrebbe che essere colmata alla stregua dell'indicazione contenuta nell'art. 39, comma 1, legge n. 69 del 2005 Per quanto non previsto dalla presente legge si applicano le disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari, in quanto compatibili” , che condurrebbe ragionevolmente a individuare la competenza per l'effettuazione della richiesta secondo la regola dell'art. 279 cod. proc. pen Ne conseguirebbe, dunque, ove si desse dell'art. 28 una interpretazione strettamente letterale, l'ulteriore anomalia di applicare regole di competenza diverse alla ipotesi del m.a.e. attivo base apprensivo e a quella della richiesta di assenso per la consegna suppletiva. L'interpretazione sistematica tratta invece allo stesso modo entrambe le ipotesi suddette, superando anche l'ulteriore problema che potrebbe scaturire dall'incertezza sulle modalità con cui attivare la procedura di consegna estensiva. In effetti, sia la previsione del p. 4 dell'art. 27 della decisione-quadro, che la norma attuativa interna del comma 3 dell'art. 26 della legge n. 69 del 2005 non prevedono espressamente, per la richiesta di assenso alla estensione della consegna, l'emissione di un nuovo apposito m.a.e Si potrebbe, quindi, argomentatamente ritenere la possibilità di una procedura libera salvo il rispetto dell'art. 8 della decisione-quadro, richiamato dal comma 3 dell'art. 26 della legge n. 69 del 2005 diversa da quella richiedente l'emissione del m.a.e. considerato anche che la funzione primaria di tale strumento, di ottenere l'arresto del soggetto da parte dello Stato di rifugio, evidentemente non può esplicarsi quando il soggetto sia stato già consegnato e ivi più non si trovi . Sotto altro profilo, peraltro, è innegabile che la finalizzazione della richiesta di assenso alla sottoposizione del soggetto, già in custodia ad altro titolo, a un diverso provvedimento restrittivo interno, renda abbastanza naturale che la stessa venga espressa - come avvenuto nel caso di specie - attraverso l'emissione di un apposito m.a.e. e tale percorso indica, invero, all'ultimo capoverso del punto 5.4., il citato Vademecum del mandato di arresto Europeo” redatto dal Ministero della Giustizia, sia pure in relazione alle richieste relative alla esecuzione di decisioni , il quale recherà, in forza della previsione di cui all'art. 30 della legge n. 69 del 2005, tutto quanto richiesto dall'art. 8 della decisione-quadro. In questo caso, si potrebbe porre il problema se un simile m.a.e. ricada o non nell'ambito operativo dell'art. 28, con quanto ne conseguirebbe, in termini di discrasie applicative, in caso di risposta negativa per la già ricordata interferenza della clausola dell'art. 39 della legge n. 69 , ove si optasse per l'interpretazione strettamente letterale di tale norma. 5. Conclusivamente, tale ultima interpretazione non può essere accolta e deve invece optarsi per una lettura logica-sistematica della norma, secondo il complessivo discorso sopra svolto. Le relative conclusioni possono sintetizzarsi nel seguente principio di diritto La competenza funzionale ad emettere il mandato di arresto Europeo per l'esecuzione di una misura cautelare custodiate, anche in funzione del conseguimento dell'assenso alla consegna suppletiva, spetta al giudice investito della competenza sulla gestione della misura nel procedimento in cui la stessa è stata disposta”. 6. Applicando il detto principio alla fattispecie di causa, la competenza alla emissione del m.a.e. nei confronti del P. in relazione alla misura custodiale disposta con l'ordinanza emessa dal G.i.p. di Milano l'8 ottobre 2012 deve essere attribuita a G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria. P.Q.M. Dichiara la competenza del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria, cui dispone trasmettersi gli atti.