Sua moglie è avvocato abilitato, lui no: solo la prescrizione elimina la condanna

Sottoscrive un atto di citazione con il nome di sua moglie, ma non è abilitato all’esercizio della professione forense. Solo risarcimento danni per lui, vista l’intervenuta prescrizione del reato.

E’ quanto emerso dal caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 32759, depositata il 26 luglio 2013. Il caso. Predispone e sottoscrive con il nome della moglie, avvocato di professione, un atto di citazione in giudizio. Peccato che lei non abbia gradito molto, anche perché i due, all’epoca dei fatti, erano già separati. Scatta, dunque, la querela da parte della donna e la condanna alla pena sospesa di 300 euro di multa e al risarcimento danni in favore della parte civile, per esercizio abusivo della professione forense, perché privo dell’abilitazione, nei confronti dell’uomo. Firma non autentica A salvare l’imputato dalla condanna penale, ma non dal risarcimento danni, è l’intervenuta prescrizione, almeno per i giudici di secondo grado. Giudici che hanno comunque ritenuto credibili le dichiarazioni della persona offesa – che ha sempre dichiarato di non aver mai sottoscritto l’atto di citazione – e confermate dalle dichiarazioni testimoniali di altri 2 avvocati e dagli esiti della consulenza grafologica. ma reato prescritto. Decisione, questa, confermata anche dai giudici di Cassazione, che annullano senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 gennaio – 26 luglio 2013, n. 32759 Presidente Agrò – Relatore Paoloni Fatto e diritto 1. All'esito di giudizio ordinario il Tribunale di Marsala con sentenza del 17.1.2007 ha dichiarato E D.M. colpevole del reato di esercizio abusivo della professione di avvocato perché, pur privo dell'abilitazione statale all'esercizio della professione forense, predisponeva e sottoscriveva col nome della moglie P.M.L. , avvocato, l'atto di citazione in giudizio promosso da B R. contro la società Aurora Assicurazioni e A V. . Fatto commesso dal D.M. nel gennaio 2001 dopo l'avvenuta separazione dalla moglie nella seconda metà del 2000. Per l'effetto lo stesso è stato condannato, concessegli le attenuanti generiche, alla pena sospesa di Euro 300,00 trecento di multa e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile P.M.L. , danno liquidato in via equitativa in misura di Euro 1.000,00 mille . Il Tribunale ha ritenuto provata la responsabilità per il predetto reato sulla base delle dichiarazioni della querelante - p.o. costituitasi parte civile, l'avv. M.L P. , che ha riferito di non aver mai sottoscritto la citazione dell'attore R. davanti al giudice di pace dei riscontri che tali dichiarazioni, nonostante le intuibili ragioni di animosità verso il coniuge separato, rinvengono nelle testimonianze del R. ha riferito di aver intrattenuto rapporti ai fini della sua causa assicurativa con il solo D.M. , al quale ha consegnato la somma di lire 500.000 come anticipo di spese e dell'avv. Pe.Fr. il D.M. gli ha chiesto il favore di patrocinare la causa del R. , non essendo lui ancora in possesso dell'abilitazione, dopo aver seguito inizialmente la vicenda legale in collaborazione con la moglie nonché negli esiti della consulenza grafica disposta dal p.m. che ha escluso l'attribuibilità alla P. della sottoscrizione dell'atto di citazione del R. pur non potendosi la stessa assegnare alla grafia del D.M. , che non ha rilasciato saggio grafico utile per comparazione . 2. Adita dall'impugnazione del D.M. , la Corte di Appello di Palermo con l'indicata sentenza resa il 25.6.2010 ha confermato in punto di responsabilità la decisione di primo grado, ma - avuto riguardo al tempo trascorso dalla commissione del reato in assenza di cause sospensive del relativo termine - ha dichiarato improcedibile il reato ascritto all'imputato perché estinto per prescrizione, immutate restando le statuizioni civili adottate dal Tribunale. Sul merito della regiudicanda la Corte territoriale ha respinto i rilievi della difesa dell'imputato sulla inadeguata verifica della credibilità della p.o. P. che ha sempre negato di aver sottoscritto l'atto di citazione del R. , autenticando la firma dell'attore . Credibilità che, come già affermato dal Tribunale, è suffragata dalle dichiarazioni testimoniali del R. e dell'avv. Pe. e dagli esiti della consulenza grafologica escludente l'autenticità dell'apparente firma della P. sull'atto giudiziario del R. . 3. Avverso tale sentenza di appello ha proposto, con atto personale, ricorso per cassazione l'imputato E D.M. , prospettando numerosi vizi di legittimità per violazione di legge e per insufficienza ed illogicità della motivazione e corredando l'analisi critica della sentenza impugnata con la produzione di numerosi atti relativi all'intera vicenda processuale e ai suoi rapporti di collaborazione professionale presso lo studio legale del suocero con la moglie P. fino all'epoca della crisi coniugale e alla loro separazione di fatto estate 2000 . I numerosi motivi di censura del ricorrente possono come di seguito sintetizzarsi. A. L'imputato non si è sottratto al rilascio di un saggio grafico, mai richiestogli nel corso delle indagini, allorché è stata esperita indagine grafica sulla copia di un atto di citazione riguardante la causa assicurativa di tale M S. diverso da quello indicato in imputazione, ma che comunque ha escluso un intervento grafico sottoscrizione per autentica dell'imputato. Entrambe le sentenze di merito omettono di considerare che l'atto di citazione recante l'ipotizzata abusiva opera grafica del D.M. , relativo al cliente R. , non è mai stato acquisito agli atti del giudizio penale, l'atto allegato attenendo alla citata diversa causa S. contro Milano Assicurazioni ed essendo il solo esaminato dal consulente grafico per altro in fotocopia e con riguardo a una sottoscrizione formata da una semplice sigla . B. La Corte ha omesso di assumere una prova decisiva concernente l'esatto luogo di svolgimento dell'attività professionale dell'imputato, localizzandone un autonomo studio professionale a Marsala, laddove - come emerge da accertamenti della G.d.F. - il D.M. ha svolto attività lavorativa soltanto a OMISSIS presso lo studio legale intestato al suocero e alla moglie, curando insieme a costei più pratiche legali, ivi compresa quella del R. nell'ambito della quale la stessa P. è comparsa davanti al giudice di pace di Marsala in un'udienza del 12.3.2001. Evenienza che induce a rimeditare le generiche affermazioni del R. di aver intrattenuto rapporti con il solo D.M. . C. L'avv. Pe. ha affermato di aver patrocinato personalmente la causa del R. a decorrere dalla seconda udienza e poi fatturando al R. la sua prestazione professionale. Lo stesso R. , al di là dei suoi confusi ricordi, ha asserito che il D.M. non gli si è presentato come avvocato ma come membro dello studio legale P. . Per l'effetto debbono ritenersi incongrue le valutazioni della testimonianza del R. espresse dalla Corte di Appello. D. La sentenza impugnata ha recepito acriticamente l'assunto del Tribunale, secondo cui è presumibile l'attribuzione al D.M. della firma del legale presente in calce alla citazione R. siccome favorita dalla presunta conoscenza delle caratteristiche della scrittura della moglie , benché si tratti di una semplice sigla, sì da rendere affatto deficitaria la prova dell'elemento oggettivo del contestato reato di cui all'art. 348 c.p., non essendosi accertato il reale compimento da parte del ricorrente di un atto tipico della professione legale. E. La Corte territoriale ha omesso di apprezzare come motivi nuovi art. 585 comma 4 c.p.p. le circostanze integrative enunciate nelle memorie e nelle richieste difensive parziale riapertura dell'istruttoria depositate nell'interesse dell'imputato unitamente alla allegata documentazione in particolare quella rappresentativa della citata intervenuta partecipazione personale della P. in una udienza della causa R. . La sentenza impugnata ha finito per appagarsi di una ricostruzione ipotetica e sostanzialmente immaginaria della vicenda processuale in una situazione in cui avrebbe dovuto, quanto meno, riconoscere al D.M. il beneficio del dubbio, prosciogliendolo dall'accusa ai sensi dell'art. 530 co. 2 c.p.p 4. Il ricorso di E D.M. non può trovare accoglimento agli effetti penali, non ricorrendo alcuna delle condizioni che rendono applicabile il disposto dell'art. 129 co. 2 c.p.p. a fronte della causa estintiva del reato per intervenuta prescrizione rilevata dalla Corte di Appello di Palermo. In vero in presenza di una causa estintiva del reato il giudice del gravame è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 co. 2 c.p.p. soltanto se la prova dell'insussistenza del fatto, della sua irrilevanza penale o della non commissione dello stesso da parte dell'imputato risulti evidente alla luce degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza necessità di nuove indagini o di ulteriori accertamenti, che sarebbero incompatibili con il principio dell'immediata operatività della causa estintiva. Situazione che, per quanto articolate, si rivelino le critiche del ricorrente, non ricorre nel caso di specie. In questa ottica nel giudizio di cassazione l'obbligo di dichiarare una più favorevole causa di proscioglimento, ove già risulti l'esistenza di una causa estintiva, opera nell'ambito del controllo del solo provvedimento impugnato in conformità ai limiti di deducibilità del vizio di motivazione cfr. Cass. Sez. 4, 8.7.2008 n. 33309, Rizzato, rv. 241961 Cass. Sez. 1, 18.4.2012 n. 35627, P.G. in procomma Amurri, rv. 253458 . Ora la maggior parte delle censure sviluppate con il ricorso impinge il merito storico della regiudicanda, rispetto al quale si prospetta una rivisitazione meramente fattuale delle fonti di prova astrattamente idonea a condurre a risultati valutativi diversi da quelli espressi dalle due conformi in punto di responsabilità decisioni di primo e di secondo grado. Le sole carenze della impugnata decisione di appello che potenzialmente colorano di un qualche fondamento il ricorso dell'imputato investono la completezza dell'indagine tecnico-grafologica compiuta in corso di indagini per verificare la paternità dell'autenticazione della firma della parte R. in calce alla sua citazione per l'intentata casa assicurativa. Firma o sigla risultata non appartenente alla p.o. P. , ma neppure all'imputato D.M. . Ora questo elemento, unitamente alla accertata presenza della P. in una udienza della causa del R. svoltasi davanti al giudice di pace, avrebbe dovuto essere considerato dalla Corte di Appello ai fini della valutazione della debenza del risarcimento in capo al soggetto danneggiato costituito parte civile. Tanto peraltro non è stato fatto, né può essere fatto in questa sede, posto che il ricorrente non ha impugnato la sentenza agli effetti civili. Ne discende allora, che questa Corte, mandando esente l'imputato dall'onere di rifusione delle spese processuali, non può che ribadire essa stessa, come da dispositivo e ferme rimanendo le assunte statuizioni civili, l'intervenuta causa estintiva. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.