Azione esecutiva minacciata? Per domandare il risarcimento del danno occorre prima impugnare la cartella esattoriale

In caso di esecuzione esattoriale per sanzioni amministrative, non è data al debitore azione di risarcimento del danno, né ai sensi dell’articolo 59 d.P.R. numero 603/1972 e succ. mod. e integr. , né ai sensi dell’articolo 2043 c.c., ove sia fondata sulla circostanza del volontario pagamento degli importi richiesti e su motivi di ingiustizia o di illegittimità di atto presupposti o preliminari all’esecuzione stessa, che il debitore abbia volontariamente omesso di impugnare nelle competenti sedi.

Questo, sia perché egli era gravato di un onere in senso tecnico in tale ultimo senso e quindi decaduto dalla possibilità di azionare quelle doglianze anche in sede meramente risarcitoria, sia perché la conseguita definitività di quegli atti elide in radice, se non anche la stessa ingiustizia del danno, quanto meno – in difetto di diverse ed ulteriori, ma specifiche, allegazioni – l’elemento soggettivo dell’agente. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 6521/14 depositata il 20 marzo. La S.C. affronta un tema di particolare rilevanza pratica. Questo attiene alla pretesa di un soggetto, cui sia stata minacciata un’esecuzione in forma esattoriale per sanzioni amministrative e che abbia spontaneamente pagato la cartella senza impugnare gli atti presupposti su cui tale pretesa creditoria si fondava, di richiedere il risarcimento del danno consistente nel fatto di aver dovuto pagare una somma ritenuta invece non esigibile per vizi del procedimento o per insussistenza del credito. Il caso. Con atto di citazione un automobilista conveniva dinanzi al Giudice di Pace la società concessionaria della riscossione per sentirla condannare al risarcimento del danno ex articolo 50 d.P.R. numero 602/73 ed ex articolo 2043 c.c., a fronte dell’illegittimità della procedura di irrogazione e riscossione a mezzo ruolo esattoriale di una sanzione amministrativa per violazione al Codice della Strada. Deduceva in quella sede la violazione del termine di emissione della notificazione dell’ordinanza ingiunzione, la carenza, in cartella esattoriale, dell’importo per il calcolo dell’aliquota relativa ai carichi accessori, oltre che la predisposizione del ruolo esattoriale non da parte dell’amministrazione competente, bensì dal Prefetto. Il Giudice di Pace adito, pur nella contumacia della convenuta, rigettava la domanda sostenendo che l’attore, non avendo impugnato i provvedimenti contestati, non poteva dolersi dell’attività della società concessionaria tutt’altro che illecita. Interposto appello, anche questo veniva respinto. Anche il Tribunale, infatti, riteneva insussistente l’illecito aquiliano per la mancata impugnazione nelle sedi competenti degli atti e dei provvedimenti contestati, oltre al fatto che l’allegazione dei presunti danni provocati dall’esecuzione era del tutto sfornita di prova. Ricorre per cassazione l’automobilista. Richiesta di risarcimento danni da esecuzione esattoriale illegittima. Per quel che qui interessa, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’articolo 59 d.P.R. numero 602/73, in combinato disposto con l’articolo 2043 c.c., al fine di sostenere la spettanza del risarcimento del danno da esecuzione esattoriale illegittima. Egli contesta, peraltro, qualsivoglia altro onere a suo carico inerente la specificazione di danni ulteriori e diversi rispetto all’effettivo pagamento di una somma che, in dipendenza dell’illegittimità degli atti esecutivi presupposti della P.A., non poteva comunque considerarsi dovuta. Anche il processo esecutivo esige stabilità dei suoi effetti. La Corte di Cassazione ritiene infondati i motivi di ricorso. Innanzitutto gli Ermellini chiariscono che la proposizione dell’azione risarcitoria ai sensi dell’articolo 24 Cost. ben può essere intentata una volta pagato il debito e quindi esclusa la pendenza dell’esecuzione esattoriale. Questo in un quadro però in cui il processo di irrogazione delle sanzioni amministrative e quello esecutivo esattoriale costituiscono non dei meri procedimenti amministrativi, ma speciali procedimenti affidati ad organi che applicano le regole di procedura civile e dei principi generali dell’attività giurisdizionale sia cognitivo - sanzionatoria che esecutiva. Stando così le cose il processo esecutivo, che ha funzioni eminentemente recuperatorie, ossia di attuazione del comando di un diritto già accertato, deve essere sottoposto ad un sistema chiuso e rigido di rimedi interni suoi propri. Anche il processo esecutivo, dunque, esige, così come il giudicato risponde ad esigenze di certezza, stabilità dei suoi effetti. Da quanto dedotto la Suprema Corte conclude che una volta dismessa, rinunziata o preclusa, per consapevole inerzia di colui al quale era stata accordata dall’ordinamento la tutela primaria ossia l’impugnazione tipica dell’atto presupposto o dell’atto esecutivo , allora, come nel caso di specie, viene meno anche la ragione di quella risarcitoria o per equivalente. Il mancato dispiego dei relativi strumenti processuali, con le forme e le modalità previste dalla disciplina di rito, comporta la decadenza per il soggetto interessato di far valere le proprie ragioni su ogni ulteriore questione, fosse anche solo un rimedio risarcitorio che risulta così abdicato in radice. V’è da dire, inoltre, che un’eventuale azione per responsabilità aquiliana non è assolutamente esercitabile fuori dal processo in cui la condotta generatrice di quella responsabilità si è manifestata. Non è così possibile farla valere in via autonoma, consequenziale e successiva, indipendentemente dalla situazione giuridica soggettiva primaria dinanzi ad un altro giudice, salvo casi del tutto particolari cfr. Cass. 6 agosto 2010, numero 18344 . Concludendo. Alla luce delle superiori considerazioni, non avendo il ricorrente esperito alcuna delle azioni tipiche es. opposizione a lui spettanti in dipendenza del credito azionato sanzione amministrativa da violazione al Codice della Strada , gli è stata preclusa l’azione risarcitoria diretta, finalizzata alla ripetizione delle somme spontaneamente versate e fondata sulla presunta illegittimità dell’azione esecutiva minacciata dal concessionario.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 31 gennaio – 20 marzo 2014, numero 6521 Presidente Petti – Relatore De Stefano Svolgimento del processo 1. Secondo quanto risulta dall'impugnata sentenza, con atto di citazione notificato addì 1.4.04 B.L. adì il giudice di pace di Padova per sentir condannare la Gest Line spa al risarcimento del danno ai sensi dell'articolo 59 del d.P.R. 602/73, una volta accertata in via incidentale l'illegittimità della procedura di irrogazione e riscossione a mezzo ruolo esattoriale di una sanzione amministrativa per la contravvenzione ex articolo 180, co. 7, CdS, promossa con avviso di mora notificato il 22.6.95 per il pagamento di una cartella indicata con il numero 937611701 procedura conclusa ed atti esecutivi veri e propri avendo egli voluto evitare con suo volontario pagamento. In particolare, sempre stando alla gravata sentenza, egli dedusse la violazione del termine di emissione e notificazione dell'ordinanza ingiunzione di sessanta giorni, di cui all'articolo 204 CdS , la carenza - in cartella - dell'importo per il calcolo dell'aliquota relativa ai carichi accessori, la predisposizione del ruolo esattoriale non da parte dell'amministrazione da cui dipendeva l'organo accertatore, bensì dal Prefetto di Padova, nonché - infine - la formazione del ruolo per il Comune di Padova, diverso da quello del suo domicilio fiscale. Il giudice di pace adito, nella contumacia della convenuta, rigettò la domanda con sentenza 10.10.05, poiché, non avendo l'attore impugnato i provvedimenti contestati, non avrebbe potuto ravvisarsi nell'attività esecutiva della Gest Line spa alcun carattere di illecito e, comunque, in quanto non era stata fornita prova alcuna del preteso danno. L'appello del B. - che aveva tra l'altro ribadito di aver proposto una mera domanda di risarcimento del danno da illecito aquiliano - fu respinto dal tribunale di Padova, che confermò l'insussistenza sia dell'illecito, per la mancata impugnazione nelle competenti sedi degli atti e provvedimenti contestati, sia del danno, per essere risultata dovuta la somma e per essere mancata l'allegazione di danni provocati dall'esecuzione in se stessa considerata o dalle modalità in cui essa era avvenuta, diversi da quelli del pagamento della somma dovuta. Per la cassazione di tale sentenza, resa il 29.4.09 col numero 1234, ricorre, formulando tre questioni preliminari di legittimità costituzionale dell'articolo 366-bis cod. proc. civ. e quattro duplici motivi di contemporanea deduzione di violazione di norme di diritto o nullità della sentenza e vizio motivazionale. Non svolge attività difensiva l'intimata. Motivi della decisione 2. Il ricorrente B. premette ai motivi veri e propri un'eccezione di illegittimità costituzionale dell'articolo 366-bis cod. proc. civ., sotto tre profili, conclusi ognuno con un quesito di diritto in relazione all'articolo 3 Cost., ritenendo che la definizione per vizi di rito anche dinanzi alla fondatezza nel merito non garantisce un'identica tutela giuridica ad identiche situazioni di diritto sostanziale in relazione agli articolo 2, 24 e 111 Cost., ritenendo divenuto in dipendenza dei quesiti eccessivamente gravoso - e quindi ingiustamente limitato - l'accesso al grado di legittimità in relazione all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, numero 848 , ritenendo non più garantito, siccome gravoso in modo eccessivo, il diritto a vedere esaminata la propria causa nel grado di legittimità. Il B. formula poi, corredati ciascuno da separati quesiti di diritto e momenti di sintesi o riepilogo, i seguenti motivi 2.1. un primo, articolato su separate ma contestuali doglianze di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonché di vizio motivazionale, in relazione agli articolo 59 d.P.R. 602/73, 2043 cod. civ., 2, 4 e 5 legge 2248/1865, ali. E con il quale egli - ribadita l'illegittimità degli atti esecutivi esattoriali e di quelli presupposti, quale causa di non spettanza della somma - invoca la spettanza del risarcimento del danno da esecuzione esattoriale illegittima in dipendenza dell'illegittimità di atti della P.A., ai sensi sia della normativa speciale su tale forma di esecuzione, sia della norma generale sulla responsabilità aquiliana 2.2. un secondo, articolato su separate ma contestuali doglianze di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonché di vizio motivazionale, in relazione agli articolo 59 d.P.R. 602/73 e 2043 cod. civ. con il quale egli contesta qualunque suo onere di specificazione di danni ulteriori e diversi rispetto all'effettivo pagamento di una somma che, in dipendenza dell'illegittimità degli atti amministrativi pregressi, non poteva comunque considerarsi dovuta 2.3. un terzo, articolato su separate ma contestuali doglianze di nullità della sentenza o del procedimento, nonché di vizio motivazionale, in relazione agli articolo 91 cod. proc. civ. e 59 e 61 della legge numero 36/1934 con il quale egli censura la liquidazione onnicomprensiva di esborsi, diritti ed onorari nella patita condanna alle spese 2.4. un quarto, articolato su separate ma contestuali doglianze di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ovvero di nullità della sentenza e del procedimento, nonché di vizio motivazionale, in relazione all'articolo 92 cod. proc. civ., dolendosi della sua condanna alle spese processuali. 3. Va premesso che, essendo la sentenza impugnata stata pubblicata tra il 2.3.06 ed il 4.7.09, alla fattispecie continua ad applicarsi, nonostante la sua abrogazione ed in virtù della disciplina transitoria di cui all'articolo 58, comma quinto, della legge 18 giugno 2009, numero 69 l'articolo 366-bis cod. proc. civ. e, di tale norma, la rigorosa interpretazione via via elaborata da questa Corte Cass. 27 gennaio 2012, numero 1194 Cass. 24 luglio 2012, numero 12887 Cass. 8 febbraio 2013, numero 3079 Cass. 17 ottobre 2013, numero 23574 . Le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 366-bis cod. proc. civ., prospettate in via preliminare dal ricorrente, sarebbero allora, in teoria, rilevanti, perché il vaglio di ammissibilità dei motivi dovrebbe aver luogo in applicazione della norma stessa. 3.1. Esse, tuttavia e a prescindere dal fatto che la sanzione di inammissibilità prevista dalla norma suddetta non troverà applicazione al caso di specie in dipendenza della concreta possibilità di esaminare il merito delle doglianze, sono manifestamente infondate, alla stregua dei principi affermati in via espressa quanto al capoverso di quella norma, ma in virtù di considerazioni agevolmente estensibili anche al primo comma, da Cass., ord. 30 dicembre 2009, numero 27680 quanto alla ultrattività della norma, da Cass. 16 dicembre 2009, numero 26364. 3.2. Del resto ed in estrema sintesi, non lede il diritto di difesa l'imposizione - di per sé considerata e salvo che si traduca in una effettiva seria limitazione delle concrete facoltà di estrinsecazione del diritto, cosa che, con ogni evidenza, non ricorre nella specie - di vincoli formali o procedurali, come in qualsiasi sistema di preclusioni o decadenze, neppure ove essi si articolino in particolari tecniche di formulazione degli atti di accesso alla giustizia o ad un grado di giudizio, visto che tali tecniche sono pur sempre affidate a professionisti specialisti della materia e, nell'ordinamento italiano, di numero straordinariamente superiore alla media Europea , che si presumono dotati delle necessarie cognizioni e competenze tecniche un sistema di vincoli formali, sia pure regolamentando l'accesso ad una pronuncia di merito, è indiscutibilmente funzionale alla stessa effettività ed efficienza dell'apparato di tutela giurisdizionale valore insopprimibile per la configurabilità di una reale tutela di ogni diritto , onde regolarne ed ordinarne il funzionamento e garantire anche, proprio mediante la previsione di regole formali uguali per tutti, una parità di condizioni di accesso e di sviluppo del processo. Infine, la previsione dell'ultrattività o meno di una norma abrogata rientra nelle tipiche ipotesi di discrezionalità legislativa, generalmente insindacabili neppure a livello di conformità alla Carta costituzionale, a meno di incongruità macroscopiche, idonee a trasmodare in un vero e proprio eccesso di potere legislativo cosa che, con tutta evidenza, non accade nella fattispecie. 4. Vanno, a questo punto, esaminati congiuntamente i due primi motivi, tra loro intimamente connessi in forza dei quali si ricava che oggetto del contendere - all'esito anche della puntualizzazione operata con il secondo motivo è la pretesa di un soggetto, cui è stata minacciata un'esecuzione in forma esattoriale per sanzioni amministrative e che ha spontaneamente pagato le somme richieste senza impugnare nelle competenti sedi gli atti su cui l'esecuzione si fondava o che essa presupponeva, di vedersi risarcito quello specifico danno - vuoi ai sensi della normativa generale dell'articolo 2043 cod. civ., vuoi ai sensi di quella speciale dell'articolo 59 d.P.R. 29 settembre 1973, numero 602 e succ. mod. e integr. - consistente nel fatto di aver dovuto pagare una somma ritenuta invece non dovuta per vizi del procedimento o per insussistenza del credito posto a base dell'esecuzione causali, però, mai prima fatte valere nelle competenti sedi di contestazione del merito dei singoli atti sanzionatori o pre-esecutivi. La soluzione cui pervengono i giudici di merito, in ordine alle conseguenze del mancato esperimento delle impugnazioni avverso gli atti presupposti, è fondata, sia pure dovendo congruamente integrarsi - o correggersi - sul punto la motivazione della gravata sentenza con la conseguente necessità di rigettare i due motivi di ricorso in esame. 4.1. Va premesso - davvero superfluo risultando ricordare, scolastica essendone la nozione, il tenore testuale dell'articolo 2043 cod. civ. - che l'articolo 59 del d.P.R. 29 settembre 1973, numero 602 come sostituito, in uno a tutto il titolo II di tale provvedimento, dall'articolo 16, co. 1, d.lgs. 26 febbraio 1999, numero 46 , prevede che chiunque si ritenga leso dall'esecuzione può proporre azione contro il concessionario dopo il compimento dell'esecuzione stessa ai fini del risarcimento dei danni . Una volta precisato che l'azione ai sensi dell'articolo 59 d.P.R. 602/73 cit. è una particolare specie di quella generale aquiliana prevista dall'articolo 2043 cod. civ., non rileva un'analitica ricostruzione della prima, né, in particolare, la disamina della corrente affermazione dottrinale del suo carattere meramente residuale, siccome limitata ai casi in cui l'esecuzione si sia compiuta nonostante che la parte danneggiata abbia utilizzato gli ordinari mezzi di tutela per la rimozione degli atti illegittimi, ovverosia abbia proposto le opposizioni esecutive ed invocato la sospensione della esecuzione. E neppure rileva, atteso il dispiegamento alternativo dell'azione generale di responsabilità aquiliana, l'ulteriore approfondimento del momento in cui la prima possa essere dispiegata al riguardo però potendo bastare un richiamo a Cass. 8 marzo 2003, numero 3523, nonché all'individuazione - ivi lumeggiata - della ratio del divieto di proposizione dell'azione risarcitoria nella non interferenza con l'esecuzione esattoriale in corso, per affermare che detta azione può bene essere intentata una volta pagato il debito e quindi esclusa la pendenza dell'esecuzione esattoriale. Infatti, quel che conta è la stretta correlazione tra l'esplicita concessione - e la stessa ammissibilità - della tutela risarcitoria autonoma di cui all'articolo 59 cit. e l'esclusione di ogni altro tipo di tutela, altrimenti intrinseco al processo esecutivo nel senso, in particolare, che la peculiare struttura del processo esecutivo esattoriale tributario, se ed in quanto esclude o limita eccezionalmente la normale tutela giurisdizionale durante la sua pendenza articolo 57 e 58 d.P.R. 602/73 cit. , non può che ammettere - per non infrangersi contro il disposto dell'articolo 24 Cost. - quanto meno una tutela risarcitoria o per equivalente o successiva, quest'ultima essendo l'indefettibile minimo presidio di qualunque diritto fondamentale, quale quello di difesa in giudizio. 4.2. Orbene da un lato, nel caso di esecuzione esattoriale per sanzioni amministrative, come nel caso in esame, il procedimento che sta a monte e porta alla formazione del titolo azionato è un particolare procedimento sanzionatorio, che partecipa di molti dei principi pubblicistici propri della giurisdizione, quale sostanziale ibrido tra il processo penale - di cui è un conclamato succedaneo, riferendosi a sanzioni di matrice e funzione pubblicistica come quelle penali, ma di minore rango - e quello civile dall'altro lato, un processo esecutivo esattoriale non cessa di essere un procedimento esecutivo per struttura e funzione, sia pure connotato dalle peculiarità della sua devoluzione ad un soggetto non dotato di istituzionali caratteristiche di terzietà ed imparzialità e del conferimento al medesimo di ampi poteri procedimentali, sottoposti ad un controllo meramente estrinseco di legittimità formale ed a quello di merito in limiti assai ristretti. È, del resto, progressivo il consolidamento dell'opzione ermeneutica di equiparazione degli atti tipici dell'esecuzione a mezzo ruolo a quelli dell'ordinario processo esecutivo, nel condivisibile intento di ricondurre il primo al secondo come una species ad un genus dal punto di vista strutturale, del resto, si tratta sempre di recuperare un credito, sia pure di natura del tutto peculiare, a mezzo di procedure modellate su quelle generali previste per l'espropriazione, con la formazione di un atto che contenga la determinazione del credito e di altri che inducano, con una sorta di gradualità crescente di intensità, il debitore al pagamento spontaneo, fino a culminare in atti procedimentali in tutto analoghi a quelli di un ordinario processo espropriativo, del quale anzi essi mutuano espressamente, in quanto non esplicitamente derogati, forma e modalità attuative. 4.3. Il processo di irrogazione delle sanzioni amministrative e quello esecutivo esattoriale per il loro recupero non sono quindi meri procedimenti amministrativi, ma speciali procedimenti - rispettivamente - giustiziale ed esecutivo, gestiti, in gran parte del suo svolgimento e fin da prima del suo avvio, da organi di certo soggettivamente non giurisdizionali, ma in applicazione di regole di procedura civile e dei principi generali dell'attività giurisdizionale cognitivo-sanzionatoria prima ed esecutiva poi. Infatti, gli atti posti in essere, prima, dall'ente titolare della pretesa sanzionatoria e, poi, dal concessionario od esattore sono pertanto atti sì formalmente e soggettivamente amministrativi, ma funzionalmente e strutturalmente giurisdizionali, intesi i primi ad applicare una sanzione con le garanzie e gran parte delle forme tipiche della giurisdizione cognitiva ed i secondi a recuperarne l'importo pecuniario, con le garanzie e gran parte delle forme proprie - e in parte diverse o comunque di differente ampiezza - della giurisdizione esecutiva. 4.4. Se allora quello esecutivo, quand'anche soggetto alle forme esattoriali e soprattutto se relativo ad entrate non tributarie relative a sanzioni amministrative, non cessa di essere un ordinario processo, esso deve restare assoggettato, al fine di assicurarne la stessa funzionalità e garantire adeguatamente tutti i soggetti coinvolti, esclusivamente ad un sistema chiuso e rigido di rimedi interni suoi propri. Ora, il processo esecutivo ha, quale scopo e di norma, non già l'accertamento di diritti, ma l'attuazione di quelli già accertati, né da luogo a statuizioni assistite dalla forza del giudicato, visto che quell'accertamento e quest'ultima sono propri della giurisdizione cognitiva e presuppongono una controversia. Se il giudicato risponde ad un'esigenza di certezza, quale indefettibile connotato della tutela del diritto azionato in giudizio, è giocoforza ammettere che anche il processo esecutivo esige la stabilità dei suoi atti. Se è vero, infatti, che tale processo costituisce l'estrinsecazione della giurisdizione esecutiva e che questa è si ancillare o servente rispetto a quella cognitiva, essa ne costituisce però e pur sempre l'indefettibile complemento ed anzi la garanzia di concreta effettività. Ed una stabilità degli effetti, come nel processo cognitivo è garantita - sul piano formale - dal sistema chiuso delle relative impugnazioni e dalla preclusione anche sostanziale derivante dal mancato o dal vano esperimento delle medesime, così analoga stabilità degli effetti nel processo esecutivo deve ricondursi alla tassatività dei rimedi avverso gli atti di quello ed alla preclusione che deve derivare dal mancato esperimento di essi. Sul punto, la definitività dei risultati dell'esecuzione è insita nella chiusura di un procedimento svoltosi con il rispetto di forme idonee a salvaguardare gli interessi contrapposti delle parti, nel quadro di un sistema di garanzie di legalità per la soluzione di eventuali contrasti articolo 485, 615 e 512 c.p.c. , ed è basata sul concetto di preclusione, più ampio di quello di giudicato per tutte Cass. 3 luglio 1969, numero 2434 in sensi analoghi Cass. 9 giugno 1981, numero 3714 Cass. 9 aprile 2003, numero 5580 Cass. 14 luglio 2009, numero 16369 Cass. 8 maggio 2003, numero 7036 dopo un'ampia ricognizione aggiornata delle problematiche, perviene alle stesse conclusioni Cass. 18 agosto 2011, numero 17371 . Come rilevato, in particolare, da Cass. 8 maggio 2003, numero 7036, ammettere la proposizione, dopo la conclusione dell'esecuzione e la scadenza dei termini per le relative opposizioni, di azioni, come quelle di ripetizione dell'indebito o di arricchimento senza causa, volte a contrastare gli effetti dell'esecuzione stessa sostanzialmente ponendoli nel nulla o limitandoli - è in contrasto sia con i principi ispiratori del sistema, sia con le regole specifiche relativi ai modi e ai termini delle opposizioni esecutive . Tanto pare agevolmente ricondursi all'esigenza di legalità intrinseca dell'attività giurisdizionale, la quale implica, a sua volta, che sia possibile e sufficiente, ma al tempo stesso necessario, per i soggetti che se ne ritengano lesi, reagire all'interno del processo e coi mezzi apprestati dall'ordinamento, affinché il risultato finale possa presumersi conforme a diritto. Il sistema processuale, in definitiva, non consente la sopravvivenza di pretese di tutela dagli effetti pregiudizievoli dei suoi atti, nemmeno solo risarcitorie, al di fuori delle azioni tipiche a tanto destinate una volta dismessa, rinunziata o preclusa, per consapevole inerzia di colui al quale era pur sempre accordata, la tutela primaria, viene meno la ragione di quella risarcitoria o per equivalente. E deve concludersi nel senso che colui il quale intenda contestare i presupposti di un'azione esecutiva a lui minacciata o nei suoi confronti intrapresa ha l'onere, inteso in stretto senso tecnico, di dispiegare i relativi strumenti processuali, con le forme e le modalità previste dalla disciplina di rito in mancanza, egli decade dalla possibilità di fare valere le relative ragioni, ogni ulteriore questione sulla loro sussistenza, anche ai soli fini di una tutela risarcitoria, risultando irrimediabilmente preclusa. 4.5. Del resto, non pare inutile rimarcare, quale ulteriore argomento, come sia correntemente riaffermato il principio dell'esclusiva devoluzione al giudice del medesimo processo di ogni pretesa risarcitoria relativa all'intrinseca lamentata illegittimità di quello anche per la manifesta infondatezza della pretesa sostanziale originaria, tanto che una domanda proposta al di fuori del medesimo sarebbe radicalmente improponibile Cass. 14 giugno 2012, numero 9734, alle cui argomentazioni - tra cui i richiami a Cass. 6 agosto 2010, numero 18344 Cass. 26 novembre 2008, numero 28226 Cass. 24 luglio 2007, numero 16308 Cass. 23 marzo 2004, numero 5734 Cass. 26 agosto 2002, numero 12541 Cass. 12 marzo 2002, numero 3573 Cass. 16 giugno 1997, numero 5391 - basti qui un integrale rinvio la responsabilità da attività processuale rappresenta invero una species di quella aquiliana e la relativa potestas agendi non è esercitabile fuori del processo in cui la condotta generatrice di quella responsabilità si è manifestata e, quindi, in via autonoma, consequenziale e successiva, davanti ad altro giudice, salvo i casi in cui la possibilità di attivare il mezzo sia rimasta preclusa in forza dell'evoluzione propria dello specifico processo dal quale la stessa responsabilità aggravata ha avuto origine Cass. 6 agosto 2010, numero 18344 . La conclusione, sul punto, è nel chiaro senso che l'azione di risarcimento di danni da processo è espressione del diritto di azione, se esercitato però nel processo a tutela della situazione giuridica soggettiva principale che vi sia dedotta e, quindi, come diritto che di tale situazione è conseguenza e che, perciò, lo è anche dell'azione con cui essa è fatta valere Cass. 18 aprile 2007, numero 9297 . La responsabilità dei danni da processo va fatta quindi valere, tranne il caso di impossibilità non ascrivibile al preteso danneggiato, esclusivamente nel processo stesso, relativo alla pretesa sostanziale. 4.6. Tutto ciò posto, lo sviluppo di tali premesse - e segnatamente la specialità del processo esecutivo esattoriale per crediti da sanzioni amministrative rispetto al procedimento amministrativo - comporta, da un lato, che non trovano applicazione i principi generali in materia di procedimento amministrativo, né tanto meno quello della disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi da parte del giudice ordinario, nonché, dall'altro, che l'illegittimità della relativa esecuzione come di ogni altra , sia in punto di an debeatur che di quantum, va fatta valere esclusivamente con le forme previste per le relative opposizioni, se ed in quanto non eccezionalmente escluse. Infatti, è ben vero che nell'esecuzione esattoriale vigono particolari divieti di proponibilità di azioni normalmente concesse a qualunque debitore, prima fra tutte l'opposizione ad esecuzione per motivi diversi dall'impignorabilità dei beni, per tutta la durata del processo esecutivo ma, a bilanciare tale significativa compressione dei diritti del debitore, vi è allora l'espressa previsione dall'azione di risarcimento del danno di cui all'articolo 59 d.P.R. 29 settembre 1973, numero 602 e succ. mod. e integr. . E tanto rende in astratto configurabile, in riferimento alle pretese tributarie per le quali sia stato impossibile far valere l'inesistenza del credito azionato o altri vizi formali o sostanziali della procedura esecutiva esattoriale, sia un'azione di indebito arricchimento, che una di risarcimento, salva la verifica in concreto della sussistenza di tutti gli altri presupposti, anche nei confronti del creditore e non dell'esattore in termini Cass. 18 novembre 2013, numero 25855 . E tuttavia il divieto o la limitazione di proposizione delle opposizioni ad esecuzione e ad atti esecutivi non si applica alle ipotesi di processi esecutivi per entrate non tributarie Cass. Sez. Unumero , 4 aprile 2000, numero 96 Cass. Sez. Unumero 28 dicembre 2001, numero 16217 , quale è pacificamente il caso in esame, relativo a sanzione amministrativa per violazione del codice della strada nulla avrebbe impedito, quindi, all'odierno ricorrente di reagire bene e tempestivamente, con piena tutela giurisdizionale di ogni sua pretesa o contestazione a quelle avversarie, avverso le numerose prospettate irregolarità o irritualità nelle competenti sedi e pure prima di - e potendo conseguire provvedimenti che lo esonerassero, anche temporaneamente, di pagare. 4.7. Ne consegue che, in applicazione dei principi generali appena ricordati, l'illegittimità intrinseca dell'esecuzione, anche se esattoriale per crediti derivanti da sanzioni amministrative, minacciata od iniziata, può quindi essere fatta valere esclusivamente coi rimedi delle opposizioni e contestazioni al riguardo previste infatti, non ricorrono quei casi eccezionali, in cui cioè tale facoltà sia compressa o limitata come nel caso delle esecuzioni esattoriali per crediti tributari, ove vige il divieto di proporre opposizione ai sensi dell'articolo 615 cod. proc. civ. e sono limitate le opposizioni ai sensi degli articolo 617 e 619 cod. proc. civ. , solo in presenza dei quali il diritto di difesa è tutelato esclusivamente, per esigenze di carattere pubblicistico preminenti sull'interesse dei singoli soggetti coinvolti, in via meramente suppletiva e risarcitoria. Non è quindi data azione risarcitoria - né ai sensi della norma generale dell'articolo 2043 cod. civ., né di quella speciale di cui all'articolo 59 d.P.R. 29 settembre 1973, numero 602, come modif. dall'articolo 16, co. 1, d.lgs. 26 febbraio 1999, numero 46 - a chi, potendo far valere con i rimedi propri al riguardo previsti l'illegittimità di una esecuzione esattoriale per crediti da sanzioni amministrative, volontariamente di quelli non si sia avvalso, costituendo il previo esperimento di quelli un onere in senso tecnico per l'esperibilità dell'azione risarcitoria stessa. Pertanto, pacifico essendo che nella specie il ricorrente non ha esperito alcuna delle azioni pure a lui spettanti in dipendenza della natura del credito azionato, gli era preclusa l'azione risarcitoria diretta, mirante alla ripetizione delle somme versate e fondata su pretese illegittimità dell'azione esecutiva minacciata, non fatte però valere con quelle azioni tipiche. 4.8. Tale conclusione, elisa in radice l'ammissibilità dell'azione di risarcimento del danno, comporta l'evidente assorbimento di ogni altra ragione di censura in ordine alla correttezza o meno dell'asserzione del giudice del merito circa la non configurabilità di un detrimento del patrimonio dell'attore originario, quand'anche diverso dal pagamento di somme prospettate come non dovute. 5. Ad analoga conclusione di rigetto dei primi due motivi di ricorso - anche in questa ipotesi, se del caso in tali sensi andando integrata o corretta la motivazione della gravata sentenza - per la non configurabilità, nemmeno in astratto nella stessa prospettazione attorea, della domanda risarcitoria originaria può pervenirsi poi seguendo un distinto ordine di argomentazioni, così sviluppate le premesse lucidamente evidenziate da Cass. Sez. Unumero , 4 ottobre 1996, numero 8685 se, da un lato, non può trovare applicazione il principio per il quale “in tema di responsabilità per fatto illecito il nesso di causalità fra comportamento antigiuridico ed evento dannoso cessa in virtù del sopraggiungere di altro fatto, idoneo da solo a determinare l'evento, che può essere anche del danneggiato e consistere anche in un comportamento omissivo nell'ipotesi allora considerata si trattava di non proposizione di un'azione giudiziaria , sempre, però, che si ricolleghi ad un obbligo giuridico di impedire l'evento e tanto perché l'esercizio del diritto di impugnazione - espressione di non vincolabile strategia processuale e in definitiva della stessa libertà della parte nel processo - non appare comunque riconducibile alla nozione di obbligo giuridico di impedire l'evento dannoso - dall'altro lato e tuttavia, la mancata impugnazione, nei termini allo scopo previsti, degli atti presupposti ha determinato, da un lato, l'inoppugnabilità e definitività di quelli - così elidendo in radice l'elemento oggettivo dell'ingiustizia del danno - e comunque - così elidendo in radice l'elemento soggettivo della colpa o del dolo dell'agente - in capo all'agente di riscossione, un ragionevole affidamento sulla correttezza e sulla doverosità dell'azione esecutiva e della stessa spettanza delle somme che ne erano oggetto - se è vero che tanto non esclude ancora la possibilità di ipotizzare la rilevanza aquiliana del comportamento dell'Amministrazione esattrice, pure però postulerebbe una particolare articolazione dell'attività illecita, che poi dovrebbe essere specificamente allegata in tali sensi dal danneggiato in altre parole, tale attività non potrebbe esaurirsi nella mera richiesta, anche coattiva, della somma reclamata, perché ciò troverebbe giustificazione e fondamento nella definitività degli atti di accertamento, ma dovrebbe articolarsi in un più grave e complesso contesto operativo che ricomprenda l'abnormità o la grave illegittimità di uno o più degli atti di riscossione e la potestà del convenuto di sottrarsi alla loro attuazione, accompagnanti dall'originaria emissione in mala fede dell'avviso di accertamento e si estenda all'uso altrettanto in mala fede del processo e del suo risultate - ma una tale ipotesi è stata esclusa dal ricorrente, come da lui precisato nel secondo motivo di ricorso - insomma, la conseguita definitività degli atti di accertamento e degli altri atti prodromici dell'esecuzione esattoriale non tributaria sarebbe ictu oculi - se di per sé sola e cioè in carenza di specifici ulteriori circostanze - idonea ad escludere quanto meno l'elemento soggettivo dell'illecito aquiliano, pure nel senso ampio che questa Corte ne ha elaborato con riferimento alla pubblica amministrazione, richiamando i principi di imparzialità e di buon andamento come parametri alla cui stregua la colpa dell'autore va verificata proprio alla luce di tali principi, infatti, appare non solo non rimproverabile, ma anzi doverosa, la richiesta di una somma il cui accertamento, anche se per avventura originariamente ingiusto od illegittimo, sia divenuto irretrattabile nelle sedi sue proprie. Anche sotto questo profilo, i primi due motivi di ricorso andrebbero rigettati. 6. In definitiva, corretta è la reiezione della pretesa risarcitoria del ricorrente, sulla base del seguente principio di diritto in caso di esecuzione esattoriale per sanzioni amministrative, non è data al debitore azione di risarcimento del danno, né ai sensi dell'articolo 59 del d.P.R. 29 settembre 1972, numero 603 e succ. mod. e integr. , né ai sensi dell'articolo 2043 cod. civ., ove sia fondata sulla circostanza del volontario pagamento degli importi richiesti e su motivi di ingiustizia o di illegittimità di atti presupposti o preliminari all'esecuzione stessa, che il debitore abbia volontariamente omesso di impugnare nelle competenti sedi e tanto, sia perché egli era gravato di un onere in senso tecnico in tale ultimo senso ed è quindi decaduto dalla possibilità di azionare quelle doglianze anche in sede meramente risarcitoria, sia perché la conseguita definitività di quegli atti elide in radice, se non anche la stessa ingiustizia del danno, quanto meno - in difetto di diverse ed ulteriori, ma specifiche, allegazioni - l'elemento soggettivo dell'agente. 7. Tutto ciò posto, va affrontato dapprima il quarto motivo, relativo alla mancata compensazione delle spese in presenza di una soccombenza reciproca, siccome logicamente preliminare rispetto alla liquidazione delle spese di lite del grado di appello. Tale motivo è infondato. 7.1. In primo luogo, è sempre discrezionale il potere del giudice del merito di disporre la compensazione delle spese, essendo soltanto egli vincolato dal limite di non potere porre a carico della parte integralmente vittoriosa le spese di lite giurisprudenza fermissima tra le molte Cass. 19 giugno 2013, numero 15317 Cass. 17 maggio 2012, numero 7763 Cass. 6 ottobre 2011, numero 20457 Cass. 11 gennaio 2008, numero 406 Cass. 31 luglio 2006, numero 17457 e così via . Pertanto, non ha alcuna delle parti un diritto in senso tecnico alla compensazione, ma soltanto al rispetto di tale ultimo principio, se interamente vittoriosa. 7.2. In secondo luogo, la nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, sottende - anche in relazione al principio di causalità - una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero l'accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero - per alcuni - una parzialità dell'accoglimento meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo Cass., ord. 23 settembre 2013, numero 21684 Cass., ord. i 21 ottobre 2009, numero 22381 . Tale ricostruzione ed il principio invocato dal ricorrente, espresso da Cass. 22 settembre 2000, numero 12541 è, peraltro, con evidenza limitata all'evenienza di esito della lite favorevole all'attore e di compensazione in suo danno, cioè di compressione del suo diritto al rimborso delle spese nonostante egli sia risultato vittorioso ma non può attagliarsi al diverso caso di rigetto della domanda attorea, ove - come nella specie ed alla stregua di quanto riferito in ricorso, sebbene non riportato in sentenza - siano mancati atti di resistenza del convenuto che si siano trasformati in pretese riconvenzionali, sole sulle quali può configurarsi una soccombenza in senso tecnico. 7.3. In definitiva, non può l'attore totalmente soccombente pretendere una compensazione delle spese adducendo che una o più delle difese, in rito o in merito, ma non integranti vere e proprie pretese, della controparte siano state disattese. 8. Infine, resta da esaminare il terzo motivo ma esso è inammissibile. 8.1. La tesi richiamata in diritto è, per la verità, in astratto corretta una liquidazione globale, che non indichi cioè separatamente gli onorari di avvocato rispetto ai diritti di procuratore ed alle spese in senso stretto, può essere legittima solo nell'ipotesi in cui sia stata presentata la nota delle spese a cura della parte cui vanno rimborsate, dovendosi presumere, in tal caso, che il giudice abbia voluto liquidare le spese in conformità di tale nota se, invece, tale nota non sia stata presentata in violazione dell'articolo 75 disp. att. cod. proc. civ., il giudice ha il potere-dovere di provvedere alla liquidazione delle spese giudiziali sulla base degli atti di causa, ma è tenuto ad indicarli specificamente Cass. 18 giugno 2003, numero 9700 Cass. 1 agosto 2007, numero 16993 . 8.2. In altri termini, il giudice, nel pronunciare la condanna della parte soccombente al rimborso delle spese e degli onorari, in favore della controparte, deve liquidarne l'ammontare separatamente sicché sono illegittime, in linea di principio, la mera indicazione dell'importo complessivo e l'omessa specificazione degli onorari e delle spese, in quanto non consente il controllo sulla correttezza della liquidazione, anche in ordine al rispetto delle relative tabelle, ove applicabili Cass. 10 marzo 2008, numero 6338 , ovvero ai criteri di calcolo adottati Cass. 25 novembre 2011, numero 24890 . A tanto si aggiunga che la mancata specificazione renderebbe pure impossibile l'individuazione, per differenza tra il totale e il coacervo di diritti e onorari o, attualmente, dei compensi professionali della quota esente in quanto relativa a rimborso di spese vive ed in quanto tale non assoggettata né ad IVA o CPA, né a maggiorazione forfetaria finché questa, applicate le tariffe anteriori al 2012, potrà computarsi o spettare . E, nella specie, ingiustificatamente e macroscopicamente discostandosi da tali principi, la gravata sentenza condanna, senza dare compiuta e separata indicazione delle tre voci base, l'odierno ricorrente a pagare a ciascuna delle controparti le spese del grado in complessivi Euro 950,00 oltre rimborso forfettario, iva e cpa . Il vizio della gravata sentenza dunque sussiste. 8.3. Tuttavia, è più che consolidato l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale la denuncia di vizi di attività del giudice non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l'eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo qualora, pertanto, la parte ricorrente non indichi lo specifico e concreto pregiudizio subito, l'addotto errore non acquista rilievo idoneo a determinare la cassazione - neppure solo in parte qua - della sentenza impugnata Cass. 22 aprile 2013, numero 9722 Cass. 19 febbraio 2013, numero 4020 Cass. 14 novembre 2012, numero 19992 Cass. 23 luglio 2012, numero 12804 Cass. 12 settembre 2011, numero 18635 Cass. 21 febbraio 2008, numero 4435 . Pertanto, in uno alla prospettazione della violazione della legge processuale, occorre allegare - e, quando necessario, provare - lo specifico pregiudizio patito. 8.4. Ma, nella specie, affinché a danno del ricorrente tale pure sussistente errore possa configurarsi come pregiudizievole, sarebbe necessario che da esso sia derivato o potesse derivare per il destinatario della condanna il rischio di dovere pagare di più di quanto al massimo sarebbe stato correttamente esposto a corrispondere in analitica applicazione delle voci di tariffa vigenti pro tempore ed in merito al riconoscimento delle sole borsuali o esborsi o spese vive effettivamente sostenute da controparte. E però un simile rischio, unico a fondare l'interesse idoneo a sostenere il motivo di ricorso in esame, non è stato enucleato con idoneo e puntuale sviluppo controparte. E però un simile rischio, unico a fondare l'interesse idoneo a sostenere il motivo di ricorso in esame, non è stato enucleato con idoneo e puntuale sviluppo degli importi massimi riconoscibili in astratto e della loro inferiorità rispetto a quelli massimi che il destinatario della condanna rischia, in relazione alla più sfavorevole delle ipotesi di combinazione dei potenziali addendi su richiamati, di dovere in concreto sopportare. In tale concreta situazione, non può dirsi che - o se - il pure sussistente errore del giudice di secondo grado abbia arrecato un determinato pregiudizio - e quale - a colui che se ne duole e la sua censura è inammissibile per carenza di interesse. 9. In definitiva, infondati gli altri motivi ed inammissibile il terzo, il ricorso non può che essere rigettato, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, per non avere l'intimata svolto attività difensiva in questa sede. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.