La trasformazione societaria iscritta nel registro dopo la dichiarazione di fallimento non ha efficacia nei confronti dei terzi

La trasformazione della natura giuridica della società ne lascia inalterata l’identità e, comunque, la trasformazione della stessa non era stata iscritta nel registro delle imprese prima della dichiarazione di fallimento.

Lo ha sottolineato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 27924/13, depositata il 13 dicembre scorso, rigettando il ricorso della società dichiarata fallita. Il caso. Una società cooperativa a r. l., dopo il rigetto da parte dei giudici di appello dell’opposizione alla dichiarazione del suo fallimento pronunciata dal Tribunale, propone ricorso per cassazione. Notifica a mezzo del servizio postale. La S.C., prima di tutto, conferma quanto detto dai giudici di appello in merito alla validità della notifica nei confronti del liquidatore della società a Londra. Infatti, essendo l’Italia e il Regno Unito membri della convenzione dell’Aja, la comunicazione poteva avvenire – e così è stato nella fattispecie - anche a mezzo del servizio postale. Quando è stata iscritta nel registro delle imprese la trasformazione della società? Nemmeno la trasformazione della società - da società cooperativa a r. l. a piccola società cooperativa a responsabilità limitata ONLUS - ha impedito la dichiarazione di fallimento. La decisione dei giudici di secondo grado è stata ritenuta corretta perché «la trasformazione della natura giuridica della società ne lascia inalterata l’identità» e, inoltre, la trasformazione della stessa non era stata iscritta nel registro delle imprese prima della dichiarazione di fallimento, quindi «nessuna efficacia poteva avere nei confronti dei terzi». Stipendi non pagati. Infine, è emerso un sintomo evidente dell’incapacità a far fronte alle proprie obbligazioni il mancato pagamento delle retribuzioni dei propri dipendenti. È interesse primario dell’imprenditore – concludono gli Ermellini – pagare i salari ai propri dipendenti poiché «l’inadempimento di tale obbligazione mina alla base la capacità produttiva dell’impresa, non consentendo ai dipendenti di svolgere in condizioni normali il proprio lavoro e aprendo la via a contestazioni e ad esodi».

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 31 ottobre – 13 dicembre 2013, numero 27924 Presidente Salmé – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato 19 ottobre 2001, la Società Servizi Immobiliari Finanziari Amministrativi Assicurativi Automobilistici S.I.F.A. soc.coop. sociale a r.l. proponeva opposizione alla dichiarazione del suo fallimento pronunciata dal Tribunale di Firenze. Deduceva l'appellante che la declaratoria era nulla in quanto l'invito a comparire ex articolo 15 L.F. non era stato notificato al liquidatore della società stessa presso suo domicilio di , nelle forme previste dall'articolo 142 comma 1 c.p.c. mediante affissione della copia da notificare nell'albo del Tribunale Firenze, spedizione di altra copia al destinatario per piego raccomandato e consegna di una terza copia al P.M. che ne avrebbe curato la trasmissione al Ministero degli Esteri b la sentenza era parimenti nulla in quanto, prima della dichiarazione di fallimento, la società in questione era stata trasformata da società cooperativa a responsabilità limitata a piccola società cooperativa a responsabilità limitata ONLUS quindi la declaratoria di fallimento aveva colpito una società inesistente e la società cooperativa e maggiormente la cooperativa sociale era sottratta al fallimento d non sussisteva lo stato d'insolvenza essendo l'unico debito costituito dal mancato adempimento delle retribuzioni di lavoro dipendente prestato dagli istanti, i cui crediti erano stati accertati con una sentenza di cui la società non aveva avuto effettiva conoscenza. Si costituiva in giudizio la creditrice istante, G.E. , rimanendo contumace la curatela. Il Tribunale osservava,quanto alla dedotta nullità della notificazione, che l'invito a comparire ex articolo 15 l.f. era stato notificato al liquidatore, previo tentativo fallito di eseguire la notifica presso la sede legale della società, mediante trasmissione a mezzo posta dell'atto, redatto in lingua inglese, francese ed italiana, con plico raccomandato alla residenza londinese del liquidatore, ove risultava effettivamente pervenuto, come attestato dalla produzione effettuata dalla convenuta costituita che la norma dell'articolo 145 c.p.c., richiamata dall'opponente aveva carattere sussidiario come espressamente previsto dall'articolo 142 comma III c.p.c., applicandosi soltanto in caso di impossibilità di effettuare le notificazione in uno dei modi consentiti dalle convenzioni internazionali che secondo quanto stabilito dalla Convenzione firmata all'Aja il 15 novembre 1965, a cui avevano aderito sia la Repubblica Italiana che il Regno Unito, le notificazioni a persone che si trovavano all'estero ed in uno degli Stati aderenti potevano essere indirizzate direttamente per posta. Aggiungeva poi che le finalità di garanzia per la difesa, affidate all'invito a comparire, non potevano essere frustrate da comportamenti capziosi, quale il mancato ritiro della corrispondenza. In ordine alla affermata nullità della sentenza di fallimento come effetto dell'avvenuta trasformazione della società poi fallita, il primo giudice osservava che a la trasformazione aveva lasciato inalterata l’identità del soggetto b la delibera di trasformazione non era stata iscritta al registro delle imprese prima della sentenza di fallimento, contrariamente a quanto previsto dagli articolo 2516 e 2537 per l'opponibilità al terzi di tali delibere. Il Tribunale respingeva poi quel motivo d'opposizione che si fondava sull'inapplicabilità della normativa sul fallimento alle società cooperative, deducendo che, nel caso concreto non si trattava di cooperativa ma di società avente fine di lucro come dimostrato dallo stesso statuto dell'opponente e dalla sentenza del giudice del lavoro che aveva ritenuto i soci solo fittiziamente tali ma in realtà veri e propri dipendenti. Quanto infine allo stato d'insolvenza il Tribunale ne riteneva ravvisabile la prova nella sentenza che aveva condannato la S.I.F.A. al pagamento delle retribuzioni ai propri dipendenti in quanto il mancato adempimento di quell’obbligazione dimostrava l'impossibilità per la debitrice di fronteggiare tempestivamente i propri obblighi con i normali mezzi di pagamento a quest'elemento aggiungeva il valore sintomatico del trasferimento all'estero della sede del liquidatore e della mancata presentazione del medesimo avanti al giudice delegato. Avverso questa decisione proponeva appello la S.I.F.A. riproponendo le censure proposte con l'opposizione. Gli appellati rimanevano contumaci. La Corte d'appello di Firenze, con sentenza depositata il 20.2.06 respingeva l'impugnazione. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione sulla base di tre motivi la Sifa. Il fallimento non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto non specifici i primi tre motivi di appello relativi alla mancata notifica dell'avviso a comparire ex articolo 15 l.f., alla inesistenza della società dichiarata fallita ed alla non fallibilità della cooperativa sociale. Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso contesta la sussistenza dello stato d'insolvenza. Il primo motivo appare infondato. La Corte d'appello, in riferimento alla avvenuta notifica al liquidatore della società a Londra della convocazione in sede prefallimentare, ha rilevato che il tribunale aveva accertato in base alla documentazione fornita dal fallimento che la stessa era avvenuta effettivamente e che,nel caso di specie, non era necessario procedere ai sensi dell'articolo 142 cpc poiché,essendo sia l'Italia che il Regno Unito membri della convenzione dell'Aja, la comunicazione poteva avvenire anche a mezzo del servizio postale. La Corte d'appello ha poi osservato che tale ratio decidendi non era stata oggetto di impugnazione, avendo la ricorrente riproposto solo le doglianze avanzate in sede di opposizione. La SIFA contesta tale affermazione, ma dal testo dell'atto di appello riportato nel ricorso per cassazione non risultano che siano state avanzate censure alla specifica motivazione del Tribunale specie in relazione all'avvenuta consegna della comunicazione al liquidatore. Correttamente pertanto la Corte d'appello ha ritenuto che la decisione di primo grado sul punto non era stata adegutamente impugnata. Circa poi l'avvenuta trasformazione della società che avrebbe impedito la dichiarazione di fallimento essendo essa divenuta un soggetto diverso, la Corte d'appello ha rilevato che non era stata impugnata la ratio decidendi del tribunale che aveva osservato che la trasformazione della natura giuridica della società ne lascia inalterata l'identità e che,comunque,siccome la trasformazione della stessa non era stata iscritta nel registro delle imprese prima della dichiarazione di fallimento,nessuna efficacia poteva avere nei confronti dei terzi. La decisione è corretta. Dal testo dell'atto di appello riportato nel ricorso si evince, infatti, che la SIFA si è limitata a affermare che il cambiamento di forma della società avrebbe reso la precedente inesistente ma non contesta la non avvenuta iscrizione del mutamento nel registro delle imprese e,quindi, l'inopponibilità della stessa ai terzi che costituisce,comunque, una ratio decidendi decisiva della sentenza impugnata. Quanto, infine, alla non fallibilità dell'impresa in quanto cooperativa, la Corte d'appello ha rilevato la mancata impugnazione della specifica motivazione della sentenza del Tribunale secondo cui lo stesso statuto della società prevedeva lo svolgimento di attività commerciali e che il giudice del lavoro, con sentenza numero 701/00,passata in giudicato, aveva accertato che gli asseriti soci erano in realtà dei dipendenti cui spettava la retribuzione. La motivazione della Corte d'appello è corretta. Sempre dal ricorso risulta che l'atto di appello colà riportato ha contestato che lo statuto prevedeva che la società si proponeva di perseguire l'interesse generale della comunità, l'integrazione sociale etc., ma nulla dice in riferimento alla specifica motivazione della sentenza di primo grado secondo cui lo statuto prevedeva la possibilità di svolgere attività commerciale. Nessun cenno viene fatto nell'atto di opposizione alla sentenza del giudice del lavoro. Deve quindi concludersi che l'atto di appello non ha effettivamente censurato in modo adeguato le singole rationes decidendi e le specifiche argomentazioni della sentenza del Tribunale come ritenuto dalla Corte d'appello. Il motivo è quindi infondato. Venendo all'esame dei due restanti motivi che contestano l'esistenza dello stato d'insolvenza,gli stessi possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro connessi. I motivi sono inammissibili. Con il primo di essi si sostiene che essa società non era stata parte nel giudizio svoltosi davanti al giudice del lavoro e conclusosi con la sentenza numero 701 del 2000. Ma tale assunto contrasta con l'accertamento effettuato dalla Corte d'appello che ha affermato che la SIFA era stata parte di quel procedimento. La censura della società per un verso è basata su una mera ed apodittica affermazione e, per altro verso, impone inammissibilmente a questa Corte un accertamento in punto di fatto non consentito in sede di legittimità. Circa lo stato d'insolvenza, la Corte d'appello ha osservato che il mancato pagamento delle retribuzioni ai propri dipendenti costituisce un sintomo evidente dell'incapacità a far fronte alla proprie obbligazioni e tale argomento risulta decisivo poiché è evidente è interesse primario dell'imprenditore pagare i salari ai propri dipendenti poiché l’inadempimento di tale obbligazione mina alla base la capacità produttiva dell'impresa non consentendo ai dipendenti di svolgere in condizioni normali il proprio lavoro e aprendo la via a contestazioni e ad esodi. Il ricorso va in conclusione respinto. P.Q.M. Rigetta il ricorso.