La qualifica di amministratore “di fatto” sussiste, se…

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’articolo 2639 c.c., postula l’esercizio, in modo continuativo e significativo, dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione nondimeno, significatività e continuatività non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale.

Lo ha ribadito la sez. V penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 20731, depositata il 21 maggio 2014. Quando la gestione aziendale può dirsi significativa e continuativa? La pronuncia in esame richiama la fondamentale tematica della distinzione circa la figura dell’amministratore di diritto e quella dell’amministratore di fatto nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. In generale, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 2639 c.c., al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. L’introduzione di tale norma è avvenuta con la sostituzione dell’intero titolo XI, comprendente gli articoli da 2621 a 2642 c.c., ad opera dell'articolo 1 d.lgs. numero 61/2002. La sentenza in commento risulta particolarmente interessante, nella parte in cui ribadisce che il principale sintomo della qualità di amministratore di fatto va rinvenuto nelle plurime incombenze svolte dalla c.d. “testa di legno” nella persistente assenza e nell’assoluto disinteresse dell’amministratore di diritto. Al fine di individuare il soggetto “di fatto” bisogna, in primo luogo, ed in base ai principi generali coniati dalla giurisprudenza, ripercorrere l’organizzazione aziendale interna, anche al fine di verificarne la conformità alla disciplina extrapenale in secondo luogo, occorre risalire alla posizione di garanzia, verificando che ad essa siano connessi gli obblighi impeditivi rispetto ai fattori che hanno cagionato l’offesa. In altri termini, va verificato chi, in concreto, svolge le funzioni di amministratore, individuandolo quale diretto destinatario della norma penale nel momento in cui, mentre esercita la funzione gestoria tipica, pone in essere la condotta. In ogni caso, l’equiparazione fra amministratore di fatto e di diritto è subordinata - come già ritenuto dalla prevalente giurisprudenza in materia penale fallimentare - ai requisiti della continuità della gestione aziendale consistente nella reiterazione di atti e comportamenti e della significatività dell’esercizio della funzione gestoria tipica per cui i poteri tipici esercitati dall’amministratore di fatto non devono essere marginali . Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la titolarità – pressoché totalitaria – delle quote sociali per circa tre anni, e l’aver intrattenuto rapporti commerciali con uno dei coimputati costituissero elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, nelle varie fasi della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società. La relazione fra amministratore di fatto ed amministratore di diritto. La decisione in esame consente pure di richiamare il tema dei rapporti dell’amministratore di fatto con quello di diritto. Per il reato di bancarotta fraudolenta di una società, non vi è nessuna distinzione tra amministratori di fatto e di diritto . L'amministratore di fatto, ai sensi dell'articolo 2639 c.c., è da ritenersi gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore di diritto, e, dunque, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, ovviamente quando ricorrano anche le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo. Risulta perciò ormai superato quel risalente orientamento Cass., numero 36630/2003 secondo cui, ai reati fallimentari e dunque anche alla fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale , non può essere applicato sic et simpliciter l’articolo 2639 c.c. che, nel definire il soggetto di fatto, ha sancito l’equiparazione della responsabilità dell’amministratore di fatto a quella dell’amministratore di diritto con riguardo alle sole fattispecie penali societarie. In effetti, seguendo una interpretazione letterale dell’articolo 2639, comma 1, c.c., sembrerebbe possibile dedurre a contrario che l’equiparazione legislativa della responsabilità fra amministratori di fatto e di diritto opera solo per i reati societari, e non anche per quelli fallimentari. In ogni caso, la predetta equiparazione è subordinata - come già ritenuto dalla prevalente giurisprudenza in materia penale fallimentare - ai requisiti della continuità della gestione aziendale consistente nella reiterazione di atti e comportamenti e della significatività dell’esercizio della funzione gestoria tipica per cui i poteri tipici esercitati dall’amministratore di fatto non devono essere marginali . Ne consegue che la “testa di legno”, la quale accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, possa essere ritenuta responsabile di bancarotta per distrazione sulla base della sola consapevolezza che, dalla propria condotta omissiva, possono scaturire gli eventi tipici del reato dolo generico o l'accettazione del rischio che questi si verifichino dolo eventuale . Ed infatti, in tema di bancarotta fraudolenta, in caso di concorso ai sensi dell’articolo 40, comma 2, c.p., dell'amministratore di diritto nel reato commesso dall'amministratore di fatto, ad integrare il dolo del primo è sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l'elemento soggettivo sia come dolo diretto che come dolo eventuale. Invero, a ciò deve aggiungersi che la valenza di tale principio cede ove consti che l’amministratore apparente sia rimasto estraneo alle vicende societarie, di fatto gestite da altri.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 marzo – 21 maggio 2014, numero 20731 Presidente Dubolino – Relatore Lignola Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza resa In data 29 settembre 2009, confermata dalla Corte d'appello di Ancona in data 27 settembre 2012, il Tribunale di Ascoli Piceno condannava D.F. e F.R. alla pena di giustizia per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, in relazione al fallimento della Telestar Telecomunicazioni s.r.l. , dichiarato con sentenza del 20 gennaio 2000. 1.1. Il primo imputato, in qualità di socio ed amministratore unico, era accusato della distrazione, in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, dei beni costituenti il patrimonio della società rimanenze indicate nelle scritture contabili ed in particolare dei beni oggetto di forniture rimaste Insolute e di aver tenuto i libri e le scritture contabili in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari in particolare egli ometteva l'inventario dei beni presenti in magazzino, nonché ometteva di annotare In contabilità I versamenti fatti dal D. sui proprio conto personale. 1.2. Il secondo impiutato, socio con quota variabile fino al 1997, quale amministratore di fatto della società, è stato condannato per la bancarotta documentale e per la distrazione di somme costituenti Incassi della società, attraverso il versamento delle stesse presso il conto corrente personale della banca Piceno Trentina, negli anni dal 1994 al 1997. 2. Contro la sentenza propongono ricorso per Cassazione entrambi gli imputati F.R. ha articolato due motivi, con atto sottoscritto dal difensore, avv. S.L 2.1. Con il primo motivo si deduce violazione dell'articolo 606 lettera E, cod. proc. penumero , per illogicità e comunque contraddittorietà della motivazione sui punti decisivi della controversia. Con riferimento alla bancarotta per distrazione, si evidenzia che l'imputato ha consegnato, sia pure in un momento successivo, le merci di cui all'imputazione nelle mani del curatore e non io aveva fatto subito, pensando che fossero del tutto prive di valore, poiché si trattava di materiale elettronico e telefonico. Poiché la gestione della società è risultata essere completamente nelle mani del coimputato D., la Corte territoriale avrebbe dovuto escludere il dolo del F 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 606, lettere B ed E, cod. proc. penumero , in relazione agli articoli 62 bis e 133 cod. penumero , e vizio di motivazione, per aver determinato la pena al di sopra del minimo edittale in considerazione di modestissimi precedenti penali e per non aver riconosciuto le attenuanti generiche, senza motivare sul punto e così ignorando le precise indicazioni dell'appello. Anche il periodo di interdizione dall'esercizio di impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa è di gran lunga superiore alla misura minima stabilita dalla legge, pur in presenza di argomentazioni al riguardo sollevate nel motivi di appello. 3. D.F. propone ricorso, con atto del difensore, avv. S.R., affidato a due motivi. 3.1. Con il primo motivo si deduce violazione dell'articolo 606 lettera B ed E, cod. proc. penumero , in relazione al delitto di bancarotta documentale, affermato sull'erroneo presupposto che l'imputato avesse svolto il ruolo di amministratore di fatto, sulla base di assunti scarni ed assolutamente non condivisibili. Il ricorrente contesta i tre elementi indicati dalla Corte territoriale a sostegno di tale conclusione la titolarità per il 98% delle azioni nel periodo 22 luglio 200428 giugno 2007, che non può condurre ad affermare li ruolo di amministratore di fatto, in mancanza della prova di atti di ingerenza nell'amministrazione della società le dichiarazioni dei commercialista, ragioniere M.S., che non possono ritenersi un elemento utile, poiché lo S. era un professionista esterno alla società e non poteva conoscerne i ruoli interni le dichiarazioni rese da R.M., le quali null'altro aggiungono sul punto, se non confermare il ruolo svolto dall'imputato nei settore commerciale. 3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 606 lettera B ed E, in relazione all'articolo 649 cod. proc. penumero , in considerazione del decreto di archiviazione del 10 maggio 2004, emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Ascoli Piceno, nei procedimento numero 29/01 R.G.N.R. per i medesimi fatti storici. In mancanza di un provvedimento di autorizzazione alla riapertura delle indagini, ex articolo 414 cod. proc. penumero , l'azione penale non poteva essere esercitata e dunque il giudice avrebbe dovuto dichiarare con sentenza che l'azione penale non doveva essere iniziata. Considerato in diritto 1. In via preliminare va dato atto che, avuto riguardo al tempo trascorso dalla commissione del fatto 20 gennaio 2000 , e pur tenendo conto della sospensione del decorso del termine di prescrizione pari a 12 anni e sei mesi per un totale di giorni 229, quale risulta dall'esame degli atti per astensione degli avvocati dalle udienze , detto termine, non ancora scaduto alla data di pronuncia della sentenza impugnata, è venuto successivamente a scadenza il 6 marzo 2013 pertanto, non apparendo ravvisabili ragioni di totale inammissibilità dei ricorsi, l'impugnata sentenza va annullata senza rinvio, agli effetti penali, per sopravvenuta estinzione dei reati dovuta a prescrizione. 2. Dovendosi però decidere i ricorsi agli effetti civili, al sensi deii'articolo 578 cod. proc. penumero , gli stessi, ancorché non totalmente inammissibili, vanno tuttavia respinti. 2.1. Il primo motivo proposto dal F. è infondato, poiché la Corte territoriale ha fatto applicazione del principio, pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui sia l'imprenditore individuale, che è illimitatamente responsabile con tutti i beni presenti e futuri ex articolo 2740 c.c., sia gli amministratori di una società dichiarata fallita, hanno l'obbligo di fornire la dimostrazione della destinazione data ai beni acquisiti ai patrimonio, in quanto la destinazione legale dei beni del debitore all'adempimento delle obbligazioni contratte comporta una limitazione della libertà di utilizzare gli stessi, onde dalla mancata dimostrazione può essere desunta la prova della distrazione o dell'occultamento Sez. 5, numero 3400 del 15/12/2004 - dep. 02/02/2005, Sabino, Rv. 231411 Sez. 5, numero 7048 del 27/11/2008 - 18/02/2009, Blanchini, Rv. 243295 Sez. 5, numero 22894 del 17/04/2013, Zanettin, Rv. 255385 . In tal senso deve quindi ricordarsi che l'imprenditore è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nel confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dell'adempimento delle obbligazioni dell'impresa sul patrimonio di quest'ultima. Donde la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell'integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o l'elisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa creditoria ed integra l'evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta. Non di meno l'articolo 87, comma 3, L. Fall., anche prima della sua riforma assegna al fallito obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell'interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione penale. Immediata è la conclusione che le condotte descritte all'articolo 216, comma 1, numero 1 tra loro sostanzialmente equipollenti hanno anche diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto dell'interpello. Osservazioni che giustificano l' apparente inversione dell'onere della prova ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di giustificazione al proposito o di giustificazione resa in termini di spese, perdite ed oneri attinenti o compatibili con le fisiologiche regole di gestione . Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che presumibilmente soltanto egli, che è oltre che il responsabile l'artefice della gestione, può rendere Sez. 5, numero 7588 del 26 gennaio 2011, Buttitta, in motivazione . Quanto alla affermata consegna delle merci al curatore, in un secondo momento, la decisione impugnata, in maniera congrua e logica, afferma che non è dato verificare l'effettiva coincidenza con le rimanenze di magazzino della merce contenuta negli scatoloni di roba vecchia messa a disposizione dall'imputato inoltre rileva che la società ha continuato a svolgere attività anche dopo l'affitto di azienda ad A.G. e questi ha dichiarato che, quando prese in consegna l'azienda, non vi era merce nel magazzino inoltre non sono state rinvenute disponibilità liquide riferibili a vendite effettuate nel periodo compreso tra la cessione dell'azienda ed il fallimento. 2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, poiché il diniego delle attenuanti generiche è adeguatamente motivato con il richiamo dei precedenti penali, ancorché non caratterizzati da particolare gravità, anche in considerazione dell'assenza di elementi specifici idonei a giustificarne il riconoscimento la pena accessoria dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa ha poi durata fissa ed inderogabile di dieci anni, per cui la doglianza sul punto è inammissibile Sez. 5, numero 11257 del 31/01/2013, Raccanello, Rv. 254641 Sez. 5, numero 30341 del 30/05/2012, Pinelli, Rv. 253318 v. anche Corte Cost. numero 134 del 2012 . 3. Passando al ricorso del D., il primo motivo è infondato, al limite dell’inammissibilità, poiché sotto l'apparenza di vizi motivazionali, in realtà il ricorrente propone censure quasi esclusivamente di merito, contestando gli elementi sulla base dei quali la sentenza impugnata ha dedotto lo svolgimento delle funzioni di amministratore di fatto da parte dell'imputato, elementi dai quali invece in maniera assolutamente logico e congruo la Corte ha dedotto io svolgimento di funzioni di gestione o cogestione, occupandosi l'imputato della gestione amministrativa della società. La nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'articolo 2639 cod. civ., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare - il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione Sez. 5, numero 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534 . Rammentato altresì che l'accertamento in esame è oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione Sez. 5, numero 9222 del 22/04/1998, Galimberti, Rv. 212145 Sez. 5, numero 43388 del 17/10/2005, Carboni, Rv. 232456 Sez. 5, numero 15065 del 02/03/2011, Guadagnoli, Rv. 250094 , tale deve senz'altro essere ritenuta l'argomentazione della sentenza impugnata, che ha fatto leva sulla circostanza della titolarità pressoché totalitaria delle quote sociali per circa tre anni, essendo del tutto plausibile che tale titolarità sia stata acquisita, sull'accordo dei soci, per consentire al D., anche attraverso l'esercizio di poteri gestionali, di recuperare le somme di cui aveva lamentato la spesa la parte della società poi dichiarata fallita sulle dichiarazioni del commercialista della società, il quale ha riferito che l'imputato si era sempre occupato dell'attività amministrativa, anche perché F. era sostanzialmente un tecnico sulla testimonianza di R.M., che ha dichiarato di aver intrattenuto rapporti commerciali con D. fino al 1997. 3.1. Il secondo motivo è infondata, poiché il decreto di archiviazione del 10 maggio 2004, al quale si riferisce il ricorrente, riguarda una querela per truffa proposta dai F., nella quale sono dedotte questioni di natura civilistica cosa la richiesta dei pubblico ministero, recepita dal G.I.P. di Ascoli Piceno , per cui evidentemente non attiene alla contestazione di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale. 4. In conclusione la sentenza della Corte d'appello di Ancona del 27 settembre 2012 va annullata senza rinvio, ai fini penali, perché i reati sono estinti per prescrizione i ricorsi degli imputati vanno invece rigettati ai fini civili, con conseguente condanna ai pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in € 1.800,00 complessivi, oltre accessori, come per legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza ai fini penali perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta i ricorsi ai fini civili. Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in €1.800,00 più accessori come per legge.